VILLA
. Antichità. - Dalle pitture di Tell el Amarna e di tombe egizie si rileva la diffusione di un rudimentale uso di ville presso gli Egizî. Cari ai Babilonesi e ai Persiani furono i grandi giardini pensili e i vasti parchi (v. giardino); al contrario i Greci non ebbero alcuna passione per il soggiorno in campagna, preferendo a questa la vita della città con le sue lotte politiche nell'agorà e le gare nei ginnasî.
I Romani invece amavano fortemente ritrarsi, quando potevano dalla città, o per lo meno alternare con questa la dimora al mare, sui colli, sui monti. Di qui la straordinaria diffusione della villa presso di loro, e precisamente della villa suburbana, nella quale accanto ai fabbricati per abitazione, che nella villa urbana avevano carattere preminente, non mancavano mai l'elemento rustico, utilitario, costituito da orti, frutteti, vigneti, allevamenti di bestiame, ecc. Tale diffusione s'intensifica soprattutto a cominciare dall'età di Cesare e di Augusto.
I resti rinvenuti in Italia e nelle provincie dimostrano che non vi era nell'età romana una pianta definita per la sistemazione di una villa suburbana, ma che la sua architettura era dettata dallo scopo stesso della villa: agricolo o di soggiorno, dal clima, dalla localtà marina o montana, ecc. Tuttavia si possono stabilire alcuni principî di massima che segnano le tappe dello sviluppo di questo tipo di costruzione nell'antichità. Naturalmente le ville signorili sono quelle che prevalgono, perché le altre, dettate solo da ragioni pratiche, non presentano forme tali da interessare l'arte edilizia.
Durante la repubblica si preferisce la collina e le costruzioni vengono disposte non sulla vetta di essa, ma a mezza costa, in senso parallelo al pendio, rivolto verso mezzogiorno o ponente; le varie parti della villa vengono collegate fra loro per mezzo di muraglioni sostruttivi ornati talvolta con ninfei, in modo da formare un fabbricato unico, in cui il palazzo di abitazione occupa l'estremità che ha la migliore esposizione climatica.
Verso la fine della repubblica, questo tipo si evolve e il palazzo di abitazione si stacca dal resto della villa, assumendo una fisionomia a sé, che varia a seconda delle regioni e dei tempi. Si moltiplicano da allora gli edifici accessorî per diletto e per ornamento. Fra questi il più usato era il portico (v.), che si addossava di solito a un muraglione sostruttivo, avendo così un lato riparato e l'altro aperto con colonne sul giardino.
Forma nobilissima era il quadriportico, usato specialmente nei peristilî, altra derivazione era il criptoportico (v.).
Un edificio, che si trova quasi sempre in una villa di una certa importanza, è l'hippodromus (v. giardino). L'esempio migliore è quello annesso all'abitazione imperiale sul Palatino, detto più comunemente "stadio", tutto di muratura, con due ordini di loggiati sovrapposti, nell'interno del quale, in epoca tarda, fu tracciato un circinus per giostre di cavalli. Altri ippodromi esistevano nella villa tiburtina di Adriano e in quella di Domiziano ad Alba, mentre dobbiamo ricostruire edifici del genere nella villa di Erode Attico sulla Via Appia, nel luogo occupato poi dal circo di Mamenzio, e in quasi tutti i maggiori horti urbani e suburbani.
Non sempre l'ippodromo era un edificio in costruzione. Nelle ville private, dove il concorso di frequentatori era assai ristretto e dove una tale costruzione importava una spesa rilevante, bastava stabilire con artificio di alberi e di piante combinate insieme un sistema di viali che presentasse le forme stesse dell'ippodromo.
Frequenti erano alcuni edifici ispirati ai monumenti greci, come le accademie, i, ginnasî, le biblioteche, ecc. Cicerone, per sistemare i suoi libri nella villa Tusculana, costruì un edificio speciale che chiamò Liceo (De divin., I, 5, 8; II, 3, 8); per erigerlo contrasse forti debiti; in seguito ne costruì un altro che fu l'Accademia (Tusc. disput., II, 3, 9) unita col Liceo in modo da formare un ginnasio completo. Nella grande villa tiburtina di Adriano abbiamo notizia di un portico detto Pecile, di un odeo, di un Canopo, di un Pritaneo, e persino di Inferi (vita Hadr., 26, 4).
È noto quanta importanza avesse il bagno nella vita dei Romani e come non vi fosse domus o villa signorile senza un balineum. Nelle case comuni il balineum era nell'interno stesso dell'edificio e occupava due o tre stanze solamente; ma nei palazzi che possedevano un giardino piuttosto grande, e tanto più nelle ville suburbane, il bagno costituiva quasi sempre un edificio speciale, tenuto con lusso anche maggiore della casa. Seneca, che vide la villa del vecchio Scipione presso Literno, si meravigliava che vi fosse un "bagno stretto e oscuro come usava nei tempi antichi" (Epist. ad Lucil., 86, 4), nel quale a tempo suo appena uno schiavo avrebbe acconsentito a bagnarsi.
Notevoli avanzi termali si vedono ancora nella villa dei Quintilî, al V miglio dell'Appia antica; nella villa di Adriano a Tivoli, la più celebre di tutte, vi erano due edifici speciali destinati a uso di terme: le grandi e le piccole terme. Terme grandiose erano anche nella villa dei Gordiani, al terzo miglio della Via Prenestina, di cui dice il biografo imperiale (v. Vita Gordiani, c. 32) che, all'infuori di quelle di Roma, erano le più belle di tutto il mondo. Non rimangono di esse che una sala ottagonale, ridotta a fortezza nel Medioevo, e un'esedra con la vòlta a conchiglia. Sebbene i riferiti esempî di terme siano tolti dalle ville maggiori, non per questo le minori ne mancavano; anzi possiamo dire che le costruzioni termali costituiscono sempre la parte principale dei ruderi di una villa, sia per l'importanza che avevano in antico, sia per l'uso che si continuò a fare di esse, fino nei tempi tardi. Per ragioni facili a comprendersi, le terme si ponevano sempre nella parte più soleggiata della villa, rivolte a mezzogiorno o a ponente, e fornite da presso di una palestra e di un giardino, per gli esercizî ginnastici e per il passeggio dopo il bagno.
