ISTRIA, Vincentello d'
Primo di questo nome, nato negli ultimi decenni del XIV secolo, era figlio, probabilmente secondogenito, di Ghelfuccio di Arrigo d'Istria e di una sorella di Arrigo Della Rocca, conte di Corsica in nome del re d'Aragona.
Il padre apparteneva a una delle cinque dinastie dei cosiddetti Cinarchesi, baroni della parte meridionale dell'isola (il "paese di là dei monti" o "Pomonti") che si dicevano discendenti del leggendario Cinarco, figlio del conte romano Ugo Colonna, inviato nell'VIII secolo da papa Stefano IV a liberare la Corsica dai Saraceni. La gelosia per il cognato Arrigo aveva portato Ghelfuccio a militare al servizio di Genova, dalla quale aveva ricevuto il riconoscimento della signoria sui villaggi di Valle e Cruscaglia, nella Corsica sudoccidentale, e, per un certo periodo, il controllo dell'importante castello di Cinarca. Nessuno dei suoi tre figli - Giudicello, l'I. e Giovanni - aderì alla sua linea politica: seguendo lo zio Arrigo Della Rocca, essi entrarono a far parte della fazione filoaragonese, allora predominante.
Secondo la tradizione, l'I. entrò in giovanissima età agli stipendi dei sovrani catalani. Le prime notizie certe su di lui risalgono al 1401 quando, dopo la morte di Arrigo, egli riparò a Longosardo, in Sardegna, insieme con altri fautori dell'Aragona. La parentela col defunto conte, ancor più che la potenza del casato, gli diede una sorta di primato all'interno della fazione, tanto più che il figlio di Arrigo, Francesco, si era screditato entrando al servizio dei Genovesi. L'ascesa dell'I. quale capo del partito filocatalano non fu però immediata; ancora nel 1402 egli era uno tra molti, ma nel giro di un paio di anni, dimostrando grande energia e spregiudicatezza, gli riuscì di recuperare gran parte del paese cinarchese. Forte di questi successi, nel maggio 1404 si recò a Valencia per richiedere al re Martino il Vecchio gli aiuti necessari a sottomettere il resto dell'isola. Il sovrano lo accolse con grandi onori e, dopo averlo designato ufficialmente suo luogotenente in Corsica (9 luglio), lo licenziò con lettere commendatizie per gli altri capi corsi e per le autorità aragonesi di Sardegna e di Sicilia. Al suo ritorno nell'isola egli trovò però la situazione profondamente mutata. In sua assenza i Genovesi avevano riconquistato gran parte del territorio perduto, riuscendo a ottenere la sottomissione di tutti i baroni del Pomonti. L'I., lasciato solo, dovette cercare riparo in Sicilia dove il re Martino il Giovane (che l'anno prima era stato suo ospite in Corsica) gli diede l'aiuto richiesto.
Nella primavera 1407, ritornato alla testa di un piccolo esercito fornitogli dal re, si impadronì di Cinarca e nel giro di poche settimane convinse la maggior parte dei signori feudali a fare atto di sottomissione, così che nel mese di giugno poté marciare direttamente contro Biguglia. La piccola capitale amministrativa dell'isola fu occupata dopo un breve assedio; quindi, convocata un'assemblea di tutti i suoi aderenti ("veduta"), l'I. si fece proclamare conte di Corsica. Nel febbraio 1408 anche Bastia si arrese ai ribelli, ma l'iniziale compattezza di questi cominciò a sgretolarsi di lì a poco, per la gelosia che molti capi isolani nutrivano nei confronti dell'I., così rapidamente elevatosi al di sopra di loro. Su queste divisioni fecero principalmente leva i Genovesi per recuperare il terreno perduto. Determinante fu, a questo proposito, l'inimicizia che divideva l'I. dal cugino Francesco Della Rocca che, rimasto fedele a Genova, si era rifugiato a Bonifacio, dove organizzò la riscossa del partito filogenovese. Il malgoverno dell'I. - il quale "non si curava di dare iusticia a persona veruna" (Della Grossa, p. 256) - spianò la strada a Francesco, così che nel giro di pochi mesi poté cogliere alcune importanti vittorie sui luogotenenti dell'I., riconquistando tutto il Pomonti. Pressato dal cugino, l'I. si vide costretto a rinchiudersi a Bastia ma, ferito a una gamba nel corso di un combattimento, fuggì in Sicilia. Qui, dopo essersi ripreso, ricevette dal re Martino navi e soldati per ritentare la conquista dell'isola. Ancora una volta fu fortunato. Il 25 novembre egli comparve infatti nel golfo di Ajaccio con una rilevante forza navale e militare, intimorendo i signori cinarchesi che, salvo poche eccezioni, scesero a patti con lui, riconoscendolo nuovamente conte di Corsica. I Genovesi, colti di sorpresa, furono costretti a togliere l'assedio a Cinarca, ritirandosi nel Nord dell'isola.
