ORSINI, Vicino
ORSINI, Vicino (Pier Francesco). – Nacque a Roma il 4 luglio 1523 da Gian Corrado, del ramo di Mugnone, e da Clarice di Franciotto Orsini di Monterotondo, pronipote di Leone X. Fu battezzato col nome di Pier Francesco.
Insieme con il fratello minore Maerbale fu educato alle arti della guerra e alla caccia, ma ricevette anche una formazione umanistica da Nicola Monaldeschi. Dopo la morte di Gian Corrado, il 21 settembre 1535, si accese una disputa ereditaria, nella quale, accanto ai pretendenti principali, Vicino e Maerbale, rivendicarono la propria parte anche parenti più lontani. La controversia venne composta nel 1542 con l’arbitrato del vicecancelliere dello Stato pontificio, il cardinale Alessandro Farnese. A Orsini fu assegnata la residenza paterna di Bomarzo, Maerbale ottenne la signoria sul castello di Penna, Chia, metà di Foglia, Collestato e Torre di Chia.
Attraverso il matrimonio con Giulia Farnese, pronipote di Paolo III, celebrato l’11 gennaio 1545 a Rocca di Giove, Orsini rafforzò i rapporti tra il suo casato e i Farnese, già tradizionalmente buoni, stabilendo un legame diretto con la famiglia del pontefice.
Già prima aveva ricevuto omaggi consoni al suo rango: nel 1541, nella sala del palazzo vescovile di Viterbo, fu rappresentata in suo onore con grande apparato la commedia La Cangiaria, composta probabilmente dal medico e poeta Giacomo Sacchi. Risalgono poi a quegli anni i contatti con letterati veneziani, che Orsini avrebbe coltivato per tutta la sua esistenza, dimostrando una curiosità e un’apertura culturale non comune per un feudatario della Chiesa. Soggiornò nella città lagunare tra il 1542 e il 1543 , e vi conobbe Francesco Sansovino, che molti anni dopo gli avrebbe dedicato la sua edizione dell’Arcadia di Jacopo Sannazaro (Venezia 1570), facendo riferimento al Boschetto di Bomarzo. Strinse amicizia con Giuseppe Betussi e tramite lui frequentò la poetessa Franceschina Baffo e il suo circolo poetico, che aveva come punto di riferimento l’editore Gabriele Giolito de’ Ferrari. Betussi, che nel Dialogo amoroso (Venezia 1543) ricorda la visita di Orsini a Venezia, l’anno dopo gli dedicò il dialogo Il Raverta. L’ambiente tollerante di Venezia, influenzato dal pensiero eterodosso, evidentemente corrispondeva meglio allo scetticismo politico e religioso di Orsini di quanto non facesse lo Stato pontificio.
Sul finire del 1545 Orsini fu chiamato a far parte della commissione incaricata da Paolo III di arbitrare la controversia insorta tra Michelangelo e Antonio da Sangallo a proposito delle opere di fortificazione del Vaticano, che Sangallo avrebbe dovuto eseguire ma su cui Michelangelo aveva espresso critiche. Ebbe così inizio la carriera militare di Orsini che durò una dozzina d’anni. Nel 1546-47, insieme con 160 feudatari dello Stato della Chiesa partecipò, al seguito del legato Alessandro Farnese, alla spedizione inviata da Paolo III in Germania in aiuto di Carlo V impegnato contro i principi protestanti congregati nella lega di Smalcalda; le truppo pontificie furono però richiamate prima della battaglia decisiva presso Mühlberg. Durante il suo soggiorno nell’impero l’amicizia duratura tra Orsini, Alessandro Farnese e Cristoforo Madruzzo, i due protagonisti dell’alleanza tra papato e impero, probabilmente si consolidò.
Il rovesciamento di fronte nelle alleanze dei Farnese, minacciati nel possesso del Ducato di Parma dal nuovo pontefice Giulio III e da Carlo V, portò Orsini a militare in Francia contro gli imperiali al seguito di Orazio Farnese, il quale, a suggellare la nuova alleanza, nel febbraio 1553 sposò Diana, figlia naturale di Enrico II di Valois. Il 17 luglio di quello stesso anno, Orazio cadde nella battaglia di Hesdin e Orsini fu catturato dagli imperiali. Rimase prigioniero in diverse località delle Fiandre (Anversa, Namur, Ecluse, Enghien), in condizioni sempre più dure, fino al 1555.