Infine a monte della villa, nel luogo più alto di tutti i fabbricati, era collocata la piscina, in modo che potesse fornire acqua anche agli ultimi piani, spesso costruita in mezzo a un bosco perché l'acqua si mantenesse fresca sotto il folto dei rami. Innumerevoli sono le conserve d'acqua che si trovano in tutta la Campagna Romana, e talvolta di una villa non resta che la sola conserva. Il fatto si spiega facilmente, pensando alla necessità che avevano i Romani nel tardo impero, e poi ancora nel Medioevo, di non distruggere questi bacini che servivano per i lavori agricoli e per luogo di ristoro durante i viaggi.
Dalla piscina diramavano numerose condotture di piombo e di terracotta (fistulae aquariae) che si moltiplicavano in numero enorme, per portare l'acqua fin nei punti più remoti, costituendo per tutta la villa una rete sotterranea della quale si può ben dire che ne formasse il sistema circolatorio.
La stessa acqua formava prima una cascata (deiectus), poi scendeva a ornare dei ninfei (nymphaea, musaea), quindi terminava dispersa in fontane, vasche e bacini di ogni genere (fontes, euripi, stagna).
Bibl.: G. Lasaye, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, s. v. Villa; R. Cagnat e C. Chapot, Manuel d'archéol. rom., Parigi 1920; per la Villa di Adriano a Tivoli, vedi adriana, villa; per quella dei Golidiani, vedi prenestina, via.
Medioevo ed età moderna. - Il concetto che della villa avevano i Romani si perde dopo la fine dell'Impero e quelle meravigliose costruzioni create dalla civiltà di Roma cadono in abbandono. Perciò nell'età media, per diversi secoli, non si hanno esempî di ville e giardini.
Restano il ricordo e appena le tracce in Sicilia delle regge dei re normanni, i quali con sfarzo orientale si costruirono luoghi di delizia, che ebbero alcuni dei caratteri delle ville e furono posti sulla costa nord dell'isola. Appartennero a ville dei re normanni la Cuba e la Zisa, che nella loro architettura attestano una influenza persiana.
Delle abitazioni signorili in campagna nel sec. XIII sono scarsissimi e incerti gli esempî: è ben nota a Ravello, presso Amalfi, la villa Rufolo, di palese derivazione orientale.
Ma in Italia la villa doveva risorgere. I primi esempî si avranno intorno a Firenze, dove nei primi decennî del Trecento non vi era agiato cittadino che fuori della città non possedesse una villa.
Col rifiorire degli studî sull'antichità classica risorge anche l'antico concetto di villa romana, intesa come casa da signore, dove si trascorre in quiete e serenità qualche tempo dell'anno; ora la villa non ha più i grandiosi annessi esterni delle ville di Roma; si distinguono in essa la residenza del signore, la fattoria e le zone sistemate a verde, in parte per l'utilità e il reddito, in parte per la piacevolezza della vista e del soggiorno.
Toscana. - L'umanesimo, che in Toscana trova tutti gli elementi per svilupparsi prima e più vigorosamente che altrove, determinò tutta una fioritura di ville nella campagna fiorentina, luogo ambito per la sovrana bellezza del paesaggio e per la quiete del vivere.
Le più antiche "habitazioni da signore" pur serbando ancora la torre, la corte, la loggia e il breve orto murato, sono semplici costruzioni che rispecchiano la vita piena d'intimità e senza fasto di chi le possiede e le abita per diversi mesi dell'anno. Parecchie ville toscane dei primi del Quattrocento rivelano la loro origine di castello, di cui s'intuisce la rude mole appena ingentilita; dominanti spesso sul crinale del colle, conservano talvolta la torre massiccia o anche la merlatura ricoperta dal tetto (cfr. villa Salviati, il Trebbio e Cafaggiolo, opere di Michelozzo). Comune a quasi tutte le ville toscane è il cortile, centro di tutta la costruzione, piuttosto grande e armonioso, con vasca adorna di sculture. Le logge e le sale maggiori della villa sono spesso affrescate, secondo l'uso seguito anche nei palazzi di città: hanno facciate semplici con larghi spazî dove domina il bianco della calce, con larghe e forti incorniciature di pietra agli angoli della casa e intorno alle porte e alle finestre, tanto se la villa si affaccia sul prato o sul giardino a scomparti, quanto nel caso, assai più comune, che l'abitazione fronteggi la strada, e questa si allarghi soltanto davanti all'ingresso, perché ogni solennità fastosa ed esteriore manca nelle ville toscane. Anche il giardino, gli orti e i frutteti intorno alla casa non sono disposti in rigide e grandiose simmetrie, ma, disegnati in settori brevi, si distendono sulle pendici della collina seguendo l'andamento naturale del terreno; alcuni viali di cipressi inquadrano queste composizioni varie e tuttavia disegnate a scomparti tipicamente italiani.
La famiglia Medici, per tutta la Rinascenza, dà un largo impulso alla costruzione delle ville ed è imitata dalle altre famiglie potenti e facoltose. Nella prima metà del sec. XV Michelozzo, per ordine di Cosimo il Vecchio, lavora alla villa di Careggi, fuori le mura di Firenze, comprata nel 1417 quando era "palagio" provvisto di corte, loggia, pozzo, vòlta, colombaia, torre e orto murato. Opera notevole di Michelozzo è la villa Medici a Fiesole (1458-61). Per Lorenzo il Magnifico (1449-92) Giuliano da Sangallo ricostruisce la villa di Poggio a Caiano, non meno interessante per i ricordi storici che per la sua architettura, esempio mirabile di composizione serena, armonicamente incastonata nel paesaggio. Appartenne ai Medici, che l'acquistarono nel 1477, la villa reale di Castello, presso Sesto Fiorentino, ingrandita e restaurata nella prima metà del Cinquecento dai più insigni artisti del tempo: il Tribolo ne architettò il giardino ornandolo di sculture sue e di altri artisti, come l'Ammannati e il Giambologna.
