VIMERCATI, Ottaviano conte di
– Nacque a Milano il 26 marzo 1815, figlio primogenito del conte Giovanni Pietro e di Maria dei conti Martini.
I Vimercati appartenevano alla cerchia delle famiglie più blasonate della nobiltà lombarda (con ramificazioni nel Pisano e a Roma) e vantavano una genealogia risalente all’aristocrazia di spada fin dall’XI secolo. Nella documentazione del ministero degli Affari Esteri e negli scambi epistolari ufficiali, Vimercati viene registrato come Ottaviano Galeazzo. Nell’eulogia pronunciata in sua memoria in Senato nel 1879, e nelle indicazioni riportate nella sua scheda di senatore, è menzionato come secondo nome Antonio, e viene citato peraltro un fratello gemello (Galeazzo Giovanni Battista), del quale non si ritrovano ulteriori attestazioni (Grassi Orsini - Campochiaro, 2010).
Il ramo di Crema dei Vimercati, cui apparteneva Ottaviano, non era il più famoso della casata, anche se la famiglia era pienamente inserita nella socialità e nelle alleanze matrimoniali della nobiltà regionale. Sia il nonno (conte Giovanni Battista) sia il padre contrassero matrimoni rigorosamente endogamici da un punto di vista sociale, anche se non sempre particolarmente prestigiosi. In ogni caso, le unioni dinastiche segnalano un progressivo rafforzamento della posizione sociale dei Vimercati lungo tutto il XIX secolo: tutte e tre le sorelle di Ottaviano – Olimpia, Ginevra ed Eugenia – contrassero matrimonio all’interno delle più antiche e importanti famiglie dell’aristocrazia feudale piemontese (Incisa della Rocchetta) e lombarda (Vimercati Sanseverino e Attendolo Bolognini).
Sugli anni della formazione giovanile le prime notizie sono dovute a un lungo necrologio pubblicato pochi giorni dopo la morte: «passò in Milano gli anni della fervida gioventù, e li passò come parecchi giovani patrizi li passavano quando la dominazione forestiera non offriva loro alcun degno arringo in cui fosse lor dato sottrarsi alle tentazioni dell’età, dell’ozio, dell’opulenza. La memoria di quegli anni gli fu sempre un peso sull’anima» (Mauri, 1879, p. 4). Sulla precoce insofferenza per la vita agiata comune ai giovani ricchi di quegli anni non ci sono testimonianze certe, anche se il giovane Vimercati si conquistò fama di buon cavallerizzo e spadaccino, partecipando a un certo numero di duelli, pratica illegale anche se consona alla formazione del rampollo di una famiglia nobiliare dell’epoca.
Questo riferimento all’impossibilità per i giovani del Regno Lombardo-Veneto di intraprendere la carriera militare nel regio imperial esercito descrive parzialmente la realtà. In effetti, l’Esercito austro-ungarico dal 1815 al 1859 era composto per quasi il 10% da soldati italofoni (mediamente, oltre 30.000). Tuttavia, si trattava di un servizio militare obbligatorio. Al contrario, tra i ranghi del corpo ufficiali si trovavano pochi italiani. Anche se le indicazioni di appartenenza a una comunità nazionale sono inesistenti nelle fonti austro-ungariche, e quelle linguistiche imprecise, si può stimare che il numero di militari di carriera provenienti dalle province italiane non superasse il 2% dell’insieme del corpo ufficiali. Non è chiaro quanto questa sottorappresentazione fosse dovuta a una deliberata esclusione dei lombardo-veneti dalla carriera militare e quanto alla tradizionalmente scarsa propensione delle élites lombarde e venete per il mestiere delle armi. Da un lato, non esistevano reggimenti di cavalleria o artiglieria italiani, ossia le armi verso cui tradizionalmente si indirizzavano i giovani aristocratici e da cui provenivano poi per consuetudine i vertici delle forze armate. Dall’altro, la riluttanza a scegliere la professione militare, specialmente nelle casate aristocratiche lombarde e venete, per motivi di strategia sociale o di rifiuto ideologico, era proverbiale anche tra i contemporanei. «Il nobile italiano non gradiva prestare servizio sotto comando tedesco e i pochi individui di questa classe che pure entravano nell’esercito austriaco non erano benvisti», secondo il ricordo di un giovane ufficiale austriaco dell’epoca (von Fenneberg, 1847, p. 83).
