VIGERIO DELLA ROVERE, Emanuele
VIGERIO DELLA ROVERE (Vogerius, Vegerius, De Vigerii, Viguerius), Emanuele (in religione Marco). – Nacque a Savona, nell’aprile del 1446, da Urbano Vigerio e da Nicoletta Grosso, nipote di Francesco Della Rovere. Dopo l’ingresso, tra il 1462 e il 1464, nell’Ordine dei frati minori conventuali mutò il proprio nome di battesimo in Marco (in onore dell’omonimo zio, vescovo di Noli).
Discepolo del confratello Lorenzo Guglielmo Traversagni, che gli dedicò una oratiuncula sull’importanza dell’apprendimento delle arti liberali, insegnò teologia a Padova e a Roma, dove giunse nel 1474 al seguito di Francesco Della Rovere, divenuto papa con il nome di Sisto IV. Il 6 ottobre 1476 fu nominato vescovo di Senigallia: qui promosse il restauro del duomo, la costruzione di un nuovo palazzo vescovile e la riforma del clero diocesano (che previde tra l’altro, nel 1491, l’assegnazione della chiesa della Maddalena ai frati minori conventuali).
Suffraganeo presso la sede arcivescovile di Bologna, nel 1496, del cardinale Giuliano Della Rovere (suo parente e confratello), fu trasferito a Ventimiglia nel 1502, per essere poi designato arcivescovo di Trani nel 1506. Con l’ascesa al pontificato del cardinale Della Rovere, che assunse il nome di Giulio II, fu nominato castellano di Castel Sant’Angelo, incarico che mantenne dal novembre del 1503 al luglio del 1506. Nel 1506 accompagnò Giulio II nella spedizione contro Giovanni Bentivoglio, che portò alla conquista di Bologna, e nel 1508 gli fu assegnato il governo di Capranica. Agli incarichi politici e militari alternava intanto quelli di natura ecclesiastica. Creato cardinale presbitero di S. Maria in Trastevere nel dicembre del 1505 (beneficio cui aggiunse, dall’ottobre del 1511, quello della sede suburbicaria di Palestrina), alla fine del dicembre 1507 presiedette, in qualità di cardinale protettore dell’Ordine, il primo capitolo generale dei minimi, nel quale furono chiariti e approvati alcuni aspetti irrisolti della regola di Francesco di Paola.
Dopo la sconfitta veneziana di Agnadello, nel maggio del 1509, il consolidarsi del predominio del re di Francia Luigi XII nel Nord della penisola indusse Giulio II a dare alla propria politica estera una svolta antifrancese. Tra il dicembre del 1510 e il gennaio del 1511, in qualità di legato, Vigerio guidò le truppe papali nella guerra contro il duca di Ferrara Alfonso I d’Este, alleato del sovrano francese, contribuendo alle vittorie di Concordia e di Mirandola. Di lì a poco, Luigi XII reagì all’offensiva del pontefice tanto sul piano militare, occupando e riconsegnando Bologna ai Bentivoglio, quanto sul piano spirituale, appoggiando l’iniziativa di alcuni cardinali ostili a Giulio II, i quali da Milano, nel maggio del 1511, convocarono un Concilio che si sarebbe aperto a Pisa il 1° settembre successivo. In risposta, con la bolla Sacrosanctae Romanae Ecclesiae (luglio 1511), il pontefice indisse a sua volta un Concilio, per la primavera dell’anno seguente, in Laterano.
Al Concilio Lateranense V, inaugurato il 3 maggio 1512, Vigerio intervenne attivamente su più fronti, celebrando la messa di apertura della terza sessione, il 2 dicembre 1512, e partecipando a varie commissioni. Già nel settembre del 1511 aveva preso in prestito dalla biblioteca papale, mediante frate Bernardino da Chieri, gli atti dei Concili di Costanza e di Basilea, le cui dichiarazioni sulla superiorità del Concilio sul Papato fornivano la base per l’iniziativa dei cardinali scismatici riuniti a Pisa (I due primi Registri..., 1942, p. 52). Contro il cosiddetto conciliabolo pisano, e in difesa di Giulio II, scrisse un’Apologia oggi perduta.
