MANTEGAZZA, Vico
Nacque a Milano il 22 genn. 1856 da Carlo e da Giulia Della Croce.
Precocemente indirizzatosi verso la carriera giornalistica, esordì nel 1879 come redattore dei giornali romani Il Fanfulla e La Libertà. Nel 1886 si recò come inviato nei Balcani, dove era in atto la crisi seguita all'unione della Rumelia orientale al Principato autonomo di Bulgaria, che destò non poca apprensione nelle diplomazie europee. Buona parte di quegli eventi il M. poté osservare e raccontare con dovizia di dettagli nelle sue corrispondenze e poi nel libro Due mesi in Bulgaria, ottobre e novembre 1886: note di un testimonio oculare (Milano 1887).
Nel 1887, quando la politica coloniale italiana era ai suoi inizi e aveva registrato a Dogali il primo insuccesso, il M. conobbe la definitiva affermazione professionale recandosi in Africa orientale per conto de L'Illustrazione italiana e del Corriere della sera. Vi restò cinque mesi, testimoniando l'atteggiamento degli ufficiali italiani nei riguardi delle prime unità indigene, sostanzialmente improntato alla durezza, alla diffidenza e al razzismo. Quel viaggio lo rese famoso in tutte le redazioni, anche perché era costato 18.000 lire, una cifra pari al 15% del bilancio che il Corriere dedicava alla redazione. L'anno dopo il M. pubblicò Da Massaua a Saati: narrazione della spedizione italiana del 1888 in Abissinia (ibid. 1888), sulla quale scrisse alcune corrispondenze anche per il periodico romano Pietro Micca. Al rientro in Italia divenne redattore capo del Corriere della sera, finché, all'inizio degli anni Novanta, assunse la direzione del quotidiano L'Italia di Milano e quindi de La Nazione di Firenze (che sarebbe tornato nuovamente a dirigere per qualche anno).
Dei temi africani si occupò ancora a seguito del disastro di Adua, nei volumi Gl'Italiani in Africa. L'assedio di Macallé e La guerra in Africa, entrambi editi a Firenze nel 1896.
Il M. vi ribadì alcune sue idee sulla collocazione internazionale dell'Italia, presentò una dettagliata cronistoria di dieci anni di presenza italiana nel Corno d'Africa - dallo sbarco di Massaua alla sconfitta contro gli Etiopi -, ma soprattutto fece un lungo esame delle battaglie parlamentari a proposito della politica coloniale, non lesinando critiche sia al governo sia all'opposizione. Le più aspre riguardarono il dopo Adua per non avere avviato un serio riarmo. I libri risentono in parte di un'impostazione giornalistica: i singoli capitoli, sebbene rivisti e molto lunghi, conservano la spezzatura e la cronologia degli articoli di giornale.
Sempre nel 1896 il M. colse l'occasione del matrimonio dell'erede al trono, il futuro Vittorio Emanuele III, con la principessa Elena, figlia del re del Montenegro Nikola Petrović Njegoš, per visitare il piccolo Regno balcanico, che descrisse nel volume Al Montenegro. Un Paese senza Parlamento. Note ed impressioni (agosto-settembre 1896). Pubblicato a Firenze, il libro contò tre edizioni nel 1896 e una nuova apparve a Milano nel 1910.
Nell'opera il M. suggeriva l'utilità per l'Italia di accordarsi riguardo ai Balcani con la Russia piuttosto che con l'Austria-Ungheria, ma non trovò grande ascolto, come dimostrò l'accordo italo-austriaco del 1897 concernente l'Albania.
Commissario italiano all'Esposizione di Parigi del 1900, nel medesimo anno fu chiamato da S. Sonnino a dirigere L'Italie. Journal politique quotidien, già di proprietà di E.E. Oblieght, che egli mantenne su posizioni conservatrici e ministeriali, prima di cedere la direzione a D. Oliva. In quel periodo collaborò inoltre al quotidiano La Patria, pubblicato a Roma dal dicembre 1900 al novembre 1906.
Il mondo balcanico continuò a essere per il M. oggetto di un interesse primario e costante. Nei primi anni del Novecento era all'ordine del giorno la questione macedone, al centro delle vicende balcaniche e strettamente connessa con la politica bulgara. In particolare la vasta e sanguinosa rivolta scoppiata in Macedonia il 2 ag. 1903 (che gli Slavi chiamarono di Ilinden, cioè del giorno di S. Elia) richiamò l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale sulle vicende tempestose di quella regione. Il M. vi si recò tra marzo e aprile del 1903, quindi prima della grande insurrezione e ne nacque il libro Macedonia (Milano 1903).