L'I. si mise al loro inseguimento e, dopo avere saccheggiato Venzolasca, si arrestò davanti a Biguglia. Le sorti dell'I. vacillarono nuovamente all'arrivo delle milizie feudali radunate dai signori del Capo Corso, rimasti fedeli a Genova. Egli fu infatti battuto nel corso di diverse scaramucce e alla fine, verso la metà d'aprile di quell'anno, dovette ripiegare nel Pomonti, di cui riuscì però a mantenere il controllo.
Una tregua non dichiarata sembrò per un momento portare un po' di pace nella martoriata isola e di questa situazione approfittò l'I. per sdebitarsi con il re Martino il Giovane del favore ricevuto già due volte. Infatti, trovandosi il sovrano in Sardegna per opporsi alla spedizione del francese Guglielmo (III) visconte di Narbona, pretendente al Giudicato d'Arborea, l'I. andò in suo aiuto e si trovò a partecipare, nelle file dell'esercito siculo-aragonese, alla vittoriosa battaglia di Sanluri (26 giugno 1409).
L'improvvisa morte del re, avvenuta un mese dopo, liberò l'I. dai suoi impegni, così che poté ritornare in Corsica, dove alcuni tra i baroni che gli avevano giurato obbedienza si erano ribellati.
Assoldato un piccolo contingente di truppe catalane, egli sbarcò a Cinarca e tra l'ottobre 1409 e il gennaio 1410 represse la rivolta, saccheggiando terre e distruggendo castelli. Ripreso così il controllo del Sud della Corsica, agli inizi del 1411 tentò nuovamente di riconquistare la Terra di Comune, approfittando dei dissensi tra il governatore genovese Andrea Lomellini e alcuni capi locali, in particolare Giovanni d'Omessa, vescovo di Mariana, Diodato da Casta e Bonduccio da Chiatra. Chiamato da questi ultimi, l'I. costrinse il Lomellini alla fuga, ma il governo genovese trovò le contromisure adatte. Nuovo governatore fu infatti nominato Raffaele Montaldo, che aveva già retto l'isola un decennio prima e che, in quegli anni, aveva saputo crearsi una solida rete di amicizie e di clientele tra i capi del "paese di qua dei monti", i cosiddetti "caporali".
Tra i partigiani del Montaldo erano proprio coloro che avevano chiamato il conte in loro aiuto contro il Lomellini, così che essi stessi si fecero mediatori di una nuova tregua tra l'I. e il Comune di Genova che riconfermò la spartizione della Corsica in due zone d'influenza. L'I. non dimenticò però il voltafaccia dei caporali. Nei tre anni successivi si preoccupò di consolidare il suo potere nel Pomonti, dove, dopo varie campagne punitive contro i signori feudali che continuamente gli si rivoltavano contro, procedette a una metodica opera di smantellamento dei castelli baronali, con la sola eccezione di quello di Cinarca, da lui destinato a "luogo diputato al governo di tutto lo stato cinarchese" (Della Grossa, p. 257).
Nel marzo 1414 ruppe improvvisamente la tregua con i Genovesi, dirigendosi contro le terre dei caporali che tre anni prima lo avevano abbandonato.
Il Montaldo, ricevuti rinforzi da Genova e dai feudatari di Capo Corso, lo sconfisse però presso Mariana, costringendolo a ripassare i monti. Il governatore non lo inseguì, ma la sua sconfitta indusse i baroni cinarchesi a tentare nuovamente di liberarsi dal suo predominio. Anche questa volta i loro sforzi furono inutili, giacché l'I., seppure in difficoltà, ebbe sufficiente forza per ricondurli all'obbedienza.