Tra le ville più belle e famose intorno a Firenze si ricordano la villa di Artimino fatta costruire da Ferdinando I al Buontalenti; i "Collazzi" presso Giogoli, per la bellissima architettura dovuta a Santi di Tito, e il castello della Petraia, venuto in possesso dei Medici nella seconda metà del Cinquecento, ridotto a villa principesca da Bernardo Buontalenti; presso S. Domenico la celebre villa Palmieri, già chiamata Schifanoia: dove, secondo la tradizione, il Boccaccio avrebbe trovato rifugio durante la peste con le novellatrici del Decameron; sulla Via Bolognese la villa Capponi, detta "della Pietra", esempio tipico di architettura secentesca degli architetti Fontana e Ruggeri, possiede uno dei più tipici giardini all'italiana del Sei e Settecento, ricco di statue, di colonnati e di architetture realizzate col verde in un insieme che è opera d'arte squisita.
Mentre durante il sec. XVIII nei dintorni di Firenze è meno sentito il bisogno d'impiantare nuove ville, gli esempî più belli di quest'epoca, con parchi d'incantevole e suggestiva bellezza, si vanno creando nella Lucchesia e in altre parti della Toscana. Sono celebri presso Lucca la villa di Camigliano e più la villa reale "La Marlia" e la villa Mansi a Segromigno, di grandioso stile settecentesco. Vicino a Pescia basta ricordare la famosa villa di Collodi, con un parco di una grandiosità non comune in Toscana, che segue lo schema architettonico delle superbe ville romane.
Lazio. - A Roma la fioritura delle ville comincia assai più tardi che in Toscana. La prima villa romana è fatta costruire da Innocenzo VIII (1481-92) sul Colle Vaticano: questa residenza fuori di città aveva più del castello medievale che della villa toscana. Giulio II (1503-1513) la fece unire dal Bramante al resto del palazzo Vaticano per mezzo di rampe, terrazze e scalee. Ad altre ville e giardini diede opera il Bramante per ordine di pontefici. È questa l'epoca nella quale papi e cardinali, gareggiando in magnificenza, cominciano a costruire ville nella campagna, imitati dalle casate più signorili. Lo splendore della vita papale e cardinalizia impronta le ville romane, che sorgono quasi sempre in località dominante, a sfondo di larghe prospettive ottenute col verde, rese solenni da scalinate e fantastiche dai giuochi delle acque abbondanti nella Campagna Romana. Queste residenze dei principi della Chiesa hanno volumi imponenti, solenni, squadrati, con un forte chiaroscuro creato nelle facciate per mezzo di logge profonde, nicchioni, portici, con andamento semicircolare ed esedre che ricordano le grandi terme di Roma. L'aggruppamento degli ambienti è fatto in modi così varî e diversi, in queste ville, che non è possibile darne qui un breve riassunto.
Il banchiere senese Agostino Chigi fa costruire da Baldassarre Peruzzi (1508-11) una villa sulle rive del Tevere, sotto il Gianicolo, detta poi "La Farnesina". Nella seconda decade del Cinquecento, su disegni di Raffaello, il cardinale Giulio de' Medici innalza una villa sulle pendici di Monte Mario, che è considerata il capostipite delle ville del Cinquecento; fu detta poi "Madama", quando venne in possesso di Margherita Farnese; interrotta a causa del sacco di Roma, è rimasta incompiuta. Morto il Bramante (1514) le concezioni e i disegni di Raffaello hanno larga influenza sui progetti fatti in seguito. È l'epoca delle più famose ville romane: il cardinale Ricci da Montepulciano fa elevare da Annibale Lippi, sul Pincio, quella che sarà poi villa Medici; presso la Via Flaminia il cardinal Del Monte, futuro Giulio III fa costruire dal Vignola la sua villa, dove lavorano anche l'Ammannati e il Vasari. Nel 1550 s'iniziano i lavori del massimo esemplare di queste ville che hanno i caratteri del pieno Cinquecento: villa d'Este a Tivoli, ordinata a Pirro Ligorio dal cardinale Ippolito d'Este. Più lontano da Roma la celebre villa Lante a Bagnaia, presso Viterbo, in uso dei cardinali vescovi, ebbe dal vescovo G.F. Gambara (1566) la sua fisionomia attuale; nei Monti Cimini il Vignola per Alessandro Farnese innalzò (1547-59), sulla base pentagona tracciata dal Sangallo, la monumentale villa di Caprarola. Nel secolo XVII, quando raggiungono potenza e splendore le famiglie principesche imparentate con pontefici, il cardinale Scipione, nipote di Paolo V, dopo aver cominciato la costruzione di villa Borghese sul Pincio, compra (1614) la villa di Mondragone a Frascati, già costruita dal cardinale Altemps, la ingrandisce e migliora. La più splendida villa di Frascati è la villa detta "Il Belvedere", iniziata da Giacomo della Porta sotto Clemente VIII (1592-1605) e continuata poi da C. Maderna e da D. Fontana. Questa residenza d'aspetto regale, qualificata "regina villarum" fu innalzata dal papa per il nipote Pietro Aldobrandini. Appartennero alla medesima famiglia altre ville in città e in campagna; quella sul Pincio, con i noti affreschi del Guercino, fu demolita per esigenze dell'ampliamento di Roma. Allo sviluppo edilizio della città è da attribuire la scomparsa anche di altre ville: ricprdiamo tra queste ultime la villa Montalto, la Massimo, la Alfieri, la Rospigliosi, la Patrizi e il Vascello.
