PARETO, Vilfredo
Nato a Parigi il 15 luglio 1848, dove il padre Raffaele, vecchio patrizio genovese, mazziniano, viveva esule, morto a Céligny (cantone di Ginevra) il 20 agosto 1923. Passò in Francia i primissimi anni della sua vita, ma in Italia, dove ritornò nel 1858, fece tutti gli studî e si laureò ingegnere nel 1869 al politecnico di Torino. Esercitò la professione per circa un ventennio e fu direttore della ferrovia di S. Giovanni Valdarno e poi direttore generale delle Ferriere italiane. Uomo di mondo, frequentò in questo periodo l'alta società fiorentina e in particolare il salotto della signora Emilia Peruzzi, alla quale e al marito Ubaldino restò sempre deferentemente affezionato. La natura della sua attività lo pose naturalmente di fronte ai problemi fondamentali della politica economica, e segnatamente a quello della protezione doganale. Industriale, non si limitò a considerare il suo caso particolare, ma scese fieramente in campo, paladino della dottrina del libero scambio, in nome della quale sferzò la politica protezionista del tempo, denunciandone la povertà spirituale e l'asservimento a interessi di gruppi. Più tardi, nella maturità del suo pensiero, nella quiete di Céligny, rinnegò gli antichi scritti di carattere polemico, non perché fosse cambiato il suo giudizio verso gli uomini, ma perché era mutato il suo atteggiamento teoretico e più largo era l'angolo visuale da cui giudicava i fatti.
Viveva ancora a Firenze, quando la lettura degli Elementi di Economia Pura di M. Pantaleoni lo attrasse alla speculazione scientifica. Fu dapprima occupazione complementare della sua vita: divenne poi di mano in mano sempre più assorbente, fino a fargli abbandonare ogni altra attività. Dal 1890 al 1905 collaborò assiduamente al Giornale degli Economisti, consolidando su ferme basi le dottrine dell'economia matematica, che già erano state introdotte nella scienza da A. Cournot, W. Jevons e L. Walras e costituirono poi la sua teoria generale dell'equilibrio economico. L'ostilità della classe universitaria del tempo gli negò una cattedra in Italia. Accettò l'offerta del cantone di Vaud e successe nel 1893 al Walras nell'insegnamento dell'economia politica all'università di Losanna.
Lasciato l'insegnamento nel 1906, si ritirò a Céligny, dove nella quiete della sua villa Angora visse l'ultimo periodo della sua vita, unicamente dedito agli studî. Fu questo il periodo più fecondo della sua operosità scientifica, in cui videro la luce le sue opere fondamentali: il Manuale di Economia Politica e il Trattato di Sociologia. Continuò tuttavia a seguire le vicende economiche e politiche del tempo, e lo studio e la meditazione lo portarono gradatamente verso un atteggiamento spirituale antitetico a quello di origine, per cui il vecchio liberale, che da principio tendeva al radicalismo se non al socialismo, si andò a poco a poco trasformando in uno dei più gagliardi critici del socialismo e della democrazia.
Figlio di madre francese, amò la Francia, non solo per carità filiale, ma perché verso la Francia lo trascinava il suo genio profondamente latino. Fu grato alla Svizzera che l'ospitava, ma fu sempre e soprattutto italiano e conservò nella terra di adozione la nazionalità italiana. E se ritenne doveroso che le opere composte durante il periodo dell'insegnamento a Losanna, e che riproducevano i corsi tenuti in quell'università, apparissero nella lingua dei giovani cui erano destinati, ritornò - appena fu libero dai doveri dell'insegnamento ufficiale - alla lingua paterna. Ed è sintomatico, a questo proposito, che la data del suo ritiro dall'insegnamento precede di un anno quella della pubblicazione del Manuale. I governi dell'Italia democratica lo ignorarono. Non lo ignorò il governo fascista, che nei primissimi mesi del suo insediamento lo creò senatore del regno e gli propose anche di essere delegato dell'Italia alla Società delle nazioni per la questione del disarmo; incarico questo, che, per le sue condizioni di salute, egli fu costretto a rifiutare.