Nel giudizio dello storico e balcanista M. Dogo la produzione scritta del M., almeno in riferimento al mondo balcanico, non era esente da pecche, soprattutto se raffrontata a quella di autori come V. Bérard o H.N. Brailsford: mancava di seri approfondimenti e dava spazio eccessivo alle note di colore. Se, tuttavia, si tiene presente l'atteggiamento dell'intellettualità italiana dell'epoca verso le terre oltre Adriatico, al M. si dovrà riconoscere la rinuncia al pregiudizio antislavo, nonché la capacità di non limitare i propri interessi all'Albania o alla costa adriatica. In ogni caso i suoi libri e i suoi articoli, di là dai loro limiti, svolsero una notevolissima funzione di informazione. Specificamente sulla questione macedone, il M. fornì un'immagine sufficientemente precisa degli eventi e dei personaggi, nonostante alcune cadute nell'esotismo o nell'avventuroso. Senza conoscere la lingua bulgara, il M. rappresentò inoltre la Bulgaria all'Esposizione universale di Milano del 1906. Ciò prova sia la sua notorietà sia la fiducia che riscuoteva presso il governo di Sofia. Peraltro l'attenzione per gli affari (come investitore o quale mediatore commerciale e finanziario) fu nel M. sempre parallela all'attività giornalistica.
Dal 1906 prese intanto a pubblicare l'annuario Questioni di politica estera, in cui trovarono posto tutti i principali argomenti di politica internazionale. Il M. si occupò inoltre di questioni africane nel lungo saggio Il Marocco e l'Europa, a proposito della conferenza di Algesiras (Milano 1906), nel quale illustrò tra l'altro alcuni coloriti aspetti delle conferenze internazionali, mentre in L'altra sponda: Italia ed Austria nell'Adriatico (ibid. 1906) lasciò trapelare ancora una volta la sua scarsa simpatia verso l'alleanza con Vienna.
Nel maggio 1908, anno chiave per la storia del Sudest europeo, tornò in Macedonia, spinto anche dall'annuncio dato dal governo austro-ungarico di un progetto ferroviario balcanico, argomento cui era molto sensibile. Viaggiò appunto sulla nuova ferrovia Istanbul-Salonicco e di qui raggiunse Monastir, dove poté meglio constatare il fallimento delle riforme volute dalle Potenze europee.
Di fronte ai contrasti tra i popoli balcanici, il M. riteneva che le Potenze non potessero applicare il principio di nazionalità per risolvere le agitazioni che squassavano l'Impero ottomano, né procedere, come in passato, a una semplice amputazione. Nel volume La Turchia liberale e le questioni balcaniche (ibid. 1908) non parlò solo della questione macedone, ma pure dell'indipendenza bulgara e dell'annessione della Bosnia-Erzegovina all'Austria-Ungheria, il cui riconoscimento da parte italiana gli parve affrettato e tale da attirare contro l'Italia l'antipatia degli Slavi balcanici, dei Serbi in primo luogo. Guardò poi con favore alla rivoluzione dei Giovani Turchi, che lo induceva a sperare in mutamenti positivi.
Il M. non si limitò però all'attività pubblicistica e fu tra i finanziatori della Compagnia di Antivari, che era stata fondata nel dicembre 1905 per svolgere diverse operazioni economiche in Montenegro. In tale impresa si trovò affiancato alla più attiva finanza italiana: la Banca commerciale italiana, G. Volpi e il suo entourage, industriali cantieristici come G. Orlando, E. Piaggio e altri. Della Compagnia divenne segretario, con l'incarico di tenere i rapporti con le autorità politiche, in particolare di Bucarest e Belgrado, ma ovviamente ebbe modo di recarsi più volte anche in Montenegro.