Nel 1841 Vimercati lasciò l’Italia per arruolarsi in un reggimento di spahis, la cavalleria leggera della legione straniera francese. Anche se formata da pochi anni, questa era già divenuta sinonimo di rifugio sicuro per i perseguitati politici, oltre che meta per giovani in cerca di avventure romantiche. Un certo numero di patrioti italiani compromessi con i moti carbonari e le insurrezioni degli anni Venti e Trenta vi si arruolarono negli stessi anni, tra loro anche alcuni cremaschi, come l’ex sacerdote Giovanni Gervasoni (trent’anni più tardi, l’esempio di Vimercati sarebbe stato seguito da suo cugino Fortunato Marazzi, altro rampollo della nobiltà cremasca). Nel 1841, inoltre, la legione stava ampliando i propri ranghi per essere impiegata nella campagna contro l’emiro Abdelkader, a capo della ribellione contro i francesi che avevano occupato l’Algeria. L’idea di una spedizione oltremare in un luogo esotico dovette risultare congeniale al giovane Vimercati. Volontario come soldato semplice, venne promosso sottufficiale alla fine del 1841, poi ufficiale. Partecipò alla definitiva occupazione della fortezza di Mascara (1843), venendo decorato con la Legion d’onore. Rientrato in Italia, il 29 marzo 1848 entrò nei ranghi dell’esercito regolare sabaudo con il grado di sottotenente.
La carriera all’interno dell’armata sarda fu rapida. Aristocratico, legato per vincoli di amicizia o parentela a molte famiglie della corte di Torino, Vimercati si distinse tra i membri della cerchia lombarda che aveva sposato fin dall’inizio della prima guerra d’indipendenza la causa di un’unione sotto la Corona sabauda. Nominato ufficiale d’ordinanza presso il comando di Carlo Alberto, promosso a tenente già in aprile e capitano nel reggimento Aosta Cavalleria in agosto, nel marzo del 1849 divenne ufficiale d’ordinanza dell’allora duca di Savoia, Vittorio Emanuele, che pochi giorni dopo, in seguito all’abdicazione di Carlo Alberto, divenne re di Sardegna: Vimercati fece parte del piccolo drappello di dignitari presenti alla firma dell’armistizio di Vignale e venne promosso aiutante di campo del re (24 aprile 1849). Iniziò in questo modo un rapporto molto stretto con il monarca. Vittorio Emanuele II lo accolse nella schiera intima dei suoi confidenti, iniziò con lui una corrispondenza privata e gli tributò l’appellativo di Primo Lombardo. Dopo la pace tra Regno di Sardegna e Austria-Ungheria, Vimercati rimase al servizio di Vittorio Emanuele II e si stabilì a Torino.
Nel 1850 sposò Carolina Cusani Confalonieri (1809-1867), proveniente da una famiglia dell’antico patriziato milanese, già vedova del marchese Paolo d’Adda Salvaterra e con un figlio maschio, Luigi, che Vimercati adottò. Fu adottata anche Emilietta, figlia del fratello di Carolina. Dall’aprile del 1855 all’aprile del 1856 Vimercati prese parte alla guerra di Crimea, aggregato al comando della 2ª divisione di Alessandro La Marmora. Lasciò l’esercito nel luglio del 1857, trasferendosi a Parigi con la famiglia.
La fase francese sarebbe durata, con alcune interruzioni, fino al suo definitivo ritorno in Italia nel 1874. A Parigi, Vimercati cominciò ad assolvere (informalmente) l’incarico di inviato particolare di Vittorio Emanuele II, e periodicamente dello stesso Camillo Benso di Cavour. Il suo lignaggio e il passato di combattente in Algeria gli facilitarono l’ingresso nei salotti parigini e l’ammissione a corte. Quando, nell’aprile del 1859, la Francia intervenne a fianco del Regno di Sardegna nella seconda guerra di indipendenza, Vimercati venne distaccato, con il grado di tenente colonnello, presso il comando del III corpo francese del generale François-Certain de Canrobert, altro veterano dell’Algeria. Da chi provenisse la richiesta non è chiaro: Cavour ricevette il 22 aprile una lettera da parte di Salvatore Pes marchese di Villamarina, ambasciatore sardo a Parigi, che illustrava la richiesta di Napoleone III di porre «Vimercati à sa disposition», autorizzazione che Cavour a nome del re concesse il giorno dopo (Cavour, 2000, p. 597 e 603). Vimercati partecipò dunque alla campagna del 1859 con il compito, ancora una volta informale, di ufficiale di collegamento tra i due monarchi alleati. Fu il primo italiano a entrare nella sua città natale, raggiunta dalle avanguardie della cavalleria francese il 13 giugno 1859. Come avrebbe ricordato molti anni più tardi il generale Fortunato Marazzi: «da quel drappello si stacca un cavaliere e solo galoppa verso la città. Era un bell’uomo, alto nella persona, bruno, con occhi neri vivacissimi, baffi arditamente tesi, cavalcatore e soldato addirittura temerario [...] era il conte Ottaviano Vimercati» (Marazzi, 1888).
