VIERI, Francesco
de’, detto Verino primo. – Nacque a Firenze il 29 luglio 1474 da Piero, detto Pierozzo, e fu padre di Giambattista, da cui nacque l’omonimo Francesco, conosciuto come Verino secondo (v. la voce in questo Dizionario).
La sua formazione avvenne presso lo Studio pisano, dove iniziò a insegnare ancor prima di addottorarsi, nell’anno accademico 1496-97, durante il quale tenne la lettura festiva di arti a Prato, città in cui lo Studio aveva preso sede l’anno precedente a seguito della ribellione di Pisa al dominio fiorentino. Nello stesso anno ottenne i gradi dottorali e il 14 ottobre 1497 fu assunto come professore dello Studio, trasferitosi a Firenze a seguito dell’epidemia di peste che aveva colpito Prato. Verino ricoprì dapprima la cattedra di logica straordinaria, tra 1497 e 1499, poi quella di logica ordinaria, negli anni 1499-1501, e, tra 1501 e 1503, quella di filosofia straordinaria.
Fu un periodo molto tormentato per lo Studio, che riaprì stabilmente solo nel 1515 a Pisa, tornata dal 1509 sotto il dominio fiorentino, ed è assai difficile ricostruire l’attività di Verino. Secondo la Historia Academiae Pisanae di Angelo Fabroni, egli tenne lezioni sulla fisica aristotelica dal 1515 al 1525 e nel 1526, interrottasi l’attività didattica a causa della peste, si spostò a Firenze. Se ne hanno nuovamente notizie soltanto nell’anno accademico 1531-32, quando fu chiamato alla cattedra di filosofia dello Studio fiorentino dal duca Alessandro in persona, che non esitò a conferirgli l’incarico nonostante durante il governo repubblicano egli fosse stato gonfaloniere del gonfalone della Sferza. Verino da quel momento insegnò filosofia presso lo Studio sino alla morte, avvenuta nel 1541, raccogliendo attorno a sé un nutrito seguito di allievi. Né la sua attività di insegnante si limitò all’ambiente universitario, se vogliamo dar credito ai Ricordi di Vincenzo Borghini, dei quali ci è giunto il manoscritto autografo (Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., XXXVIII.117), in cui vengono rammentate le letture che il filosofo teneva ai monaci della Badia fiorentina, riscuotendo un notevole successo.
Verino dedicò tutta la sua vita alla didattica universitaria e divenne un punto di riferimento per l’élite intellettuale fiorentina, in un momento di transizione, caratterizzato da continui – e spesso drammatici – rivolgimenti politici. Il suo magistero fu improntato al tentativo di individuare una mediazione tra l’eredità aristotelica e le istanze neoplatoniche, come si evince dalle uniche sue opere pervenuteci, ossia le tre lezioni dantesche tenute presso l’Accademia Fiorentina nel 1541.
La prima, che verteva sull’amore universale a partire dal commento ai versi 91-93 del canto XVII del Purgatorio, ebbe luogo il 17 febbraio 1541; durante la seconda, la domenica successiva, il filosofo, traendo spunto dall’incipit del Paradiso, si concentrò sull’amore che governa il mondo; la terza, che non ebbe luogo la domenica seguente ma quella ancora successiva, fu dedicata alla disamina dei problemi filosofici scaturiti dai temi affrontati nelle due lezioni precedenti.
Il testo delle pubbliche letture tenute da Verino, trasmesso dal manoscritto II.IV.I della Biblioteca nazionale di Firenze, fu stampato nel 1547 da Antonfrancesco Doni nelle Lettioni d’Academici Fiorentini sopra Dante, libro primo. Scritte in volgare, le tre lezioni di Verino sono testimonianza della forte esigenza, avvertita dall’autore, di renderne fruibili i contenuti a un pubblico ampio, anche al di fuori della ristretta cerchia accademica; la medesima esigenza che, stando al racconto di Giovan Battista Gelli nel Ragionamento quarto dei Capricci del Bottaio, indusse Verino, poco prima di morire, a esporre in volgare nello Studio il dodicesimo libro della Metafisica. I versi danteschi danno l’abbrivio, nelle pagine del Verino, per riflessioni squisitamente filosofiche, secondo un modello di commento che poco ha a che vedere con quello erudito di stampo umanistico e che culmina, nell’ultima lezione, nella definizione dell’amore come desiderio di generare nel bello. Si tratta di un modo innovativo e inedito di confrontarsi con i testi poetici che sarà destinato a fare scuola, soprattutto presso l’Accademia degli Infiammati di Padova, dove – e non è un caso – rivestirono ruoli di primo piano proprio due allievi di Verino, Benedetto Varchi e Ugolino Martelli.
Morì a Firenze il 16 ottobre 1541 e fu sepolto in S. Spirito.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Tratte, 444 bis, c. 29r; Arte dei medici e speziali, 250, Libro dei morti, c. 64r.
A. Fabroni, Historia Academiae Pisanae, I, Pisa 1791, p. 309; M. Barbi, Della fortuna di Dante nel secolo XVI, Pisa 1890, pp. 216-219; F. Bruni, Sistemi critici e strutture narrative (ricerche sulla cultura fiorentina del Rinascimento), Napoli 1969, p. 42; M. Plaisance, Les leçons publiques et privées de l’Académie Florentine (1541-1552), in Id., L’Accademia e il suo principe. Cultura e politica a Firenze al tempo di Cosimo I e di Francesco de’ Medici, Manziana 2004, pp. 271-280; F. Pignatti, Per F. de’ V., detto il Verino primo. Con uno sconosciuto epitafio latino di Agnolo Firenzuola, in Schede umanistiche, 2010-11, pp. 143-177.