Tra le ville grandiose edificate fuori delle porte di Roma è da menzionare la Villa Pamphili-Doria costruita fuori porta S. Pancrazio, sotto il pontificato d'Innocenzo X (1644-55)
Il periodo della magnificenza delle ville dura a Roma circa un secolo: da Paolo III a Urbano VIII; mentre la parte residenziale della villa accentua i suoi caratteri di solida magnificenza comuni a tutte le ville romane, la grandiosità del parco raggiunge in quest'epoca il suo apogeo sia a Roma sia in tutta Italia. Verso la fine del Cinquecento incominciano esempî frequenti di ville a corpo di fabbrica allungato, con larga fronte che s'imposta sull'asse principale del giardino. Dopo il tardo Rinascimento il carattere delle ville influisce sensibilmente sull'impostazione di molti palazzi, costruiti nelle zone ancora verdi e spesso marginali della città (cfr. palazzo Barberini a Roma e palazzo Capponi a Firenze). È l'epoca nella quale la villa italiana viene imitata anche oltre le Alpi. Dopo Urbano VIII il bisogno di costruire nuove ville diminuisce e a mano a mano alla severa grandiosità succede un senso di grazia e di capriccio nelle composizioni degli edifici e nei parchi, che hanno minori dimensioni.
Una villa in Roma rappresenta questa nuova tendenza, di concezione e di gusto francese: la villa Albani, costruita verso il 1750 da Carlo Marchionni. Si ricordano altre piccole ville di tipo settecentesco: la villa Corsini sul Gianicolo, villa Patrizi fuori Porta Pia, la villa del Priorato di Malta sull'Aventino, dei Piranesi, ed altre. Negli Stati della Chiesa alcune famiglie papali ebbero ville importanti: a Pesaro, i Della Rovere (Guidobaldo II) fecero costruire da F. Trezi e B. Genga la villa di Miralfiore; a Spello il Piermarini architettò "La Fidelia" (villa Costanzi). La più celebre delle ville marchigiane del Rinascimento è la villa dell'Imperiale a Pesaro, fatta costruire da Alessandro Sforza e più tardi ampliata da B. Genga.
Veneto. - Nei primi decennî del Quattrocento, sorgono a Venezia le prime ville; non v'era umanista che non ne possedesse. Alcuni dei più ricchi castelli medievali vennero trasformati nell'interno per essere adattati al soggiorno del padrone, che predilige la vita campestre durante lunghi periodi dell'anno; spesso all'esterno rimase la forma primitiva con la torre, le merlature e le piccole finestre; queste prime ville, case semplici secondo le esigenze non eccessive dei padroni, ma tuttavia caratteristiche ed eleganti, presentavano spesso un portico con loggiato sovrapposto, aperto verso mezzogiorno; la scala in molti casi appariva all'esterno; le stanze si affacciavano sulla loggia, dalla quale potevano aver disimpegno.
Contribuiscono a costruire ville di questo carattere Domenico di Giovanni da Venezia, Gian Pietro Cermison e Stefano da Ravenna. Verso la fine del Quattrocento, Pietro Lombardo inizia e dà impulso al carattere classico; con lui lavorano Tommaso e Bernardino da Lugano. Andrea Palladio (1518-1580) iniziò la sua attività come costruttore di ville con villa Godi a Loneto; tutto il Vicentino sarà adornato da quelle classiche creazioni, alle quali egli dà un ampio respiro: le colloca in località scelte accuratamente ottenendo un'imponenza prima non conosciuta; le ville palladiane devono essere sempre considerate in rapporto alla località nella quale sorgono, perché il paesaggio ne è parte determinante e integrante. Si ricordano villa Thiene presso Quinto, villa Badoer presso Fratta Polesine, villa Barbaro a Maser (Treviso) con affreschi del Veronese, fra le molte.
L'architettura delle ville venete dell'alto Rinascimento è dominata dall'influenza del Palladio e della sua scuola. Nei caratteri espressivi fissati dal maestro nella costruzione delle sue ville si possono riconoscere quattro schemi: villa con atrio sostenuto da pilastri; villa con atrio e colonne; villa con atrio sormontato da loggia, e un tipo intermedio fra i due ultimi, nel quale un solo ordine di colonne abbraccia tutt'e due i piani.
La villa più celebrata per la sua perfezione formale è la "Rotonda" così detta per la forma della grande sala centrale; costruita per monsignor Paolo Armelico, verso la metà de sec. XVI, rimase incompleta e fu continuata con modificazioni dallo Scamozzi; altri poi la completò secondo il disegno originale palladiano.
Allo Scamozzi (1552-1616), allievo d'Andrea Palladio, sono dovute alcune ville importanti, che arricchirono il Veneto nel Seicento (villa Duodo a Monselice, ecc.). Verso la metà di questo secolo la villa d'un patrizio veneziano, sappiamo, per descrizione di contemporanei, che aveva caratteri di grandiosità e di fasto proprî della ricca Repubblica veneta. La villa Contarini presso Padova, costruita su disegni del Palladio, aveva più di 80 stanze, ampie sale, gallerie spaziose, immensi porticati adorni di statue, una chiesa provvista di cinque organi, due grandiosi teatri a quattro ordini di palchi e una tipografia; infine un istituto musicale per diecine di fanciulle.
Nel Seicento fiorì quel capolavoro che fu la villa Barbarigo a Valsanzibio presso Battaglia.
Tra gli architetti che hanno elevato ville nel Vicentino sono da ricordare il Pizzo Caro, il Muttoni, il Borella; a quest'ultimo, che dimostra nelle sue opere lo studio del Palladio, sono attribuite alcune ville degli ultimi decenni del Seicento e dei primi anni del Settecento: la Barban Capra (1671), la Porto Barbaran a Montorso (1674), ecc. Al Muttoni è attribuita la villa Zileri a Biron, che prelude, nella sua composta grandiosità, al ritorno alle forme classicheggianti seguite dopo la morte del Muttoni dalla nuova scuola, come nelle ville Bonomo e Ganzerla (1760) dell'Arnaldi e nella villa Porto a Vivaro del Calderai. Esempio monumentale di villa settecentesca è la celebre villa di Stra, costruita da F.M. Preti su progetto di G. Frigimelica, sostanzialmente modificato quando Alvise Pisani fu eletto doge (1736-56). Al principio dell'Ottocento gli architetti di ville, come il Malacarne ed il Caregato-Negrini, si mantennero fedeli ai modelli neoclassici; ma col sopraggiungere del gusto romantico non solo si modificarono i parchi secondo le nuove tendenze, ma incontrarono favore i rifacimenti di stile e l'imitazione dei castelli.