Le sue relazioni in Serbia gli avevano permesso "di venire a conoscere da tempo i progetti serbi di una ferrovia transbalcanica" (Webster, p. 390). Tra il 1905 e il 1909 fu realizzata dunque la linea ferrata da Antivari a Vir Pazar di 43 Km, nonostante le enormi difficoltà ambientali. Successivamente fu istituito un traghetto attraverso il lago di Scutari e ad Antivari fu costruito un moderno albergo. Nel 1910 il M. diede conto di tutte le vicende e le realizzazioni della Compagnia in un opuscolo ricco di dettagli, Il Porto di Antivari, la ferrovia Antivari-Vir, il lago di Scutari (Compagnia di Antivari), ibid. 1910. Tornò sul tema in un'altra pubblicazione del tempo di guerra (Il porto di Antivari: iniziative italiane al Montenegro, ibid. 1916), e anni dopo insistette sul fatto che si era trattato di un'impresa che non puntava al profitto ma a un risultato politico.
Nel 1910 il M., come risultato di un viaggio Oltreoceano effettuato nel 1909 in cui incontrò anche il presidente statunitense T. Roosevelt, pubblicò il volume Agli Stati Uniti: il pericolo americano (ibid.).
Con realismo egli vide, di là da usi e costumi che non apprezzava, la forza del colosso americano, ormai capace di esportare manufatti e non solo cereali o materie prime, nonché pronto, di volta in volta, a opporsi a iniziative egemoniche o espansionistiche di Inghilterra, Germania e Giappone. Espresse disappunto per il fatto che l'America Latina entrasse nell'orbita statunitense. La sua mentalità moderatamente conservatrice, di fronte alla libertà di costumi delle donne statunitensi o alla questione dei neri, finì per rivelare qualche tratto di intolleranza. Di tutto ciò avrebbe fatto autocritica in un breve scritto, Gli Stati Uniti alla difesa dell'Europa (ibid. 1919), nel quale ammise di non avere saputo apprezzare a pieno le qualità della democrazia americana, mostrandosi proclive a favorirne il mito.
Sempre nel 1910 diede alle stampe Menelik: l'Italia e l'Etiopia (ibid.), non dimenticando dunque il primo insediamento coloniale italiano. Ma un ovvio, nuovo momento di interesse per l'Africa giunse fra il 1911 e il 1912, quando il M. approvò senza remore l'impresa di Tripoli e pubblicò un breve scritto dal titolo eloquente, Tripoli e i diritti della civiltà (ibid. 1912). Sostenne inoltre, riguardo al Dodecaneso, la politica italiana volta a non consentire che alcune popolazioni greche tornassero sotto dominio ottomano. Di respiro più ampio fu, invece, Il Mediterraneo e il suo equilibrio (ibid. 1914), che meritò la prefazione del ministro G. Bettolo. Sebbene considerato da alcuni (Bosworth, p. 280) un "propagandista semiufficiale" della politica governativa, invero il M. dimostrò una non comune libertà di giudizio, che ebbe modo di mettere in luce nei numerosi periodici cui collaborò in questo periodo: il Giornale d'Italia diretto da A. Bergamini, Nuova Antologia, Il Monitore del commercio, Rassegna contemporanea, giornale considerato liberale di sinistra, Rivista coloniale, organo dell'Istituto coloniale italiano, il foglio interventista La Patria, L'Idea nazionale, La Vita italiana all'estero di G. Preziosi, L'Italia all'estero di R. Fuà.
Di Macedonia, Bulgaria e Balcani il M. tornò a trattare nel libro La grande Bulgaria (Roma 1913). Anticipato da un opuscolo nel 1912, rappresentò una sorta di instant book nato sulla scorta delle vittorie conseguite nella prima guerra balcanica dalla Quadruplice (Bulgaria, Grecia, Montenegro e Serbia), ai danni dell'Impero ottomano che, sconfitto, conservò solo un lembo dei suoi possedimenti europei.
Il M. era entusiasta per il fatto che gli alleati balcanici riuscissero a espellere l'antico dominatore musulmano dall'Europa, con l'eccezione di Costantinopoli o poco più. Con singolare revirement, nel 1913 incluse la questione macedone in quella bulgara e considerò la Macedonia solo come una terra irredenta che veniva recuperata alla madrepatria. Il M. era ammirato per il peso che nella guerra e nella penisola stava assumendo la Bulgaria, eppure alcune sue considerazioni storiche, senza volere, sembrarono prevedere il nuovo conflitto interbalcanico di sei mesi più tardi.