Le opere principali del P. sono: Cours d'Économie Politique (Losanna 1896-97); Les systèmes socialistes (Parigi 1902; 2ª ed., 1926); Manuale di Economia Politica (Milano 1906; ed. franc., che differisce dall'italiana per l'Appendice matematica, Parigi 1909; rist., 1927); Trattato di Sociologia generale (Firenze 1916; 2ª ed., 1923; trad. franc., Parigi 1917-19); Fatti e teorie (Firenze 1920); Trasformazioni della democrazia (Milano 1921). Il Cours prelude al Manuale, i Systèmes preparano, le ultime due operette completano, il Trattato di Sociologia.
Il Cours d'Économie Politique già rivela i due caratteri fondamentali dello scrittore: la cultura classica e l'intelligenza matematica. Questa ha ivi la sua manifestazione più caratteristica nella curva dei redditi, che è, tra le ricerche di economia induttiva a base statistica, la prima in ordine di tempo e resta ancora oggi la più elegante, se pur non è ancora la più feconda. Per essa il numero dei redditieri in ogni collettività e in ogni tempo può essere espresso in funzione dell'ammontare del reddito attraverso una curva, la cui forma è un'invariante della distribuzione. In questa invarianza da paese a paese e da tempo a tempo, che le successive ricerche hanno confermato, almeno in prima approssimazione, sta il significato profondo della scoperta paretiana. La quale, pertanto, non è una semplice interpolazione statistica, ma uno strumento che consente di penetrare a fondo nel meccanismo della distribuzione della ricchezza. Il P. non ha proseguito nelle indagini statistiche sulla curva dei redditi e le sue interpolazioni matematiche in altri campi non hanno portato a conclusioni di primo piano. L'orma più profonda che egli ha impresso nella dottrina economica è segnata nel campo teoretico della deduzione. Ciò non toglie che per la scoperta dell'invarianza della curva dei redditi, egli appaia come pioniere anche in questa forma dell'indagine scientifica.
L'altro carattere fondamentale della formazione paretiana è la cultura umanistica. Singolari sono la profondità e l'estensione della sua preparazione in questo campo. Il P. scriveva letterariamente, oltre che l'italiano, il francese; leggeva correntemente l'inglese, il latino e il greco; aveva tradotto l'Antologia per il solo piacere di fare un esercizio di lingua; nella sua giovinezza aveva perfino tentato una analisi comparata della lingua di S. Paolo e del dialetto attico. La profondità della sua cultura in questo campo è una delle più belle attrattive del Cours, in cui poeti, prosatori, filosofi, metafisici, storici, tutti i classici della letteratura greca, latina, italiana, francese, inglese sono chiamati a raccolta, per confermare o negare questa o quella conclusione, che sembra delinearsi dall'esame dei fatti o dalla discussione delle dottrine.
Ma nonostante la superiorità di siffatta trattazione, nonostante il successo della curva dei redditi, il Cours dà della dottrina economica uno schema, che ancora non si discosta profondamente dagli schemi tradizionali. Resta cioè un contrasto di analisi teoriche e di applicazioni pratiche, distinte in capitoli che prendono nome da fenomeni concreti (scambio, produzione, distribuzione, consumo), di cui sfuggono le mutue correlazioni, mentre il nesso logico che dovrebbe legare le varie parti è rotto da sofismi che sono concessioni al comune modo di definire e di intendere. In ogni pagina del Cours si sente lo sforzo di chi tenta di strappare la rete che lo avvolge. Solo nel Manuale questa appare ridotta in pezzi.
Il Manuale di Economia Politica è opera profondamente innovatrice, in cui la formazione matematica dell'autore si manifesta in tutta la sua genialità. In esso ogni traccia degli antichi schemi è scomparsa. Ogni concessione all'uso comune, ogni confusione fra teoria astratta e applicazioni pratiche è eliminata. Il manuale è opera strettamente scientifica; non vi è termine, che non sia rigorosamente definito, non conclusione che vada oltre le premesse. È un trattato di meccanica economica, nella quale il punto materiale è l'homo oeconomicus; le forze che sollecitano i punti sono i gusti. Le azioni sviluppate dalle forze sono vincolate da ostacoli. Esprimono questi in generale che i beni economici sono limitati; che finché si escludono la violenza e la frode, il furto e la donazione, non si può avere una cosa, se non dandone in cambio una di ugual valore pro tempore; che ogni produzione è il risultato di una certa combinazione dei fattori della produzione in armonia con le leggi della tecnica, quali sono conosciute pro tempore; che l'ordinamento giuridico e l'organizzazione economica vincolano le azioni individuali; e così via.