Nell’ottobre del 1512, il domenicano tedesco Wigand Wirt ritrattò in sua presenza le proprie idee contrarie al dogma dell’Immacolata concezione. L’argomento aveva interessato anche in passato Vigerio, che, stando a Paolo Cortesi, aveva dibattuto la questione, in data imprecisata, proprio con uno dei principali promotori del Concilio pisano, Bernardino López de Carvajal.
Dopo la morte di Giulio II, il 21 febbraio 1513, partecipò al conclave che avrebbe eletto Leone X. Sotto il pontificato di quest’ultimo proseguì la sua attiva partecipazione al Lateranense V come membro di numerose commissioni, tra le quali quelle dedicate alla riforma della Curia, all’abolizione dei privilegi degli Ordini mendicanti, e alla riforma del calendario. Nel maggio del 1513, dopo oltre trentacinque anni, lasciò la guida della diocesi di Senigallia al nipote Marco Quinto Vigerio, e ottenne in commenda l’abbazia cistercense di S. Martino a Viterbo. Sul finire del 1515 seguì Leone X al congresso di Bologna, dove il pontefice trovò un compromesso con il successore di Luigi XII, Francesco I.
Prima che il concordato fosse approvato Vigerio, ormai vecchio e ammalato, tornò a Roma, dove morì il 18 giugno 1516.
La sua orazione funebre fu pronunciata da Camillo Porcari (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 8106, cc. 70r-76v). Le spoglie del cardinale, sepolto in S. Maria in Trastevere, furono traslate, nel XIX secolo, a Savona.
Opere. Il più antico tra gli scritti di Vigerio a noi noti risale al 1484: si tratta di un elogio funebre di Sisto IV, che insiste sulla certezza, condivisa dagli autori pagani e cristiani, del premio ultraterreno per l’uomo virtuoso, e sottolinea l’importanza della riforma dell’Ordine francescano promossa dal defunto, durante il suo generalato, attraverso l’introduzione delle arti liberali (Urb. lat. 1023, cc. 397r-403v).
Ben altra imponenza e diffusione ebbero tuttavia le due opere principali di Vigerio, la Controversia de excellentia instrumentorum Dominicae Passionis e il Decachordum Christianum. La Controversia, stampata a Roma da Marcello Silber, con una prefazione di Simon Begna, nel 1512, era stata ideata vent’anni prima, intorno al 1492, in occasione del dono della lancia che aveva trafitto il costato di Cristo, inviato dal sultano Bayezid II a Innocenzo VIII. Nel suo trattato, Vigerio sostenne che la veste si doveva anteporre gerarchicamente alla lancia, perché la prima era stata profetizzata da Davide, aveva svolto la sua funzione anche durante la passione (e non solo al momento della morte), e perché il sultano, pur richiesto di inviare entrambi gli strumenti, aveva donato solo la lancia.
Nonostante il carattere occasionale della sua composizione, l’opera fu ristampata per due volte nel 1517 – nel gennaio a Haguenau da Anton Koberger, nel giugno a Parigi da Josse Bade (Jodocus Badius) – ed ebbe altre due ristampe, nel 1607 e nel 1616, a Douai. Nelle ristampe, il trattato formava un dittico con il Decachordum Christianum, la cui sontuosa editio princeps risale al 1507, quando l’opera fu pubblicata a Fano, da Girolamo Soncino, per la somma di 181 ducati. Del Decachordum sopravvive inoltre un magnifico codice di dedica indirizzato, come la prima edizione, a Giulio II (Vat. lat. 1125). L’opera, suddivisa in dieci libri, è composta da una serie di brevi ragionamenti dedicati alla vita, alla passione e ai misteri di Cristo e della sacra famiglia, alla natura e al linguaggio degli angeli e a vari altri argomenti teologici. In alcuni passaggi del trattato, si è vista una possibile fonte di ispirazione del programma iconografico sulla genealogia di Cristo seguito da Michelangelo nelle lunette della Cappella Sistina. La tesi, avanzata da Frederick Hartt (e ribadita dallo stesso studioso dopo uno scambio polemico con Edgar Wind) non si appoggia, tuttavia, su prove dirimenti. L’interesse di Vigerio per le arti è comunque testimoniato dalla sua probabile committenza del polittico di S. Medardo di Arcevia realizzato da Luca Signorelli e dalla direzione e gestione, in qualità di castellano, delle maestranze dei cantieri di Castel Sant’Angelo.
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