Turner, Victor Witter
Antropologo sociale inglese, nato a Glasgow il 28 maggio 1920 e morto a Charlottesville (Virginia) il 18 dicembre 1983. Interrotti gli studi di letteratura presso l'University College di Londra durante la Seconda guerra mondiale, alla fine del conflitto studiò antropologia sociale presso la stessa università entrando in contatto con i principali antropologi inglesi del periodo: A. Radcliffe-Brown, D. Forde, M. Fortes, R. Firth ed E. Leach. Successivamente, conosciuto M. Gluckman, da cui ereditò l'interesse per la teoria del conflitto e per l'antropologia politica, completò un dottorato alla University of Manchester dove questi insegnava. A tale periodo (1950-1954) risale il suo lavoro sul campo in Africa centrale presso i Ndembu dello Zambia (all'epoca Rhodesia del Nord) svolto nell'ambito del Rhodes-Livingstone Institute diretto da Gluckman. Nel 1955 cominciò a insegnare diventando in breve uno tra gli studiosi più noti della Manchester School of Anthropology e contribuendo a operare un rinnovamento teorico e metodologico dell'ortodossia struttural-funzionalista. Nella sua prima opera, Schism and continuity in an African society. A study of Ndembu village life (1957), la vita sociale è presentata come un processo; viene analizzato il tema del conflitto (sociale e culturale) e della sua risoluzione e viene introdotto il concetto di dramma sociale che sarà poi elaborato in opere successive. Nel 1961 iniziò a insegnare negli Stati Uniti, dapprima per un anno alla Stanford University, quindi, dal 1964, come professore di ruolo alla Cornell University; nel 1968 si trasferì presso la University of Chicago e, infine, dal 1977 alla morte, alla University of Virginia.
Attraverso lavori divenuti capisaldi dell'approccio antropologico (Forest of symbols. Aspects of Ndembu ritual, 1967, trad. it. 1976; The drums of affliction. A study of religious processes among the Ndembu of Zambia, 1968; e soprattutto Ritual process. Structure and anti-structure, 1969, trad. it. 1972) T. pose le basi per una nuova, complessa teoria del simbolismo e dell'azione rituale, concentrandosi sulla relazione tra struttura sociale organizzata e momenti di disarticolazione della stessa. Fondamentale nella sua opera, oltre all'influenza di Gluckman, fu quella di A. van Gennep che, nel suo Les rites de passage (1909; trad. it. 1981), aveva formulato una teoria innovativa sul funzionamento dei riti di passaggio da lui suddivisi in tre fasi distinte: una di separazione dalla realtà precedente, una di transizione, detta liminale, in cui si tenta di ricomporre i simboli culturali in modi inediti, e infine una terza di aggregazione in un nuovo ordine. Seguendo questo modello, i drammi sociali, momenti di forte tensione che caratterizzano le situazioni di conflitto, sono suddivisi da T. in quattro fasi. Nella prima fase vengono deliberatamente infrante le norme che tradizionalmente regolano i rapporti tra le parti; si passa così alla fase di crisi in cui il contrasto si accentua. Questa presenta i caratteri della liminalità, in quanto zona di passaggio tra due momenti diversi di stabilità del processo sociale. La terza fase vede l'intervento di un'azione riparatrice messa in atto dal sistema. Nell'ultima fase si assiste alla risoluzione del conflitto con la reintegrazione del gruppo nella società o con la legittimazione di uno scisma tra le parti in contrasto. Nell'analisi del rito lo stato di liminalità indica che il soggetto si trova tra due fasi, non fa più parte del gruppo al quale apparteneva in precedenza, ma non è stato ancora incorporato nel gruppo cui apparterrà al completamento del processo. Tipico esempio è costituito dai riti di passaggio della pubertà che segnano l'abbandono della fanciullezza e l'ingresso nella vita adulta.
Alla liminalità T. accosta il concetto di anti-struttura (unità dinamica di sospensione strutturale): entrambi rendono possibile la creazione della communitas, la comunità transitoria costituita da tutti gli individui sottoposti al rito, in cui i soggetti sono su un piano di parità totalmente separati dai criteri di status adottati nella vita di tutti i giorni. Liminalità e communitas liberano nei soggetti capacità cognitive, affettive, creative normalmente imbrigliate dal fatto di occupare una precisa posizione sociale. Una persona, o anche un intero gruppo sociale, in situazione di limininalità possiede quindi grandi potenzialità di cambiamento. T. ha esteso questo modello teorico alle società complesse definendo liminoidi (in quanto assomigliano al liminale senza coincidere con esso) i fenomeni che hanno luogo nella società occidentale quando si rende necessario trovare un nuovo senso culturale che dia conto di determinati aspetti della vita sociale. Nelle società contemporanee nuovi significati vengono elaborati nell'ambito dell'arte dove è possibile una libera sperimentazione simbolica. Esistono, infatti, forti somiglianze tra le attività artistiche delle società industriali e i miti e i rituali delle società tribali. In From ritual to theatre: the human seriousness of play (1982; trad. it. 1986) T. si interessa al modo in cui frammenti di realtà possono essere rielaborati nel linguaggio teatrale sperimentale che diventa così spiegazione ed esplicitazione, al tempo stesso ludica e creativa, dei fatti della vita.
Tra le opere di T. sono da ricordare anche: Ndembu divination: its symbolism & techniques, 1961; Chihamba the white spirit: a ritual drama of the Ndembu, 1962; Dramas, fields, and metaphors: symbolic action in human society, 1974; Image and pilgrimage in christian culture: anthropological perspectives, in collab. con E. Turner, 1978 (trad. it. Il pellegrinaggio, 1997); On the edge of the bush: anthropology as experience, a cura di E. Turner, 1985; The anthropology of performance, 1986 (trad. it. 1993).
bibliografia
Victor Turner and the construction of cultural criticism: between literature and anthropology, ed. K.M. Ashley, Bloomington 1990; M. Engelke, An interview with Edith Turner, in Current anthropology, 2000, 41, pp. 843-52.