VICO (Vicus)
Il termine, la cui radice si ricollega con quella del greco οἰκος "casa", ha in latino tre accezioni diverse, che Festo (ed. Müller, p. 371) ci enuncia. Vicus è innanzi tutto una borgata, un villaggio che si distingue dalla civitas non tanto per la sua ampiezza o importanza, quanto perché non ha come questa un'organizzazione politico-amministrativa aautonoma; in secondo luogo è il complesso di più case e strade di una città, quello che noi oggi diremmo un quartiere. Infine vicus, aggiunge Festo, è un immobile urbano diviso in appartamenti di affitto. In questo terzo significato, che viene a fare di vicus un sinonimo di insula (v.), la parola viene usata assai raramente; invece dal secondo si può dire derivato già nell'antichità stessa un altro significato: quello di strada secondaria, in contrapposto a via, che è una strada grande, lastricata.
Il vico o borgata non ha in generale, come si è detto, un'organizzazione politico-amministrativa: esso è pertanto aggregato a una civitas, del cui territorio fa parte, senza peraltro che i suoi abitanti godano nella città stessa di diritti politici: questi abitanti sono nella condizione di incolae. Ma non v'ha dubbio che tale stato di cose dovette assai presto subire eccezioni e il vico acquistare a poco a poco il carattere di una quasi-civitas, cioè avere un'organizzazione cittadina, dapprima ridotta ed embrionale, poi via via sempre più vicina a quella della civitas: quando naturalmente non avveniva che un vicus, aumentando di abitanti e di importanza, passasse al grado di città, cioè di municipio e poi anche talvolta di colonia.
Circostanze, varie a seconda dei casi e delle regioni, condussero a tali modifiche. In Italia già la concessione del diritto di cittadinanza agl'Italici, al principio del sec. I a. C., equiparando gli abitanti dei vici a quelli delle città dovette favorire quello sviluppo. In qualche caso il vicus, sorto intorno a un santuario e vivente di esso, ha un'organizzazione religiosa e certi particolari diritti (di ricevere legati, eredità, ecc.) che facilmente conducono a un'organizzazione politico-amministrativa: è il caso di Furfo, nel territorio dei Vestini, da cui abbiamo un'iscrizione contenente una lex vicana del 58 a. C. (Corp. Inscr. Lat., IX, p. 333, n. 3513). Analogo, per quanto determinato da una diversa funzione, si può considerare il caso dei vici viasiorum, cioè dei vici formati lungo le strade principali con l'incarico ai loro abitanti di provvedere con prestazioni d'opera o più tardi anche di tributi in denaro, alla manutenzione delle strade stesse: ne abbiamo menzione nella lex agraria del 111 a. C., ma la forma viasiorum (per viariorum) ci dice che la loro istituzione doveva essere molto antica. Altrove è l'istituzione di un mercato periodico, di un centro militare, di un nucleo di coloni che dà origine a un vicus, e determina l'organizzazione di esso con magistrati, che alcune volte hanno il modesto titolo di magistri, ma talvolta anche quelli di aediles, quaestores, curatores, actores, a seconda del carattere precipuo delle loro funzioni; frequenti sono anche naturalmente i patroni. Nelle provincie greche è la condizione precedente delle κῶμαι, che possiedono già un'organizzazione consimile a quella della πόλις, che determina più facilmente l'avvicinamento del vicus alla civitas.
Il vico, sinonimo di quartiere della città, limitatamente a Roma dapprima, poi, per analogia, esteso ad altre città dell'impero, è non soltanto una divisione territoriale, ma anche un'unità amministrativa, ai fini del censimento, dell'organizzazione contro il pericolo degli incendî, e soprattutto di particolari cerimonie del culto, che hanno il loro centro al compitunt e le loro particolari divinità nei Lares compitales. Secondo Dionigi di Alicarnasso l'organizzazione dei vici sarebbe risalita a Servio Tullio; il primo scrittore che ne parla è Varrone, Augusto la riportò in onore, unendo al culto dei Lari compitali quello del Genius Augusti. Il numero dei vici nella città intera e nelle singole regioni augustee variò naturalmente col tempo: Plinio lo dà in 265; la Notitia regionum del sec. IV, in 423; la cosiddetta base capitolina del tempo di Adriano (corp. Inscr. Lat., VI, 975) dà per le regioni I, X, XII, XIII, XIV, il nome di 66 vici. Questi nomi, come quelli che conosciamo per altre regioni, e che si identificano poi col nome della strada principale del quartiere, donde il significato derivato cui si accennava in principio, derivano da particolari generi di mestieri o di negozî che vi si praticavano o vi si tenevano (vicus sandalarius, vitrarius, ecc.) da gentilizî plebei (Acilius, Publicius, ecc.), da particolarità topografiche (templi, monumenti) o etniche, ecc. (vicus portae Collinae, Apollinis, Caput Africae, Tuscus, ecc.). Alcune volte gli stessi nomi si ripetono nelle città dell'Italia o delle provincie.
