ADRIANA, VILLA
. Di questa vasta e ricchissima villa tiburtina abbiamo appena qualche ricordo lasciato dagli storici, dai quali apprendiamo soltanto che Adriano, reduce dal suo primo grande viaggio nelle provincie orientali dell'impero, nell'a. 126, fece iniziare i lavori della grande villa presso Tibur (Tivoli) per trascorrervi, uti beatis locupletibus mos (come fanno i fortunati doviziosi) il resto della sua vita in una sfarzosa tranquillità (Aur. Vict., De Caes., XIV, 11). Alle varie parti della villa accenna sommariamente un passo della Historia Augusta (Vita Hadriani, 26) riferendo che l'imperatore, per serbare memoria dei luoghi e degli edifici che più avevano colpito la sua fantasia di artista nel corso dei suoi viaggi, aveva divisato di far riprodurre nella nuova villa il Liceo, l'Accademia, il Pritaneo ed il Pecile, edifici o luoghi celebri di Atene, il canale di Canopo, antico porto del Delta del Nilo, la valle di Tempe in Tcssaglia e perfino gli Inferi, quali li aveva descritti la fantasia dei poeti.
Adriano partì per l'Africa nel maggio del 128, per far ritorno a Roma nel novembre successivo. Si rimise in viaggio nel maggio del seguente anno 129 per visitare di nuovo Atene, le provincie asiatiche, la Siria e l'Egitto. Il ritorno a Roma da questo suo secondo grande viaggio avvenne nei primi mesi dell'anno 134. Trovò la sua villa già terminata o quasi, ed è possibile che nuove idee gli si fossero destate durante la lunga peregrinazione. Poté godere della villa soltanto negli ultimi anni della sua vita; infatti dal 134 in poi non lasciò più Roma, se non per brevi soggiorni estivi, fino alla sua morte, avvenuta a Baia il 10 luglio 138.
La Villa Adriana trovavasi sulla destra della via Tiburtina, poco oltre il ponte Lucano, e si estendeva fin quasi alle pendici del monte Ripoli su cui giace Tivoli.
Sembra strano che un imperatore esteta quale fu Adriano abbia scelto per costruire la sua villa un sito così basso e pianeggiante, senza estesi panorami, dal clima afoso e pesante. È però da notare che a questi inconvenienti corrisponde il fatto che in inverno e in primavera l'aria vi è dolce, per essere il luogo ottimamente riparato dai venti; ancora oggi i Tiburtini chiamano Costacalda il pendio del monte Ripoli che digrada verso la Villa Adriana. Fu quindi indubbiamente una villa invernale, adatta per una persona anziana e cagionevole di salute; d'estate l'imperatore preferiva recarsi al mare.
Ove sorse la Villa Adriana esisteva già un più modesto predio rustico di cui ignoriamo i possessori. Di esso veggonsi qua e là gli avanzi rispettati ed incorporati nelle varie costruzioni della villa; sono resti di muratura in opus incertum, che risalgono al secolo II o al I a. C.
Molto incerta è la storia della villa dalla morte del suo fondatore. Fu certamente frequentata dai suoi successori, il che è dimostrato dall'essersi rinvenuti fra i resti della villa i busti di Antonino Pio, di Marco Aurelio, di Lucio Vero e di Elagabalo. Sappiamo inoltre che Zenobia, regina di Palmira, fu relegata da Aureliano nella villa stessa o in una sua dipendenza, dopo il trionfo celebrato in Roma nell'a. 273 (Vita Trig. Tyr., 30), e poiché la Historia Augusta fu raccolta nei primi decennî del sec. IV, rimane accertato che a quei tempi la villa conservava ancora il nome di Adriana (non longe ab Hadriani palatio).
Scavi. - Fin dalla metà del 1400, e cioè fin dalla data della visita fattavi dal dotto pontefice Pio II, che ne lasciò una vivace descrizione nei suoi Commentarii, il sito della Villa Adriana era già ridotto presso a poco alla condizione di rovina quale lo vediamo oggidì.