Liguria. - Fino dal secolo XIV alcune famiglie patrizie genovesi (Doria, Spinola, Durazzo, Centurione e altre) avevano ville e giardini nella regione di Albaro sulle alture affacciate sul golfo, che, a dire del Petrarca, superavano l'architettura superba dei palazzi. Queste prime ville genovesi hanno una costruzione massiccia, a pianta quadrata, con gli ambienti disposti generalmente in tre piani; terreno, piano nobile e sottotetto: vi si nota la torre, talvolta immedesimata col corpo principale, talvolta staccata, come vediamo nelle pitture dei primi del secolo. Le logge, in alcune, rendono meno pesante il fabbricato, che ha le fronti adorne di bifore e trifore rivestite di materiali pregevoli. Nelle ville più antiche c'è un carattere di maggiore semplicità e le facciate sono tinte di bianco o a zone alternate di bianco e nero. Semplice e chiara è la distribuzione degli ambienti, a terreno il vasto atrio disimpegna due o tre camere coperte a vòlta, e si accede dall'atrio allo scalone ampio e arioso, voltato su archi e adorno di balaustra marmorea; al piano nobile è il salone di ricevimento, dal quale si accede alle stanze; qui i soffitti sono di legno, decorati a intaglio o coloriti a tinte vivaci. La loggia del piano nobile è volta a mezzogiorno o verso la migliore veduta. In generale le ville genovesi non hanno uno sviluppo volumetrico grandioso; raggiungono alta magnificenza nel Rinascimento per opera di Galeazzo Alessi trasferitosi da Perugia a Genova nella prima metà del Cinquecento. Le ville alessiane sono d'impostazione nettamente simmetrica, con la facciata divisa in tre comparti e rivestita di ordini architettonici. La disposizione degli ambienti nella villa è ben diversa da quella dei palazzi in città, dove le stanze si trovano intorno al cortile centrale; le ville hanno invece un solo corpo di fabbrica a quattro facciate. L'atrio a piano terreno sta al centro della costruzione, della quale occupa tutta la larghezza; la scala principale, comoda e spaziosa, sbocca nella loggia che si apre al piano superiore.
L'Alessi costruì per le maggiori famiglie diverse ville ed altre ne trasformò; i parchi da lui impiantati sono di larga impostazione assecondando l'andamento del terreno con composizioni varie e pittoresche. L'esempio tipico delle ville dell'Alessi è la villa Cambiaso, costruita per la dimora estiva del patrizio Luca Giustiniani; quest'opera di chiara, semplice e vivace euritmia è considerata il suo capolavoro. Si hanno di lui la villa Scassi, detta "la Bellezza", fatta edificare da Vincenzo Imperiale a Sampierdarena verso il 1560; la villa del Pallavicino, detta "le Peschiere", edificata nella stessa epoca dal marchese d'Elia; la villa D'Oria, abbellita alla fine del sec. XVI dal Pannone, Andrea Ceresola da Lanzo d'Intelvi, al quale è attribuito anche il progetto della villa Bombrin edificata per i marchesi di Saluzzo. Tra le ville genovesi del Rinascimento si ricorda la villa imperiale di Sant'Angelo attribuita a G.B. Castello detto il Bergamasco, che introdusse a Genova i concetti decorativi della scuola lombarda.
Dopo l'Alessi numerosi furono i seguaci e gl'imitatori, fra i quali si ricordano G.B. Castello già citato, Rocco Lurago, Giovanni Falconi, G.B. Grizzo, Andrea Ceresola e Gaspare Della Corte.
L'architettura delle ville genovesi del Seicento è assai meno ricca nella concezione e nell'impiego dei materiali. I prospetti delle private abitazioni furono spesso decorati con affreschi da pittori di bella fama; si ricorda la villa Franzoni. Seguendo i caratteri dello stile alessiano fu costruita nella seconda metà del sec. XVII la villa di Groppallo allo Zerbino, successivamente abbellita e dotata di opere d'arte.
È ben nota specialmente per il suo parco, tra le ville principesche genovesi, la villa Durazzo-Pallavicini a Pegli, architettata da Michele Canzio tra il 1837 e il 1846.
Piemonte. - Nel Piemonte il costume di costruirsi ville propriamente dette si diffonde più tardi che in altre regioni d'Italia; le famiglie patrizie serbarono il nome di castello anche a costruzioni di campagna che meglio erano da chiamarsi ville per la grandiosa ed armonica serenità della loro composizione. Nel sec. XVI, anche se abbondano i luoghi di villeggiatura, l'edilizia in questo genere offre esempî modesti. È soltanto all'inizio del sec. XVII che si hanno le ville più note, che hanno poi subito numerose modificazioni.
Sulla collina di Torino, nel Seicento, la villa della Regina o villa Ludovica, è costruita da Ascanio Vitozzi, ampliata dal Castellamonte e nel Settecento dall'Aliandi; vicino a Mirafiori G. Battista Trucchi, barone della Generala, fa costruire la villa che portò il suo appellativo. Numerose erano le ville di residenza ducale: vicino a Torino la villa di Rivoli che subì notevoli vicende edilizie; esistente già nel sec. XIII, ampliata da Emanuele Filiberto, abbellita da Carlo Emanuele I e II, su disegni del Castellamonte, fu distrutta dai Francesi nel 1691 e ricostruita da Vittorio Amedeo II su piani dello Juvara. Inoltre, il Valentino acquistato nel sec. XVI, e ricostruito nel XVII da Cristina di Francia; la Vigna della regina, o di Madama reale, costruita dalla stessa Cristina su disegni del padre Andrea Costaguta.