La statica economica, secondo il P., si costruisce con due soli concetti: quello di ofelimità, che è l'astrazione, in cui sono rappresentati i gusti, e quello di vincolo. Escluse le parti introduttive e complementari, il Manuale consta essenzialmente di tre capitoli: nel primo si studiano sinteticamente i gusti, cioè le forze che spingono all'azione; nel secondo gli ostacoli, cioè le reazioni che vi si oppongono; nel terzo le configurazioni di equilibrio che nascono dal contrasto di quelle azioni e di queste reazioni.
E la produzione e lo scambio, il consumo e la distribuzione? Non esiste nella realtà una distinzione di cose, corrispondente a questa distinzione di parole. Non esiste un problema di produzione, distinto da un problema di distribuzione e viceversa, ma tutti i problemi economici sono compresi nelle condizioni generali dell'equilibrio.
L'economia classica poggiava e poggia ancora in gran parte sul presupposto - implicito, se non sempre esplicito - che l'equilibrio economico rappresentasse una configurazione tipica, intorno a cui la configurazione reale oscilla ora in un senso ora in un altro; fosse insomma un'idea, della quale la realtà offre, più o meno deformata, l'immagine. Siffatta concezione, che forma il substrato dell'antitesi fra valore normale e valore corrente, quale già era delineata nella Ricchezza delle nazioni di Adamo Smith, che anima la parte maggiore della letteratura economica dell'Ottocento e costituisce tuttora il tema fondamentale di trattazioni contemporanee, è superata nel Manuale. Il P. ne intuì subito la manchevolezza teoretica, in quanto l'aspetto dinamico è l'essenziale, non il contingente della realtà economica e questa non si polarizza intorno a una configurazione ideale, ma si muove incessantemente in un perpetuo divenire, sotto l'azione di forze esterne e interne, che legano il presente al passato, il futuro al presente. Le forze esterne, le sole che sono esplicitamente contemplate nel Manuale, rappresentano le forze applicate: i gusti e gli ostacoli nel modello paretiano. La teoria dell'equilibrio economico non può avere altro significato che quello di una prima approssimazione in cui il dinamismo della vivente realtà è rappresentato come un moto stazionario.
E a questo punto si manifesta la crisi del sistema paretiano. Le forze interne del sistema economico non sono suscettibili di una rappresentazione teoretica semplice e universale, come avviene per le forze applicate, concepite come espressione di gusti e di ostacoli. Non sono solamente, come per i sistemi materiali macrocosmici, forze di conservazione, per le quali la città morta domina per inerzia la città vivente; sono ancora forze direttrici o di propulsione, attraverso le quali la città vivente plasma o tenta di plasmare la città dell'avvenire. Le forze interne, quindi, sono storia e sono ancora etica e politica, un quid possente, ma vago e indistinto, che non è suscettibile di una rappresentazione matematica: espressione della libertà del volere, che non si lascia imprigionare nelle maglie di una rappresentazione meccanica, e, perché meccanica, determinista. Il P. supera lo scoglio della rappresentazione teoretica delle forze direttrici, proclamando che il movimento dei fenomeni economici non può essere separato da quello dei fenomeni politici e sociali. La dinamica economica sbocca nella politica, o, per usare il termine paretiano, nella sociologia.
L'edificio della Sociologia paretiana poggia sul seguente fondamento: nei fatti umani vi sono sempre un nucleo costante e una parte variabile: il primo è manifestazione d'istinti, sentimenti, interessi, appetiti, ecc.; la seconda è costituita da ragionamenti logici o non logici che esprimono il bisogno di giustificare per via razionale ciò che non sempre ha origine razionale. Il P. dà alla prima parte il nome di residuo, alla seconda quello di derivazione.