Dopo avere portato a termine nell’estate del 1556 una missione alla corte di Francia per conto di Ottavio Farnese, rientrò nello Stato della Chiesa e per ordine di Paolo IV andò a combattere nella guerra di Campagna contro le truppe spagnole che minacciavano il territorio pontificio. Dapprima operò nelle vicinanze di Tivoli e, successivamente, con la carica di comandante di Velletri, ultima piazzaforte a sud di Roma ancora nelle mani del papa, ebbe il compito di fermare l’avanzata delle milizie guidate dal duca d’Alba Fernando Álvarez de Toledo. Nell’aprile 1557 circa cento fanti del suo contingente vennero massacrati in un’imboscata dagli abitanti di Montefortino, l’odierna Artena, che Paolo IV punì facendo radere al suolo il paese e giustiziare tutta la popolazione.
Conclusasi quest’ultima esperienza militare, nell’estate del 1558 Orsini fu per alcuni mesi a Firenze per organizzare i festeggiamenti per le nozze tra Paolo Giordano Orsini, del ramo di Bracciano, e Isabella de’ Medici, figlia del duca Cosimo I. Qui Orsini ricevette molti stimoli per la realizzazione del Sacro Bosco. Risale a quest’anno anche la visita di Orsini al cardinale Cristoforo Madruzzo a Trento.
Nel 1560 morì la moglie Giulia, che gli aveva dato cinque figli maschi: Corradino, Marzio, Alessandro, Scipione, Orazio (destinato a perdere la vita nella battaglia di Lepanto al comando di una galera); e due femmine: Faustina e Ottavia. Orsini si era già allora quasi completamente ritirato dalla vita pubblica: trascorreva a Bomarzo un’esistenzacondotta con spirito libertino e dedicata a un intenso studio intellettuale (letteratura e filosofia), interrotta da occasionali visite ai cardinali Alessandro Farnese e Cristoforo Madruzzo nelle loro residenze di campagna a Caprarola e a Soriano e da rari soggiorni a Roma (per il carnevale, per negozi familiari). Ebbe contatti anche con il cardinale Gianfrancesco Gambara, che nel 1568 fece costruire nella vicina Bagnaia una villa con parco. Tra i corrispondenti con cui scambiò lettere da Bomarzo vi furono Annibal Caro e Jean Drouet, chierico e medico originario della Savoia residente a Roma. Il fitto epistolario che Orsini intrattenne con quest’ultimo costituisce un’importante fonte per ricostruire gli anni dal 1573 e il 1583: nelle lettere vengono trattate, con stile singolare per l’epistolografia del tempo, questioni filosofiche, letterarie, mediche, i suoi rapporti con le donne e, soprattutto i pregi della vita ritirata dal mondo della ricchezza e del potere, rappresentato da Roma e dalla corte pontificia, per Orsini simbolo di ipocrisia.
Come segno più evidente del suo spirito epicureo, a partire dal 1552 Orsini creò, ai piedi del palazzo di Bomarzo un parco, in ricordo di sua moglie, il Boschetto, come egli lo definì nelle sue lettere (il nome è stato impropriamente ‘promosso’ a Sacro Bosco sull’onda di presunti significati esoterici), locus amoenus in cui dedicarsi in pace ai piaceri del corpo e alla contemplazione.
Con le numerose iscrizioni (per es. sulla parete di fondo della nicchia con panca: Voi che pel mondo gite errando vaghi / di veder meraviglie alte et stupende / venite qua dove son faccie horrende / elefanti leoni orsi orche et draghi) e la decorazione con creature favolose, finte architetture, personaggi dell’antica mitologia, il Boschetto crea un’atmosfera fantastica che si contrappone alla realtà del XVI secolo. Tuttavia, un’interpretazione coerente rimane problematica. Probabilmente lo stesso Orsini voleva rendere ambiguo il significato della sua opera, come si evince dall’iscrizione sulla base della sfinge all’ingresso del Boschetto: Tu ch’entri qua pon mente / parte a parte / et dimmi poi se tante / meraviglie / sien fatte per inganno / o pur per arte. Immerso in questo ambiente, Orsini trascorse gli ultimi anni di vita, pervaso da crescente malinconia e pessimismo.
Morì a Bomarzo il 28 gennaio 1585 e lì fu sepolto, secondo al sua volontà, nella chiesa parrocchiale.
Nel suo ultimo testamento, del 24 dicembre 1584, nominò eredi principali i figli Corradino e Marzio. Ottenne un lascito anche la popolana Clelia di Clemente, che aveva dato a Orsini due figli naturali, Leonida e Orontea, legittimati da Gregorio XIII.
Dopo la sua riscoperta nel XX secolo, il Boschetto ha dato luogo a numerosi studi con interpretazioni anche divergenti. È stato fonte d’ispirazione per artisti e scrittori, tra cui Jean Cocteau, Niki de Saint Phalle e Salvador Dalí, che lo visitò nel 1938. Nel 1949 Michelangelo Antonioni gli dedicò un film documentario. Il romanzo Bomarzo di Manuel Mujica Láinez (1962) fu rielaborato dallo stesso autore in un libretto d’opera (rappresentato con musica di Alberto Ginastera a Washington nel 1967).
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