Le ville piemontesi divengono assai numerose e particolarmente caratterizzate nel sec. XVIII. Le ville hanno tuttavia carattere di semplicità; si supplisce alla scarsezza dei materiali nobili adornando le facciate di stucchi e pitture. Opera caratteristica del sec. XVIII in Piemonte è la cosiddetta palazzina di caccia di Stupinigi, opera di F. Juvara, assai modificata durante la costruzione dal primitivo progetto. La disposizione magistrale delle masse del fabbricato porta a valorizzare la parte centrale ottenendo un effetto piacevolissimo di accogliente grandiosità. Sono caratteristici di queste ville settecentesche, sempre rigorosamente simmetriche, i cortili d'onore aperti dal lato frontale, che antistanno al corpo principale del fabbricato; dal lato aperto questi cortili d'onore sono limitati da cancelli e pilastri. L'accesso alle ville è sempre composto con particolare studio e ornato da filari di piante disposte con gusto decorativo e scenografico.
Nel suo insieme la villa del Settecento ha una semplice veste esteriore, si abbellisce di terrazze contornate da balaustre, di larghi ripiani e scalee, mentre la facciata è resa pregevole con qualche balcone adorno di ringhiere di ferro lavorato. Di solito le fronti sono intonacate e tinteggiate con colori chiari; talvolta la struttura laterizia è lasciata in vista, come a Castagneto, Agliè, Guarene, Priè, ecc. L'uso genovese delle facciate dipinte e affrescate ha influito in Piemonte: si osservi la Vigna del cardinale Maurizio, il palazzo del marchese Garessio al Gerbido, il castello di Pianezza, del marchese di Simione. In quasi tutte le ville dell'epoca si trova l'oratorio privato. Notevoli anche villa Agnelli a Villar Perosa (Torino) fatta costruire da Vittorio Amedeo II su disegno dello Juvara, ora di proprietà Agnelli e la "Tesoriera" a Pozzo di Strada (Torino) costruita da Aimone Ferrero di Cocconato alla fine del Seicento.
Napoletano e Sicilia. - Solo nel Settecento si hanno caratteri proprî nelle ville napoletane, che sorsero in special modo presso la reggia di Portici. L'edificio sorge di solito presso la strada e ha un'architettura larga e riposante che sposa felicemente il carattere cittadino a quello rustico. Sul tergo si sviluppa largamente il giardino fino al mare. Numerose ville sorsero alla fine del Settecento a Posillipo e sulla collina del Vomero.
Il celebre e monumentale esempio del Napoletano è la reggia di Caserta; quest'opera di eccezionale grandiosità è dovuta al genio di Luigi Vanvitelli. Esempio notissimo dell'Ottocento è la villa "La Floridiana" costruita sul Vomero per la moglie morganatica di Ferdinando I. La villa Reale di Portici, villeggiatura preferita dei Borboni, fu costruita per Carlo III da A. Canevari tra il 1737 e il 1743.
In Sicilia abbiamo un carattere particolare che si può apprezzare nell'ambiente fertilissimo e ricco di colore. Fino al secolo XVIII non sorgono gli esempî più caratteristici. Queste ville del Settecento siciliano, costruite intorno alla capitale Palermo (San Lorenzo Colli) e a Bagheria, giacciono spesso in pianura e sono un po' grossolane nei particolari ricordando certe ville lombarde della fine del Barocco, ma non reggono il confronto, anche per minore entità, con i palazzi sfarzosi della pianura lombarda. È ben raro che un vero soffio di arte potente e unitaria si possa riconoscere in queste architetture, che spesso difettano di un'appropriata incorniciatura di verde; tuttavia non manca l'effetto imponente ottenuto col giuoco spaziale e con la massa architettonica. Sono caratteristici e piacevoli nelle facciate i larghi piani chiari d'intonaco ben intelaiati da riquadri e lesene di pietra scurissima. Questo barocco, sviluppatosi in ritardo nelle ville, è ricco di chiaroscuri e di trovate decorative, che si esprimono con bizzarrie figurative e con giuochi architettonici di arcate e scalee scenografiche, che riescono a creare immagini indimenticabili.
Uno degli esempî tipici delle ville siciliane poste intorno a Palermo è la villa di Valguarnera, fatta costruire dalla principessa Marianna Valguarnera. Un ampio giardino circonda la villa solcato da lunghi viali; le antiche stampe mostrano la villa col suo scenografico prospetto dominato dall'alto timpano a sfondo dell'ampio giardino, compartito all'italiana, adorno di statue, dell'arco trionfale e con bellissimi pomarî e alberate spartite da viali a raggera. Gl'interni sfarzosi, decorati con gusto spagnolesco, ci mostrano l'estrema maturità di un periodo stilistico che lumeggia la civiltà e il modo di vita dell'epoca. Altra villa tra le più note è quella del principe di Palagonia ricordata dal Goethe; essa fu fondata ai primi del sec. XVIII da un principe folle che l'adornò con mostri bizzarri oggi scomparsi; non rimane che il palazzo; anche questa villa ha molti dei caratteri della precedente ed è adorna d'ampie scalinate. A Palermo si ricordano: villa Tasca, villa Trabia e la villa dei principi di Castelnuovo.
Lombardia. - Il diffondersi dell'uso di costruire ville nella campagna lombarda non coincide, come nel Veneto e in Toscana, con il periodo della rinascenza delle arti e delle lettere, ma piuttosto col consolidarsi della prosperità economica, col diffondersi dei commerci irradiati dal maggiore centro della zona, Milano. Per queste residenze signorili estive del patriziato lombardo furono preferiti la Brianza, il Bergamasco e soprattutto le rive dei laghi. È comune a queste ville un aspetto di grande dignità, anche se i particolari non raggiungono sempre la finezza espressiva di certe altre regioni. Per quanto impostate con larghezza e ordinate da valenti architetti, spesso le ville di Lombardia sono più notate per la vastità delle membrature architettoniche che per il loro intrinseco valore espressivo. Tuttavia le vediamo bene ambientate e largamente dotate di verde; con il diffondersi del gusto straniero e dei parchi romantici, trovarono grande favore in Lombardia i giardini d'impostazione naturalistica, detta all'inglese.