Bibl.: A. Grenier, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire, s. v.; per i vici = villaggi e la loro formazione e sviluppo nell'Impero: M. Rostovzeff, Storia sociale ed economica dell'Impero, Firenze 1932, passim; per i vici urbani (quartieri e strade): H. Iordan, Top. d. Stadt Rom, I, i, Berlino 1878, p. 514 segg.
Vicomagistri.
I vicomagistri (στενώπαρχοι) erano in Roma magistrati inferiori addetti al culto popolare dei Lares nei compita, istituito, secondo la tradizione, da Servio Tullio (Dionys., IV 14), poi caduto in desuetudine. Fu ristabilito e ordinato da Augusto nel 7 a. C., contemporaneamente alla divisione della città in 14 regioni e 265 vici. Al culto dei due Lares compitales fu allora aggiunto quello del terzo Lare, il Lare di Augusto. Ogni anno si sorteggiavano fra gli abitanti di ciascun vicus, per lo più fra i liberti o libertini, di rado fra gli ingenui, i nomi di quattro persone che dovevano assumere l'ufficio, annuale, di vicomagistri. Al 10 maggio si celebrava, a loro cura, l'antica festa dei Compitalia con i ludi compitalicii, e al 1° agosto, giorno in cui entravano in carica, una seconda festa, di nuova istituzione, in modo speciale dedicata ai Lares Augusti, aveva luogo presso le are vicane, ornate della corona civica e dei due rami di alloro, simboli concessi dal senato a distinguere l'ingresso della casa di Augusto sul Palatino. I vicomagistri avevano anche la cura di conservare e risarcire le edicole sacre erette nei 265 vici della città.
Nei primi anni della loro istituzione, prima della creazione del corpo dei vigiles (6 a. C.), ebbero anche la cura del servizio di spegnimento degli incendî. Erano soggetti alla giurisdizione dei magistrati pubblici, pretori, tribuni della plebe, edili, che annualmente erano preposti a una delle 14 regioni augustee in cui si divideva Roma. Avevano per coadiutori tre o quattro ministri, di condizione servile. Ricca è la serie dei monumenti sacri che in ogni quartiere di Roma furono dedicati dai vicomagistri nelle edicole e nei sacelli dei Lari; le iscrizioni che li accompagnano ci dànno i nomi degli umili magistri e anche dei ministri, con l'indicazione dell'anno di decorrenza dell'istituzione augustea dall'anno 7 a. C., dal quale s'inizia l'era dei vicomagistri. Questa si aprì precisamente il 1° agosto dell'anno 7 a. C., il magisterio comprendeva quindi gli ultimi cinque mesi di un anno civile e i primi sette mesi del successivo. Fra la serie di monumenti è notevole quello scoperto nel 1906 in via Claudia, dedicato l'anno 2 a. C. dai vicomagistri del vicus Statae Matris (consorte di Vulcano) conservato nel Museo Mussolini, in Campidoglio. È un cippo decorato da una grande corona di quercia (corona civica), con nastri svolazzanti, recante i nomi dei quattro ministri del culto dedicanti. Un cippo analogo è quello rinvenuto in via Arenula nel 1889 (anch'esso nel Museo Mussolini) con la rappresentazione del sacrificio offerto dai vicomagistri, e altri simili furono ricuperati in via S. Martino ai Monti e al Viale del Re. Un nuovo documento epigrafico, scoperto recentemente in via Marmorata, contenente anche i resti di un calendario e la serie, quasi completa, dei consoli e dei censori dall'anno 43 a. C. all'anno 3 d. C., ci offre la serie dei vicomagistri che tennero il loro ufficio in un vicus della XIII regione Augustea (Aventinus), dall'anno della fondazione del collegio al 21 d. C. Questo importante documento ha dimostrato che sotto l'imperatore Tiberio, fra gli anni 16 e 18 d. C., fu stabilito che i vicomagistri, come tutti gli altri magistrati, entrassero in carica non più il 1° agosto di ciascun anno, ma il 1° gennaio e ne uscissero il 31 dicembre.
Bibl.: Th. Mommsen, Gesamm. Schriften, VII, Berlino 1909, p. 181; G. Gatti, in Bullettino della Commissione archeologica comunale, Roma 1889, p. 69 segg.; A. von Premerstein, Archäol.-epigraph. Mittheil. aus Österreich, Vienna 1891, p. 83 seg.; G. Gatti, in Bullettino della Commissione archeologica comunale, 1906, p. 18 segg.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, Monaco 1912, p. 171 segg.; G. Mancini, Fasti consolari e censori ed elenco di vicomagistri rinvenuti in via Marmorata, in Bullettino della Commissione archeologica comunale, 1935, p. 35 segg.