Con Genova si tornò a una tregua non dichiarata che fu interrotta nell'estate 1416, quando il nuovo governatore Abramo Fregoso, fratello dell'allora doge Tommaso, dopo avere riportato l'ordine nella Terra di Comune, decise di porre fine al dominio dell'I. nel territorio cinarchese. La conquista non fu facile, ma il 20 sett. 1416 il castello di Cinarca fu finalmente espugnato dai Genovesi. L'I. riparò in Catalogna, dove il nuovo re Alfonso V lo assunse ai propri stipendi, promettendogli di aiutarlo quanto prima a fare ritorno in Corsica, della quale, il 10 febbr. 1418, lo nominò viceré. L'occasione si presentò nel 1419. Il duro governo di Abramo Fregoso e dei suoi luogotenenti, soprattutto nel Pomonti, aveva infatti creato profondo malumore tra i Corsi, acuito dalle rivalità tra i partigiani isolani dei Fregoso e dei Montaldo. L'improvvisa comparsa dell'I., con un robusto seguito di soldati catalani, provocò l'immediata sollevazione dei baroni, ai quali si unirono anche i caporali della Terra di Comune, in particolare proprio i fautori di Raffaele Montaldo. L'I. passò i monti e sconfisse il luogotenente del Fregoso, Pietro Squarciafico, che fu fatto prigioniero.
Il Fregoso (nel frattempo tornato a Genova per dare aiuto al doge contro i rivali Adorno) inviò rinforzi in Corsica al comando di Andrea Lomellini, ma questi non conseguì alcun risultato utile, tanto che l'I., agli inizi del 1420, poté impadronirsi di Biguglia, assediandone il castello. Ciò indusse il Fregoso a intervenire personalmente, ma il suo tentativo di soccorrere gli assediati fallì e anche lui cadde prigioniero dei ribelli, determinando la resa del castello (24 giugno), seguita poco dopo da quella di Bastia.
Il successo dell'I. fu completo quando, nel settembre, giunse finalmente lungo le coste della Corsica settentrionale una potente flotta aragonese, guidata personalmente da Alfonso V. Calvi, ultima piazzaforte genovese nel Nord dell'isola, fu espugnata il 4 ottobre, dopo venti giorni d'assedio; il re passò quindi alla conquista di Bonifacio, verso la quale si diresse l'I. al comando delle forze di terra.
La difesa dei Bonifacini, fedelissimi a Genova, loro madrepatria, fu però accanita, dando modo ai Genovesi di inviare una grande squadra navale in loro soccorso che, il 29 dicembre, riuscì a forzare il blocco navale aragonese. Lo smacco subito e gli appelli provenienti da Napoli, dove la regina Giovanna II d'Angiò Durazzo lo chiamava in aiuto contro le pretese di Luigi II d'Angiò, convinsero però Alfonso V ad abbandonare la Corsica per Napoli agli inizi del gennaio 1421, lasciando la prosecuzione dell'assedio di Bonifacio all'I., riconfermato viceré dell'isola. La partenza del re fece nuovamente esplodere le rivalità tra i capi corsi, gelosi della supremazia dell'I. e di tale situazione approfittarono i Calvesi per ribellarsi (aprile) e chiamare in soccorso i Genovesi. L'I., costretto ad abbandonare l'assedio di Bonifacio per fronteggiare la nuova ribellione dei baroni, riportate varie vittorie su di loro, andò a stabilirsi a Biguglia e da qui, per alcuni anni, governò abbastanza tranquillamente. La situazione internazionale era, del resto, per lui favorevole. Genova, caduta nel novembre 1421 sotto la signoria di Filippo Maria Visconti, poco interessato alla Corsica, era impossibilitata a recuperare il possesso dell'isola e l'I. saggiamente preferì non sfidarla.
