Cerchi, Vieri de'
A Oliviero di Torrigiano de' C., detto Vieri, che pure conobbe assai bene e col quale collaborò nella Parte bianca prima e nei primi tempi dell'esilio poi, D. non si riferisce mai direttamente. Ma il suo disprezzo per lui s'indovina senza sforzo dalle poche taglienti parole spese per il casatodi cui egli era capo: nova fellonia scesa dal piovier d'Acone a rovina della città (Pd XVI 65, 95). Qualche studioso (il Barlow) ha voluto identificare in lui, ma senza alcun fondamento, l'ombra di colui / che fece per viltade il gran rifiuto (If III 59-60), sebbene nel 1300 Vieri fosse ancora vivo.
Dal padre suo Torrigiano, Vieri ereditò la fedeltà alla causa guelfa: armato cavaliere dopo il 1266, al ritorno in patria della sua Parte (Arch. di Stato di Firenze, Protocolli di Attaviano di Chiaro, A. 400, c. 8 v.), figura nel maggio del 1273 tra i dieci cavalieri guelfi testimoni del testamento del conte Alessandro Alberti in favore di Parte guelfa per i castelli di Mangona, Vernio e Montaguto. Dotato di una buona dose di coraggio fisico, si comportò da prode a Campaldino a capo dei feditori insieme col figlio suo Giano: eppure, per evitare quella guerra, aveva fatto sì che il banco dei C. si impegnasse a versare al vescovo di Arezzo una forte somma (3000 fiorini secondo il Compagni, 5000 per il Villani) in cambio dell'abbandono da parte di questi della città e della cessione a Firenze dei castelli del Casentino.
Lo troviamo ancora impegnato nella milizia nel 1291-92 quando, come capitano di Parte, caldeggia le non felici operazioni contro Pisa. Gli Ordinamenti di Giustizia colpirono lui e la sua casa, ormai divenuta magnatizia, e lo costrinsero a , opporsi a Giano: tuttavia, per quanto egli e Nuto Marignolli siano stati i protagonisti delle trattative con Giovanni di Châlons per rovesciare il governo popolano, Vieri si astenne dal partecipare con i suoi alla sommossa magnatizia del luglio 1295 (non certo per lealismo verso il popolo: era semplicemente meglio informato degli altri e vedeva con chiarezza che il tentativo era destinato a non sortire risultati brillanti). Questo comportamento ambiguo, che sarà caratteristico della sua politica, gli procurò il favore della maggioranza dei popolani che in lui presero a vedere un paladino degli Ordinamenti (Compagni I 20 " i Cerchi... cominciarono a... accostarsi a ' popolani e reggenti. Da ' quali erano ben veduti, sì perché erano uomini di buona condizione e umani, e sì perché erano molto serventi, per modo che da loro aveano quello che volevano... "). Corrispettivo di ciò fu l'odio di molti fra i magnati: sono famose le invettive di Corso Donati contro l'" asino di Porta ".
Nel periodo d'intense lotte civili tra 1296 e 1302, Vieri si distinse ancora per la cautela: fiducioso nella forza soprattutto economica del suo casato e sicuro che il governo popolare non sarebbe stato abbattuto, adottò un atteggiamento di stretto ossequio alla legge. Quando nel maggio 1299 Corso dovette abbandonare la città, si profilò la grande occasione di Vieri: egli fu convocato a Roma da Bonifacio VIII, che intendeva riconciliarlo con il Donati in modo da ricreare un compatto fronte magnatizio di cui servirsi, in Firenze, per i suoi scopi egemonici; rifiutò di prestarsi alla manovra papale (senza forse capire che ciò lo esponeva all'accusa di non voler sopire neppure ‛ pro borro pacis ' il suo personale odio) preferendo a ciò il presentarsi, ancora una volta, come lo scudo del popolo. Ma, rientrato in Firenze, la sua prudenza - e il pensiero degl'interessi bancari e mercantili della famiglia, ai quali una rottura aperta col papa sarebbe stata fatale - gli fece tenere ancora un atteggiamento ambiguo. Come ai tempi della scoperta congiura di alcuni membri del banco Spini a Roma contro Firenze, egli aveva insistito per lasciar fuori della questione il papa, così dopo il famoso convegno di S. Trinità dette disposizione alla signoria, fatta di sue creature, che la Parte guelfa - pur senza dubbio la principale ispiratrice della congiura - non venisse minimamente coinvolta nella condanna. Sperava di tenere a bada i nemici usando la potenza economica della sua casa e utilizzando, per accrescere il proprio prestigio, le voci che lo volevano in combutta con i ghibellini e con i comuni di Pisa e Arezzo (e non comprese che ciò, essendo in contrasto col tradizionale lealismo guelfo dei Fiorentini, era ‛ psicologicamente ' controproducente). Il suo cauto temporeggiare gli mise contro anche quei Bianchi - il Compagni e verosimilmente lo stesso D. - che avrebbero auspicato una politica più incisiva contro Bonifacio VIII e i Donateschi. Il Compagni (I 27) ha parole aspre nei confronti di tutti i C. e di Vieri in particolare, accusandoli di viltà e di avarizia (" Ma i savi uomini diceano: ‛ E sono mercatanti, e naturalmente sono vili ' ") per non aver osato prendere il governo finché erano in tempo.
Cacciato con i suoi da Firenze, dopo l'ennesimo errore politico di confidare in Uguccione della Faggiuola podestà di Arezzo senza vederne i contingenti interessi che lo avvicinavano al papa, si decise - troppo tardi - ad abbracciare una politica più decisa e a fornire la sua copertura finanziaria ai Bianco-ghibellini riuniti nell'" Università della Parte dei Bianchi della città e del Contado di Firenze ", cui D. stesso partecipò prima di staccarsene bollandole come compagnia malvagia e scempia (Pd XVII 62).
Con quest'ultima cattiva carta giocata si chiuse malinconicamente la parabola di Vieri de' C., il mancato signore di Firenze.
Bibl. - La presentazione cronistica contemporanea più appassionata e cordiale di Vieri resta D. Compagni, Cronica, a c. di I. Del Lungo, in Rer. Ital. Script. ne 2, città di Castello 1913, passim; ma cfr. anche G. Villani, Cronica, Firenze 1844, VIII 39 e passim. Per il documento in cui Vieri e altri cittadini di Parte bianca, tra cui due suoi familiari e lo stesso D., s'impegnano a sostenere le spese di guerra degli Ubaldini (convegno di S. Godenzo) v. Piattoli, Codice 92. Un altro giudizio su Vieri, letterariamente illustre, ma che non sposta le conclusioni del Compagni, è in G. Boccacclo, Il Comento alla D.C. e gli altri scritti intorno a D., a c. di D. Guerri, Bari 1918, II 172; per il viaggio di Vieri a Roma presso Bonifacio vlli, cfr. G. Levi, Bonifacio VIII e le sue relazioni col Comune di Firenze, in " Arch. Soc. Romana St. Patria " V (1882); H.C. Barlow, A New Page in the History of D., in " Athenaeum " 12 aprile 1862, 498-499; ID., Il gran rifiuto, in " The Academy " VI (1874) 183-184.