Nei primi dell'Ottocento fiorirono nella regione briantea le case di villeggiatura milanesi, per lo più non vaste, quasi sempre situate in cima a un poggio, con terrazze e circondate da giardini, di schietto sapore italiano.
Citiamo villa Crivelli e villa Cagnola a Inverigo; le ville Mellerio, Greppi, Marliani, Trotti ed altre sparse nella ridente Brianza. L'architetto romano G. Ruggeri diede opera a varie e importanti ville nel Milanese: villa Trivulzio a Omate, villa Visconti di Saliceto (1719) a Cernusco sul Naviglio, villa Arconati-Visconti a Cortellazzo, villa Belgioioso a Merate (Como). Numerose sono le ville che sorgono intorno ai laghi lombardi; sul Lago di Como sono da ricordarsi villa "all'Olmo", già dei Raimondi, cominciata a costruire nel 1782 su disegno di S. Cantoni; famosa è la villa d'Este a Cernobbio, costruita (1568) dal cardinale Gallio; poi la villa Pizzo, edificata da un senatore milanese a metà del sec. XVI, tutta circondata da severi cipressi. A Tremezzo si trova la villa Carlotta, del 1757, adorna di un magnifico giardino; nel principesco palazzo si ammirano le opere dei più celebrati artisti del sec. XIX. A Bellagio la villa Serbelloni; la Pliniana eretta dai conti Anguissola (1570) nel Lario e la villa Arconati-Visconti, di bella architettura, edificata nel 1790 per il cardinale Durini. Una grandiosa villa è quella Melzi, vicino a Bellagio, di origine cinquecentesca, costruita su disegno dell'architetto Albertolli, luganese, a linee semplici ed armoniche; l'edificio, rifatto dal 1810 al 1815 per cura del conte Francesco Melzi d'Eril, è il maggiore esempio di tutto il lago. Ricco di ville è il Lago Maggiore; quelle famose dell'Isola Bella e dell'Isola Madre (v. borromee, isole) hanno stupendi giardini all'italiana, con dieci terrazze sovrapposte, coperte di cedri e sempreverdi, rotte da archi, statue e fontane, e una residenza principesca che ha molti caratteri del palazzo. Ricordiamo tra gli esempî monumentali: a Cassano d'Adda, villa Borromeo del Piermarini e villa Brambilla; villa Visconti a Brignano (Bergamo) di Gio. Ruggeri, al quale si attribuisce da taluni anche la sontuosa villa Belgioioso presso Pavia, trasformazione dell'antico castello del sec. XIV.
Emilia. - Tra le ville estensi si ricorda la secentesca villa delle Pentitorri (Modena) già luogo di delizia della corte modenese; la regale villa di Sassuolo, opera dell'architetto Avanzini, che trasformò per residenza dei duchi il vecchio castello. La villa ducale di Colorno a Parma, creata per residenza estiva dei Farnese, fu soprattutto famosa per il meraviglioso giardino.
Paesi esteri. - Sulla costruzione delle ville fuori d'Italia, sviluppata e affermata in diversi paesi solamente nel tardo Seicento e Settecento, è stato fortissimo l'influsso dell'architettura italiana del Rinascimento. Numerosi architetti italiani, specialmente lombardi e grigionesi, hanno lavorato presso le corti dell'Austria, della Germania, della Russia, ecc., avendo come collaboratori e discepoli architetti locali.
In Francia la dimora in campagna è ancor sempre il castello. Spesso si hanno esempî di ville ("maison de plaisance") che sono derivazioni in formato ridotto di quelle vaste e imponenti residenze. Solo nel secolo XVIII si sviluppa un tipo apposito per la dimora temporanea in campagna, che riprende lo schema dell'antico castello riducendone l'estensione e affinandone le forme; la composizione planimetrica, derivata da quella tipica dell'hôtel, è più libera ed ampia. Si ricorda il Petit Trianon del Gabriel, a Versailles, l'Hôtel Labottière a Bordeaux del Laclotte e lo Château de Bagatelle presso Parigi del Belanger, tutti della seconda metà del Settecento.
In Inghilterra e in Olanda prevale per diversi secoli il castello (castle). Fra le numerosissime dimore di campagna non mancano le ville che dimostrano influssi dell'arte italiana del Palladio, oltre a quelli del castello e dell'hôtel francesi. Tali costruzioni presentano una massa simmetrica e armonicamente proporzionata; gl'interni sono finemente trattati e di buon gusto; la forza della tradizione e il senso di praticità, innati nell'Inglese, faranno sì che l'arte dell'abitare raggiunga la sua forma più elevata; e questi esempî avranno in un periodo successivo la loro influenza nel continente e nell'America Settentrionale. Si ricorda la villa della Regina a Greenwich e Lindsayhouse di J. Jones, Stokepark e Horseheath Hall di Pierre Post, in Inghilterra; per l'Olanda la villa Vredenburgh e Ryxdorp e Das Haus im Busch a L'Aja, la villa Houlaerdyk di J. van Campen.