Le guerre balcaniche, peraltro, non posero fine alle sue iniziative e trattative economiche. La società italiana Breda nel 1912 aveva siglato un contratto per un'importante commessa dal governo bulgaro, ma questo aveva optato per un'offerta tedesca più conveniente e i vertici della Banca commerciale italiana all'inizio del 1913 vollero fare sentire il loro disappunto a Sofia tramite il M., pur senza grande successo. Nell'aprile del 1913 il M. si recò a Bucarest, dove ottenne un'udienza dal re Carol I, il quale dimostrò grande interesse per un rilancio del progetto di una linea ferroviaria che andasse dall'Adriatico al Danubio. Si pensò allora negli ambienti governativi romeni di favorire più serrate relazioni tra Italia e Romania, operando anche sul terreno educativo e culturale, magari introducendo lo studio dell'italiano nelle scuole superiori.
Nel frattempo il M., che non nutriva pregiudizi antislavi, si occupò anche della terra cui l'opinione italica prestava maggiore attenzione, l'Albania: il suo volume L'Albania (Roma 1912) apparve poco prima che Ismail Qemal proclamò, in margine alla prima guerra balcanica, l'indipendenza della terra sqipetara. Egli plaudì a quel gesto politico, nonostante la debolezza della neonata entità statale, e auspicò relazioni particolarmente strette con l'Italia: è noto, peraltro, che Roma e Vienna esercitarono nel 1914 una vera tutela sul principe Guglielmo di Wied, primo effimero regnante albanese.
Negli anni antecedenti il conflitto mondiale, il M. faceva dunque parte di quel gruppo di giornalisti operanti in Italia o all'estero che, secondo G. Licata (cfr. Il Corriere della sera e la Triplice, in Il giornalismo italiano dal 1900 al 1918. Atti del VII Congresso nazionale di storia del giornalismo, Trento-Trieste… 1968, Trieste 1972, p. 277) mettevano il Corriere della sera in grado di "avvertire i sotterranei umori della politica estera" a volte prima della Consulta. Il giornale milanese dedicò il primo editoriale all'attentato di Sarajevo solo il 14 luglio 1914, firmato dal Mantegazza. Dal 1915 il M. narrò il conflitto in una mastodontica opera, Storia della guerra mondiale (I-VII, Milano 1915-19), che gli valse il plauso di personalità come L. Cadorna, L. Luzzatti, P. Boselli, F. Martini, G. Bettolo, il ministro e ammiraglio L. Viale.
Dopo la rivoluzione dei Giovani Turchi, il M. aveva espresso l'opinione che se la Turchia fosse divenuta un Paese "normale" non avrebbe creato più preoccupazioni, ma sarebbe stata destinata a un importante ruolo internazionale e con essa l'Italia avrebbe dovuto accordarsi. Invece, pochissimi anni dopo, come tanti altri italiani, anche influenti, il M. non credeva più che in Turchia fosse possibile attuare riforme efficaci e, sulla scorta di quanto avvenuto nei confronti delle popolazioni cristiane dei Balcani, pronosticava un deciso intervento delle Potenze per dirimere il contrasto sempre più evidente tra maggioranza turca e minoranza armena. Scoppiata la guerra, non fu certo stupito che gli accordi tra le Potenze dell'Intesa prevedessero anche un radicale smembramento dei possedimenti del sultano, cui avrebbe preso parte pure l'Italia. Peraltro il M. non era estraneo alle iniziative economiche italiane riguardanti l'Asia Minore, e dedicò a esse il volume Eraclea: italiani in Oriente (Roma 1922), in cui sosteneva che il colonialismo tradizionale poteva essere sostituito dalla penetrazione economica e culturale. Dunque la concessione delle miniere a Eraclea, ottenuta da Volpi, gli parve un'ottima iniziativa, soprattutto tenendo presente la scarsezza di materie prime, e di carbone in particolare, dell'Italia, e nonostante le molte difficoltà di ordine tecnico e logistico che ne avevano limitato la redditività.
Il M. non dimenticò il suo interesse per la penisola balcanica e il Vicino Oriente neppure nella sua ultima opera apparentemente dedicata a un tema molto diverso: la costruzione della direttissima ferroviaria Roma-Bari. Il volume Attraverso il Molise. Sulle vie dell'Oriente (Roma 1924) pubblicato quando era già al potere B. Mussolini, era un libro "d'occasione", ma il M. vi ribadiva la propensione verso l'Oriente e i Balcani sui quali, affermava, "l'Italia ha un certo diritto di prelazione" (p. 138).