La prima ricerca di oggetti d'arte risale ai tempi di Alessandro VI (1492-1503) nel cosiddetto Odeo, ove sarebbe stato trovato il famoso coro delle nove Muse. Seguirono altri scavi fatti eseguire dal cardinale Alessandro Farnese (1535), e dal cardinale Ippolito d'Este (1550-1572). Nel 1630 Simplicio Bulgarini, proprietario del sito dell'Odeo e dell'Accademia, scoprì numerose sculture di gran pregio. Nella prima metà del sec. XVIII il conte Giuseppe Fede, avendo acquistata la parte della villa tra il Pecile e l'attuale ingresso, vi praticò scavi che fruttarono una notevole quantità di sculture e di mosaici. Nel 1736 monsignor Alessandro Furietti scoprì i due Centauri capitolini ed il celebre mosaico delle Colombe, anch'esso ora conservato nel Museo Capitolino. Altri scavi fece praticare il cardinale Alessandro Albani negli anni 1736-38, scoprendo il mirabile Antinoo ed il busto in rilievo del medesimo che si ammira nel Museo di Villa Albani. Magnifico successo ebbero le campagne di scavo intraprese nel 1769 dal pittore Gavin Hamilton nella località Pantanello, continuate nel 1780 dai fratelli Giovanni Battista e Francesco Piranesi. Dal 1825 al 1837 Francesco Bulgarini esplorò a più riprese il terreno detto Roccabruna.
Il terreno di Villa Adriana ha restituito circa 300 opere d'arte insigni, disgraziatamente disperse in luoghi diversi; gran parte sono nel Museo Vaticano e nel Capitolino, altre si trovano nel Museo nazionale romano alle Terme, nella Villa Albani, nella Galleria Borghese, nel British Museum di Londra, nell'Antiquarium di Berlino, a Dresda, Stoccolma, Leningrado, e anche in molte collezioni private.
Il conte Giuseppe Fede acquistò nel 1730 gran parte del sito della villa; egli fece piantare i cipressi e i pini che sono oggi magnifico ornamento della pendice. La proprietà passò nel 1803 al duca Braschi-Onesti, nipote di Pio VI. Sulla fine del 1870, il dominio Braschi fu acquistato dal governo italiano, che fece subito iniziare, sotto la direzione del sen. Pietro Rosa, la regolare esplorazione della villa. Questa fu continuata fino al 1890 con la scoperta del Canopo, delle Terme e dello Stadio. Dal 1920 al 1922 furono eseguiti, a cura della R. Soprintendenza agli scavi di Roma, saggi di scavo nell'angolo sud-orientale del Pecile e presso la cosiddetta Sala dei filosofi, con la scoperta di edifici termali ed il ricupero d'importanti opere d'arte. I lavori furono iniziati dal dott. Alessio Valle e continuati dal prof. Roberto Paribeni che li illustrò nelle Notizie degli Scavi (1922, p. 234 segg.).
Parti della Villa. - La strada di accesso alla villa si staccava alla destra della via Tiburtina, tra il XV ed il XVI miglio, poco oltre il ponte Lucano sull'Aniene, e dopo circa un miglio giungeva al maestoso ingresso formato da quattro piloni composti da un grande basamento in travertino, su cui posa un dado di marmo scorniciato, ornato d'altorilievi. Ne rimangono ancora due, visibili dalla via Tiburtina, nel terreno di proprietà dell'avv. Lonardi. Uno di essi conserva ancora un rilievo rappresentante una figura di giovane nudo addestrante un cavallo; le teste mancanti vuolsi siano state staccate da un ufficiale dell'esercito spagnolo del duca d'Alba, ivi accampato nel 1557. Il rilievo dell'altro basamento superstite si conserva nella Villa Albani. Un terzo rilievo, rappresentante un superbo leone gradiente, si ammira nello scalone del palazzo Barberini.
Una strada, dal selciato a basoli di lava basaltina, della quale si videro in più punti le tracce, conduceva dall'ingresso al Pecile ed al Canopo.
L'ingresso odierno è presso il cosiddetto Teatro Greco ed è preceduto da un viale fiancheggiato da vecchi e giganteschi cipressi.
Il Teatro Greco, che ha modeste dimensioni, quali si convengono a un teatro di corte, era appena capace di cinquecento spettatori. La cavea è addossata alla rupe con la concavità verso N.; la scena aveva quindi per sfondo la magnifica visuale dei monti Corniculani, Tiburtini e Sabini, cosparsi di cittadine e di ville. All'ingresso del teatro erano le due grandi erme muliebri, personificanti la Tragedia e la Commedia, che si ammirano nella rotonda del Museo Vaticano.
Progredendo, dopo una lieve ascesa, si giunge al cosiddetto Ninfeo, ove sta il casino eretto dal conte Fede, che ora è adibito ad uso di ufficio e di abitazione del personale di custodia.
Qui fu trovato il Satiro di rosso antico che si conserva nel Gabinetto delle Maschere in Vaticano. Vicino trovasi un gruppo di rovine, del tutto spogliate, che viene indicato col nome di Palestra. In esso fu scoperto il busto colossale di Iside, oggi nel Museo Chiaramonti al Vaticano.