In Germania rari sono gli esempî di ville nel Cinquecento (Lusthaus, Jagdhaus). Verso la seconda metà del Seicento i principi chiamano gli artisti (tra gl'italiani il Viscardi e G. Gabrieli in Baviera, Gaetano Chiaveri a Dresda, il Retti a Stoccarda) cui si affida la costruzione di palazzi reali e residenze principesche, di complessi enormi e fastosi, con molti padiglioni, giardini, ecc. Forte è anche l'influsso degli artisti francesi nei principati della Renania. Si accenna alla villa Nymphenburg del Viscardi a Monaco, al Castello di Bruhel di J.C. Schlaun e F. de Cuvilliés, presso Colonia, alla Favorite, a Monrepos e alla Solitude presso Stoccarda, alla villa di Benrath di N. de Pigage; alla villa Monaise presso Treviri del Mangin; alla villa di Clemenswerth, alle ville in Dresda e in Kassel, tra le molte. Le opere citate, per la loro mole e per l'estensione potrebbero meglio annoverarsi fra i palazzi, ma, dato il loro carattere di dimora temporanea, sono delle vere ville. Sviluppano in pieno i caratteri dello stile barocco grandioso e fastoso, gaio e aperto. Più chiaro aspetto di villa hanno poi quelle costruzioni di data più recente nelle tenute della Prussia Orientale, del Brandeburgo, nelle corti dei nobili (Adelshöfe) della Bassa Renania e della Vestfalia (Münster, architetto Schlaun). Nei primi decennî dell'Ottocento rifiorisce la villa propriamente detta nei pressi delle grandi città; a Berlino, per opera dello Schinkel, come nella Prussia Orientale prevale uno stile classicheggiante.
Similmente accade per le ville in Boemia, Slesia e Polonia; in quest'ultima se Baranów (sec. XVI) ha ancora aspetto di castello, le ville monumentali non sono rare specie nei secoli XVII e XVIII, così per es. Wilanów (Villa Nuova) del re Giovanni III Sobieski presso Varsavia.
Similmente in Austria è una forte attività nell'architettura dopo le guerre turche (Carlo VI, 1711-40, Maria Teresa 1740-80); insieme con architetti locali lavorano moltissimi Italiani creando opere pregevoli, di carattere barocco. La politica edilizia dei sovrani e dei nobili tende alle costruzioni di palazzi monumentali che ci testimoniano il fasto dell'epoca.
In Russia, specialmente sotto Pietro il Grande (1682-1725) e Caterina II (1762-1796), la costruzione della villa trova favore. Domina il fascino dell'architettura palladiana, un gusto più severo di quello barocco è evidente. Gl'Italiani primeggiano creando l'architettura di quell'enorme paese; la loro attività, e quella dei discepoli, a Pietroburgo, a Mosca, nelle provincie, non è ristretta a costruzioni governative e private di ogni genere e dimensione, ma è volta anche alla costruzione di ville, come nelle grandi tenute intorno a Mosca, commissionate da ricchi mercanti e principi moscoviti. Essi portano la costruzione della villa ad un'espressione estetica e ad un gusto formale di alto livello, che si mantiene fino a tutta la prima metà dell'Ottocento. Ricordiamo il Rastrelli, il Camporesi, il Gilardi, il Brenna e l'Orezzini. Del Quarenghi sono le ville nelle tenute a Tula, a Kiev e altrove. Fra gli architetti russi di quell'epoca vanno ricordati M.F. Kazakov e J. Baženov. L'architetto che diede più austera espressione alle sue opere fu Domenico Gilardi (primi dell'Ottocento); di lui si ricordano le ville costruite nelle tenute delle famiglie Najdenov e Golycin, nella tenuta Trubeckoj presso Char′kov ed altre. Tutte queste costruzioni si presentano nella loro forma di austera composizione, prevalentemente di stile neoclassico, con grandi colonnati, porticati, corpi centrali, cupole, ecc. Gl'interni sono accuratissimi e armoniosi; varî padiglioni e ricchi giardini completano queste dimore di provincia.
La villa contemporanea. -. Dopo la prima metà del sec. XIX, coi profondi mutamenti economici e sociali che l'Europa subisce, anche la villa risente dello smarrimento dell'architettura. Spuntano dappertutto le ville, ma il gusto è malfermo ne si decide tra il moresco e il neogotico, il neorinascimento, ecc.: trionfo dell'eclettismo. In tempi più recenti la villa cede il posto a un altro genere di costruzione più rispondente alle aspirazioni dell'attuale borghesia: il villino. Tuttavia anche nell'epoca contemporanea vi sono numerosi e buoni esempî di ville. Come in ogni abitazione moderna, anche nella villa si rivela, rispetto al passato, una più diligente utilizzazione dello spazio, una maggior cura nel disimpegno dei locali, una più netta differenziazione tra i varî tipi di stanze, a seconda dello scopo cui devono servire; e anche una notevole diminuzione sia degli ambienti detti di rappresentanza (vestiboli, anticamere, saloni, ecc.), sia di quelli destinati all'ospitalità. Nel settore in cui si svolge la vita intima hanno larga diffusione i servizî personali; inoltre sono oggetto di accurata organizzazione, e largamente sviluppati, i servizî e gl'impianti generali.
Gran parte della villa d'oggi è caratterizzata dall'abitudine e dall'esercizio degli sport; così non mancano il bagno con piscina, la stanza di ginnastica, le terrazze per il bagno di sole e, negli annessi tenuti a verde, la piscina scoperta, i campi per il golf, il tennis e altri giuochi. Nella composizione dei settori destinati alla vita notturna, e in genere alla residenza familiare, si notano appartamenti appositi per bambini.
Abitudini diverse dal passato, diversità di tendenze artistiche, evoluzione igienica e in genere l'affermarsi del razionalismo e dei criterî economici, hanno dunque determinato nuove impostazioni della villa contemporanea, che non risulta vincolata a schemi formali, ma tende, con sintesi espressiva, al pieno appagamento delle necessità di vita. Riassumendo si può dire delle tendenze contemporanee che tanto l'aggruppamento degli ambienti quanto la composizione spaziale delle fronti è liberissima, in quanto non obbedisce a schemi preconcetti, si sviluppa, raramente su assi di simmetria, a seconda delle necessità funzionali, tenendo ben conto del clima, dell'orientamento dei locali, delle vedute panoramiche e della natura circostante. Si notano perciò notevoli differenze tra la villa di montagna e quella sui laghi, quella vicino alla città e quella al mare. Ma sempre la casa e il giardino tendono a immedesimarsi l'una nell'altro e l'architettura murale e quella del verde obbediscono allo stesso concetto unitario. V. tavv. LXXXIII e LXXXIV.
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