Come si classificano i residui? Mondo, demonio e carne sono, secondo la dottrina cattolica, gli ostacoli alla salvezza eterna. Le corrispondenti categorie paretiane sono: il residuo della socialità, il residuo dell'integrità, il residuo sessuale. Ai quali bisogna poi aggiungere l'istinto delle combinazioni e la persistenza degli aggregati. Esprime, il primo, il bisogno prepotente nella natura umana di cercare, frugare, scrutare, combinare cose, nomi e fatti; e assicura il progresso. La persistenza degli aggregati rappresenta per contro la forza, per la quale le combinazioni, una volta formate, divengono stabili e saldo possesso degl'individui e della società, e assicura la stabilità sociale.
Grande importanza ha la proporzione in cui residui di queste due ultime classi, cioè della persistenza degli aggregati e dell'istinto delle combinazioni, sussistono nella totalità del corpo sociale; e più precisamente nella classe dominante e nella classe dominata. Soprattutto importa la funzione secondo cui questa proporzione varia nel tempo. Siffatta funzione insieme con quella che caratterizza Ia flessibilità sociale, quale può essere misurata dagli ostacoli che si oppongono alla circolazione delle aristocrazie, è sufficiente a determinare l'equilibrio sociale, limitatamente ai suoi movimenti secolari. Esiste un grado di flessibilità sociale, una misura nella proporzione fra i due residui, che assicura un massimo di prosperità.
Ma lo schema dei due residui fondamentali e della flessibilità sociale diviene inadeguato a spiegare il movimento sociale, quando il campo visuale si restringe nel tempo, per abbracciare gli avvenimenti di una o poche generazioni. Per guadagnare in profondità ciò che si perde in estensione, è allora necessario allargare i quadri dello schema teoretico, aggiungendo la considerazione di altri due elementi: le derivazioni, cioè i ragionamenti con cui gli uomini cercano di dare una sistemazione logica alla loro vita e alle loro credenze; e gl'interessi che costituiscono la molla che usualmente fa tendere, nelle alterne vicende delle azioni quotidiane, l'arco della volontà umana. Sicché, in limiti più ristretti di tempo, il movimento appare al Pareto come il risultato di azioni e reazioni inerenti a questi quattro gruppi di fattori: A) i residui; B) le derivazioni; C) gl'interessi; D) la flessibilità sociale.
Il gruppo A) opera potentemente su B), C) e D), e ciò hanno riconosciuto tutti quanti hanno proclamato essere l'etica il fondamento dell'ordine sociale. Gli usi e i costumi, l'assetto giuridico e l'organizzazione politica ed economica, la letteratura, l'arte, la morale, la religione, tutto ciò insomma che contribuisce a caratterizzare lo spirito del tempo, riflette potentemente le correnti indotte da questo gruppo. Quelle invece che sono indotte dal gruppo B) - su A), su C), su D) - sono assai meno potenti, e ciò spiega il disprezzo che gli uomini di azione hanno sempre dimostrato per le ideologie - libertà, uguaglianza, fraternità, diritto naturale, diritto delle genti, ecc. - e la facilità con cui una nuova ideologia può spazzar via l'antica. Il disprezzo per le ideologie diede voga presso i teorici del socialismo al materialismo storico, che nella costruzione paretiana viene sistemato tra le dottrine che teorizzano le reazioni del gruppo C) su A), B), D). Certamente gl'interessi, che sono poi l'espressione della povertà della specie umana, costretta per vivere a guadagnarsi faticosamente il pane quotidiano, sono fattori potenti che operano sui sentimenti, sulle idee, sull'organizzazione sociale, e le correnti che essi inducono sono di regola poderose. Ma ciò non giustifica l'errore del materialismo storico, che sta non solo nell'aver sostituito la parte al tutto, ma ancora nell'avere affermato una prevalenza universale, quando invece alla prevalenza del seaore economico su quello della logica doveva associarsi la sua subordinazione al settore dell'etica. È evidente che la parola logica non deve essere qui intesa nel senso di Aristotele e di Bacone, come teoria del sillogismo e dell'induzione sperimentale, ma nel senso paretiano di teoria delle derivazioni, cioè dei ragionamenti logici e non logici, con cui la specie umana dà o crede di dare un assetto razionale alla propria vita. Etica, logica, economia teorizzano dunque le azioni che gli elementi sopra indicati con A), B), C) esercitano gli uni su gli altri e tutti quanti sopra D). Le reazioni che viceversa D) induce su A), B), C) sono quelle che intuisce il volgo quando ripete che "il mondo è fatto a scale, chi le scende e chi le sale". I movimenti che avvengono nell'interno del corpo sociale influiscono potentemente a modificare sentimenti, idee, organizzazione economica. L'accumularsi di elementi scelti negli strati inferiori della società e di elementi degeneri negli strati superiori è la causa eterna di tutte le rivoluzioni. Aristotele, Machiavelli, Vico sono classici che hanno tracciato le linee fondamentali di queste reazioni, e al corpo di dottrine che le teorizza il primo ha dato il nome di politica. In concreto le singole azioni e reazioni si compongono e interferiscono in mille modi e dal loro contrasto ha origine il movimento sociale. Analizzando le singole interferenze, il P. deduce il carattere oscillatorio di questo movimento. Le singole oscillazioni costituiscono i cicli economici e sociali e formano la trama su cui sono intessute le vicende della storia delle società umane.