Dal casino Fede, dirigendosi verso il Pecile, si percorre un sentiero ombreggiato da alti cipressi, che in parte coincide con l'antica strada pavimentata a selcioni.
Pecile è il nome italianizzato del famoso portico di Atene, detto Στοὰ Ποικίλη, cioè portico variopinto, per le pitture dei celebri artisti Polignoto e Paneno, di vario soggetto (la Battaglia di Enoe fra gli Ateniesi ed i Lacedemoni, la Lotta di Teseo contro le Amazzoni, la Battaglia di Maratona, ecc.). La riproduzione di questo monumento, ordinata da Adriano, ha l'aspetto di una grande area rettangolare a peristilio (m. 232 × 97) con i lati minori ricurvi. Rimane ancora in piedi la grande parete di recinto alta m. 9, che costituisce uno dei ruderi più imponenti fra i resti della Villa Adriana. A somiglianza di tutte le grandi costruzioni adrianee è a reticolato con fasce di mattoni alternate. Sui due fianchi aveva portici e pilastri, coperti a tetto spiovente, che formavano una passeggiata all'ombra in ogni ora del giorno. Nel mezzo dell'area v'era una peschiera della stessa forma del recinto. La parte SO. del Pecile ha un grande muraglione di sostruzione al quale sono addossati più ordini di piccoli ambienti, che si crede essere stati adibiti ad alloggio del distaccamento di pretoriani di guardia dell'imperatore. Le numerose celle sono oggi chiamate le cento camerelle. Presso l'angolo NE. del Pecile trovasi una sala absidata (m. 17 × 12) con sette nicchie per statue e quattro grandi porte laterali cui fu dato arbitrariamente il nome di Sala dei filosofi o Tempio degli stoici. Segue un edificio circolare, di m. 42 di diametro, con un peristilio ionico di cipollino, e concentrico ad esso un canale (euripus), largo m. 4,80, che circonda una piccola isola, alla quale davano accesso dei piccoli ponti girevoli su guide a quarto di cerchio. È lecito credere fosse un recesso ove l'imperatore ritiravasi per dedicarsi, senza essere disturbato, alle sue occupazioni preferite; alla pittura cioè, alla scultura e allo studio. Questo insieme chiamasi comunemente, senza ragione alcuna, Teatro marittimo. Continuando il giro della villa verso sud si attraversano le rovine dello Stadio in una valletta ad ulivi; il lato minore curvilineo è verso sud. Gli scavi compiuti tra gli anni 1920 e 1922, all'angolo SE. del Pecile, presso la Sala dei filosofi, misero allo scoperto un complesso di edifici termali, a più ripartizioni, fra le quali un'aula rotonda identificata per l'heliocaminus, di cui parla Plinio il giovane (Epist., II, 17), per bagni di sole su sabbia infocata (Notizie degli scavi, 1922, p. 234 segg.). Oltre questi edifici a destinazione sicuramente termale, si trovano al di là dello Stadio due grandi corpi di costruzioni dette le grandi e le piccole Terme, che diconsi anche Terme d'inverno e d'estate. Le terme maggiori terminavano verso oriente con una sala circolare (frigidanum), decorata da stucchi finissimi. Verso est è una piscina per nuotatori, chiusa al lato NO. da un Criptoportico, sui muri del quale leggonsi numerosi graffiti con le firme di artisti italiani e stranieri dei secoli XVI e XVII. Il Criptoportico conduce al Pretorio formato da una fila di Celle umide ed oscure. La denominazione, anche questa arbitraria, farebbe credere che le celle abbiano servito quale alloggiamento delle guardie del corpo imperiali, mentre appaiono appena degne dell'infimo personale di servizio.
Dal Pretorio si passa al Canopo. Era questo una riproduzione del famoso tempio di Serapide a Canopo, città vicina ad Alessandria d'Egitto, cui accedevasi per un canale derivato da un vicino braccio del Nilo. Le sponde del canale erano fiancheggiate da giardini, con tempietti, case e pubblici ritrovi, ove la folla dei visitatori del santuario era solita abbandonarsi ad ogni specie di eccessi. Per la riproduzione adrianea, di proporzioni molto ridotte, si scavò nella roccia tufacea una stretta valle artificiale, lunga m. 195, larga m. 75. Nel mezzo correva un canale; nel lato destro si allineavano venti vani addossati alla rupe, fronteggiati da un portico a pilastri. Dal lato opposto il taglio era sostenuto da un muraglione con contrafforti, lungo m. 240. Il fondo della valletta era occupato da un nicchione, con volta conchigliata, a foggia di ninfeo, dal quale sgorgavano copiose acque che alimentavano e tenevano viva la corrente del canale. Riccamente decorato, il Canopo ha fornito per la massima parte di antichità egizie, originali ed in copia, il Museo Vaticano egizio, ed in minor misura, il Museo Capitolino.