La tesi era che lo sviluppo del Molise e, più in generale, del Meridione italiano, soprattutto in fatto di collegamenti ferroviari e viari, fosse funzionale ai rapporti tra le diverse regioni italiche e alla penetrazione delle merci italiane in quei mercati. Vi si affermava esplicitamente che la questione meridionale doveva essere risolta con il convinto contributo del Nord, che aveva potuto esportarvi le sue merci grazie all'unificazione; altrimenti altri Paesi ben più progrediti dal punto di vista industriale vi avrebbero collocato i loro prodotti. Inoltre il trasporto di merci e soprattutto di rifornimenti militari per via interna, e non lungo le coste, gli sembrava essenziale in caso di attacco nemico dal mare, soprattutto sull'Adriatico. Considerava perciò le ferrovie come altrettante fortificazioni (p. 130) e di grande importanza militare la direttissima Roma-Bari, di cui caldeggiava la costruzione (in parte utilizzando tratte già esistenti). La nascente fiera del Levante sarebbe stata una sorta di capolinea di quell'iniziativa economica e logistica.
Dopo la Grande Guerra il M. collaborò a Echi e commenti. Rassegna universale della stampa, che si pubblicò a Roma sotto la direzione di A. Loria dal settembre 1920. Il M., che abitava nella capitale, era socio dell'Associazione della stampa periodica italiana e vantava varie onorificenze (grande ufficiale dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, gran croce dell'Ordine della Corona d'Italia, commendatore dell'Ordine della Stella d'Italia). Con la nascita del regime fascista la sua fama parve oscurarsi, ma in ciò l'età pesò forse più delle convinzioni politiche, che non erano tali da indurlo ad assumere posizioni di fronda o aperta opposizione.
Il M. morì a Milano il 28 ott. 1934.
Fra le sue opere, oltre a quelle citate: The Italian stage, Rome 1881; L'Esposizione di Parigi nel 1900, Roma 1899; La Bulgaria contemporanea: il risveglio di una nazionalità, Milano 1906; Il Benadir, ibid. 1908; Ordinamento delle rappresentanze diplomatiche e consolari per il migliore esercizio delle loro funzioni di tutela, Roma 1911; Note e ricordi, Milano 1911; Apologie inopportune, Roma 1912; La guerra balcanica, ibid. 1912; L'Egeo: conferenza di Vico Mantegazza, Milano 1912; La guerra balcanica, ibid. 1914; Il governo e l'amministrazione dei piccoli comuni, Roma 1919; L'Italia poco conosciuta: l'isola d'Elba, Milano 1920.
Fonti e Bibl.: O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento, Roma 1963, II, p. 718; Id., La stampa periodica romana dal 1900 al 1926, ibid. 1977, I, pp. 262, 344, 417, 427; II, pp. 548, 608, 652, 841, 843; R. Webster, L'imperialismo industriale italiano. Studio sul prefascismo, 1908-1915, Torino 1974, pp. 389, 434 s., 458, 546, 572; G. Licata, Storia del Corriere della sera, Milano 1976, ad ind.; V. Castronovo - L. Giacheri Fossati - N. Tranfaglia, La stampa italiana nell'età liberale, Roma-Bari 1979, pp. 91, 110, 184, 241; C. Barbieri, Il giornalismo dalle origini ai giorni nostri, Roma 1982, p. 91; M. Dogo, La dinamite e la mezzaluna. La questione macedone nella pubblicistica italiana (1903-1908), Udine 1983, pp. 70-72; R.J.B. Bosworth, La politica estera dell'Italia giolittiana, Roma 1985, ad ind.; F. Guida - A. Pitassio - R. Tolomeo, Nascita di uno Stato balcanico. La Bulgaria di Alessandro di Battenberg nella corrispondenza diplomatica italiana (1879-1886), Napoli 1988, ad ind.; G. Mattioli, Contribution du journaliste et publiciste V. M.: la connaissance de l'histoire et des questions des Pays de l'Europe du Sudest en Italie entre la fin du XIXe et le début du XXe siècle, in Balcanica, 1993, pp.87-100; A. De Gubernatis, Piccolo Diz. dei contemporanei italiani, Roma 1895, p. 567; Id., Dictionnaire international des écrivains du monde latin, Supplément et index, Rome-Florence 1906, p. 130; Chi è? Diz. degli Italiani d'oggi, 1928, p. 310.