Il P. proclama di avere introdotto per primo nella sociologia il metodo galileiano. Ma la Sociologia paretiana contiene un'etica e una mistica. E la grandezza dell'opera, sotto l'aspetto politico, sta appunto in questo suo carattere pratico, per cui la critica della società democratica cessa di essere astratta confutazione di principî teoretici, come era stata nei Systèmes socialistes, e diventa viva contrapposizione di fede a fede. Concludendo la sua teoria dei cicli economici e sociali - già alcuni anni prima della guerra mondiale - il P. prevede prossima la fine del ciclo plutocratico demagogico e nella trasformazione della democrazia saluta l'alba dei tempi nuovi. Il P., negatore di ogni fede e di ogni filosofia, è l'artefice che primo e più gagliardamente innalza, sulle rovine del dogma democratico, l'edificio della nuova fede e della nuova filosofia, antidemocratica, antiumanitaria, antiprogressista, antievoluzionista. Ché, ponendo a suo fondamento la critica delle derivazioni, cioè dei ragionamenti logici e pseudologici con cui la città democratica socialista giustificava la sua fede deterministica, laica e internazionale, restituisce un valore teoretico ai valori religiosi e patriottici, ai principî della responsabilità individuale e della libertà del volere, fondamento di ogni vita civile. Posizione tanto più degna di nota, in quanto l'educazione dell'uomo si era fatta su basi razionali e democratiche, quando l'anima razionalista e l'anima democratica dominavano incontrastate la cultura. Prima di compiersi nelle folle, una rivoluzione spirituale si era compiuta in lui. Perciò gl'Italiani d'oggi guardano a lui come a un antesignano.
L'elenco completo degli scritti del P. si trova nel fascicolo del Giornale degli Economisti dedicato alla sua memoria (gennaio-febbraio 1924) ed è riprodotto nel volume di G. H. Bousquet, V. P., sa vie et son œuvre (Parigi 1928). Oltre a quelle già citate ricordiamo qui: La legge della domanda, in Giorn. degli Economisti (1895); La courbe de répartition des revenus, nella raccolta pubblicata dalla Facoltà di diritto dell'università di Losanna (Ginevra 1896); Aggiunta allo studio sulla curva delle entrate, in Giorn. degli Economisti (1897); Le myte vertuïste et la littérature immorale (Parigi 1911).
Bibl.: Oltre agli articoli raccolti nel fascicolo gennaio-febbraio 1924 del già ricordato Giornale degli Economisti e alla Rivista di statistica, v. Handwörterbuch der Staatswissenschaften, Jena 1925; Palgrave's Dictionary of Political Economy, III, Londra 1926; Encyclopaedia of the Social Sciences, XI, Londra 1933.
Della scuola matematica italiana trattano diffusamente: O. Kühne, Die mathematische Schule in der Nationalökonomie, I, Die italienische Schule, Berlino 1928; E. Schneider, Reine Theorie monopolisticher Wirtschaftsformen, Tubinga 1932; M. Hayakawa, Vilfredo Pareto's fundamental equations of dynamical equilibrium and dynamics in economic system, Sapporo (Giappone), 1932; H. Stackelberg, Marktform und Gleichgewicht, Vienna e Berlino 1934.