Accordatosi separatamente con Calvesi e Bonifacini, con l'impegno reciproco a non recarsi offesa, l'I. si impegnò nel tentativo di imporre l'ordine e la pace all'interno dell'isola, anche se ciò comportava esili, uccisioni e distruzioni. Per riuscire nel suo intento cercò l'appoggio di alcuni dei caporali del Cismonti, da lui sovvenzionati con ricche pensioni, ma ciò suscitò gelosie e ripicche, specie per il favore da lui dimostrato verso Luciano da Casta, potente capo del Nebbio. I suoi avversari fecero appello a due signori cinarchesi da tempo in esilio, Rinuccio da Leca e Paolo Della Rocca, figlio di Francesco, e questi nel 1430 fecero lega con Simone De Mari, signore di Capo Corso, designandolo governatore generale dell'isola.
L'I. riuscì a sconfiggerlo, ma le contribuzioni fiscali imposte per sostenere le spese militari e certi suoi comportamenti tirannici crearono contro di lui un forte risentimento tra la popolazione, sfociato nel 1433 in una nuova ribellione della Terra di Comune. I rivoltosi chiamarono in loro aiuto Simone De Mari, il quale riuscì a conquistare Biguglia e ad assediare Bastia, mentre il figlio di questo, Carlo, entrò nel territorio cinarchese dove in brevissimo tempo ottenne l'adesione di tutti i signori locali.
L'I., sentendosi perduto, lasciò il figlio Bartolomeo a difesa del castello di Cinarca, ultimo brandello del suo dominio, e come altre volte cercò di raggiungere la Sardegna. Raggiunta fortunosamente Porto Torres, fu però catturato dal fratello Giovanni d'Istria, al quale tempo prima aveva tolto il governo di Bastia. Per ottenere la libertà, l'I. promise di reintegrarlo nella carica e insieme con lui si recò via mare a Bastia. Qui fu però intercettato dalla "galea di guardia" genovese che, al comando di Zaccaria Spinola, dava la caccia ai corsari dell'alto Tirreno.
Catturato, fu condotto a Genova, dove subì un processo per lesa maestà e pirateria al termine del quale, "come richiedevano i suoi demeriti" (Giustiniani), il 27 apr. 1434 fu decapitato nella piazza del palazzo ducale.
Fonti e Bibl.: G. Stella - I. Stella, Annales Genuenses, a cura di G. Petti Balbi, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVII, 2, pp. 337, 348, 378 s.; G. Della Grossa, Chronique médiévale corse, a cura di M. Giacomo Marcellesi - A. Casanova, Ajaccio 1998, pp. 239, 245-249, 256 s., 332-335, 338-341, 353, 357-359, 363, 371-377, 381, 395-413, 421-423, 427-439; A. Giustiniani, Castigatissimiannali… della… Repubblica di Genova, Genova 1537, c. CXCII; A.P. Filippini, Istoria di Corsica, Pisa 1827, II, pp. 226-269; A. Ambrosi, Un épisode de la guerre entre Gênes et Aragon au XVe siècle: V. d'I., in Bull. de la Société des sciences histor. et naturelles de la Corse, XXXI (1911), pp. 5-64; P.-P.-R. Colonna De Cesari Rocca - L. Villat, Histoire de Corse, Paris 1927, pp. 76-85; A. Marongiu, La Corona d'Aragona e il Regno di Corsica, in Arch. stor. di Corsica, XI (1935), pp. 495-501; P. Antonetti, Histoire de la Corse, Paris 1973, pp. 159-166; A. Marongiu, Il Regno aragonese di Corsica…, in Id., Saggi di storia giuridica e politica sarda, Padova 1975, pp. 121-130; M.T. Ferrer i Mallol, Il partito filocatalano in Corsica dopo la morte di Arrigo Della Rocca, in Medioevo. Saggi e rassegne, XXIV (1999), pp. 70-87; S. Fodale, La Corsica nella politica mediterranea di Martino l'Umano, ibid., p. 98; S. Fossati Raiteri, La Corsica tra Alfonso d'Aragona e Tommaso di Campofregoso, ibid., pp. 100-106; M.G. Meloni, Un episodio della politica mediterranea di Alfonso il Magnanimo: l'occupazione di Calvi (ottobre 1420 - aprile 1421), ibid., pp. 115-125; Enc. biografica e bibliografica "Italiana", C. Argegni, Condottieri, capitani, tribuni, I, p. 323.