Sulla sinistra del Canopo, in alto, nel punto più elevato della villa (m. 110), era, secondo la comune opinione, il sito ove Adriano aveva fatto riprodurre l'Accademia di Atene, il luogo celeberrimo ove Platone aveva stabilito la sua scuola.
La spianata è fuori del recinto della parte visitabile della Villa Adriana, per essere tuttora di proprietà dei signori Bulgarini di Tivoli. L'uliveto di Roccabruna formava forse in antico il bosco annesso all'Accademia, ed un imponente rudere rettangolare era forse l'imitazione della torre di Timone, prossima all'Accademia Ateniese. Appunto tra i resti di una cameretta facente parte del gruppo dell'Accademia mons. Furietti trovò nel 1736 i due Centauri, in marmo bigio morato, somigliante al bronzo, stupenda opera di Aristea e Papia di Afrodisia nella Caria, oggi nel Museo Capitolino.
Ad un vicino edificio, a forma di teatro con proscenio, orchestra e sedili in marmo, è stato dato il nome di Odeo. Da questo al cosiddetto Palazzo imperiale si percorre il sito degli Inferi, cupa valle lunga m. 150, che conduce ad un vestibolo rotondeggiante di aspetto tetro, dal quale si dipartono quattro corridoi sotterranei. Essi formano un trapezio, il cui sviluppo è di circa un chilometro di galleria, illuminata da 79 abbaini.
Un imponente gruppo di rovine, attribuite alla residenza dell'imperatore, forma il preteso Palazzo imperiale. Lo compongono quattro grandi peristilî, detti comunemente la Piazza d'oro, l'Atrio dorico, il Peristilio grande ed il Cortile delle biblioteche. La Piazza d'oro è una grande area circondata da portici, con un peristilio a colonne alternate di cipollino e di granito, cui facevano riscontro mezze colonne di cortina incrostata di stucco, sporgenti dalle pareti del perimetro. L'Airio dorico era a pilastri scanalati, e conteneva un ricco triclinio ed altre sale sfarzosamente decorate. Accanto sorgeva un edificio isolato cui si è voluto dare il nome di Caserma dei vigili.
Il Cortile delle biblioteche, lungo m. 66, largo m. 51, era circondato da un portico a colonne corinzie. Ad alcune stanze di pianta irregolare si è dato il nome di Biblioteca greca e di Biblioteca latina. Un braccio di fabbrica, che forma il lato nord, benissimo conservato, ha il nome di Ospitali, ed è composto di un salone centrale, sul quale si aprono le porte di dieci celle, cinque per lato.
L'edificio termina verso la valle con una terrazza isolata da tre lati, che porta il nome di Padiglione; era una specie di triclinio scoperto donde si godeva la bella veduta della Valle di Tempe, piccola valle che ha un delizioso carattere di solitudine e di calma. Con questa suggestiva visione termina la visita della regina delle ville imperiali del mondo antico.
Bibl.: A. Nibby, Descrizione della Villa Adriana, Roma 1827; A. Penna, Viaggio pittorico della Villa Adriana, voll. 4, Roma 1831-36; Notizie degli scavi, 1878, p. 36 segg., 137 segg.; 1881, p. 91, 105 segg.; 1883, p. 374; 1884, p. 82; C. Zolfanelli, Monografia sulla Villa Adriana, Roma 1884; H. Winnefeld, Die Villa d. Hadrians, Aufnahmen u. Untersuchungen, Berlino 1895; Chr. Hülsen, Die Poikile d. Villa Hadrians, in Archäol. Anzeigen, 1896, p. 47 segg.; L. Borsari, Bull. comunale, 1898, p. 29 segg.; G. Schultz, Tivoli u. d. Villa Hadrians, Steglitz 1909; P. Gusman, La Ville impériale de Tibur, Parigi 1904; V. Raina, Rilievo planimetrico della Villa Adriana eseguito dalla Scuola degli ingegneri, in Notizie degli scavi, 1906, p. 313 segg., con 4 piante; R. Lanciani, La Villa Adriana, Roma 1906; D. Vaglieri, Notizie degli scavi, 1907, p. 19; R. Paribeni, Notizie degli scavi, 1922, p. 234 segg.; id., La villa Adriana, Milano 1928.