Dopo l’armistizio di Villafranca, Vimercati rimase per un certo periodo in Italia, di nuovo a fianco di Vittorio Emanuele II durante la crisi politica che ne seguì, le dimissioni di Cavour e il suo ritorno al potere, la spedizione dei Mille e il processo di compimento dell’unificazione nel 1860. Nell’autunno di quell’anno, tuttavia, dopo aver seguito il re a Napoli, Vimercati ritornò stabilmente a Parigi, con il duplice mandato di delegato presso Napoleone III del re stesso e di Cavour, che confidava in lui per conservare alla causa italiana l’imperatore e il suo entourage. Vimercati si dimostrò un valido interlocutore per Cavour nel tentativo di risolvere varie questioni, dal riconoscimento formale del Regno d’Italia nei suoi confini (maggio 1861) alla spinosa trattativa sul destino di Roma, e la loro corrispondenza fino all’improvvisa morte dello statista segnala una fiducia pari solo a quella dimostrata da Vittorio Emanuele II. Per quanto le posizioni dell’imperatore e di Cavour sul destino di Roma rimanessero distanti, e Napoleone III non volesse (o potesse) infine recedere dal ruolo di difensore del trono pontificio assunto nel 1848, Vimercati funse da instancabile mediatore, a volte da latore personale di proposte. Continuò a svolgere questo ruolo anche dopo l’improvvisa morte di Cavour nel giugno del 1861: con i suoi successori (Bettino Ricasoli, Urbano Rattazzi, Luigi Carlo Farini e Marco Minghetti) ebbe scambi epistolari intensi, che testimoniano quanto per alcuni anni Vimercati sia stato l’uomo di riferimento nelle delicate discussioni con Parigi per risolvere la questione romana. Fu nominato addetto militare presso l’ambasciata italiana di Parigi nell’agosto del 1861 e nel 1862 consigliere di Legazione.
Con il passare degli anni, la mancata soluzione del caso di Roma e il progressivo deterioramento dei rapporti italo-francesi, il prestigio di Vimercati e la sua influenza parvero scemare. Restò in ogni caso al suo posto, senza tornare in Italia nemmeno durante la campagna del 1866, continuando a godere della stima personale del re, anche se non di quella dei successivi presidenti del Consiglio dei ministri. Nel 1869, fu al centro di un’ultima trama diplomatica, il tentativo di stringere un’alleanza tra Francia, Italia e Austria-Ungheria in funzione antiprussiana, ma, all’inizio dell’anno successivo, questo tentativo fallì definitivamente. Di lì a qualche mese, l’impero francese venne travolto e il ruolo di Vimercati come mediatore venne meno. Nello stesso 1870 rimase vedovo, e si risposò tre anni più tardi con Lucia Fougeroux de Soyres (1836-1917), dalla quale ebbe Anna. Nel 1874 ritornò definitivamente in Italia, e venne nominato ispettore generale delle Regie cacce.
Morì il 25 luglio 1879 nel palazzo di Mirabello a Monza, poche settimane dopo la sua nomina a senatore del Regno.
Fonti e Bibl.: D. von Fenneberg, Osterreich und seine Armee, Lipsia 1847; A. Mauri, L’opinione, 27 luglio 1879, 204, p. 4; F. Marazzi, Il conte O. V., in Dal Serio. Giornale liberale monarchico, 1888, 78, p. 2; Documenti diplomatici italiani, s. 1, I, Roma 1952; Le scritture del Ministero degli Affari Esteri del Regno d’Italia dal 1861 al 1887, a cura di R. Moscati, Roma 1953; La questione romana negli anni 1860-1861. Carteggio del conte di Cavour con D. Pantaleoni, C. Passaglia, O. V., I, Bologna 1961; F. Fadini - M. Mazziotti, O. V. Il Primo Lombardo, Crema 1991; C. Cavour, Epistolario, 16, Firenze 2000; F. Grassi Orsini - E. Campochiaro, Repertorio biografico dei senatori dell’Italia liberale, Roma 2010.