vicario
Sostantivo che indica colui che esercita un'autorità in luogo di un altro, chi fa le veci di qualcuno. Nella maggior parte delle occorrenze, sia latine sia volgari, il termine designa il papa, v. di Cristo; così, innanzi tutto, la primizia / che lasciò Cristo d' i vicari suoi (Pd XXV 15) è s. Pietro, indicato anche come Dei vicarius (in Ep V 30); a sua volta il pontefice, successore di Pietro, è ‛ v. di Cristo ', o ‛ v. di Dio ': Mn III III 7 Summus... Pontifex, domini nostri lesu Cristi vicarius et Petri successor; VII 2 summus Pontifex est vicarius Dei; e cfr. ancora X 17. In Pg XX 87 (nel vicario suo Cristo esser catto), il ‛ v. di Cristo ' è Bonifacio VIII che ha subito l'offesa di Anagni; mentre vicario di Pietro (XXI 54) è l'angelo custode del Purgatorio, cui Pietro dette le chiavi da usare in sua vece (cfr. IX 103 e 127).
Ancora, in Mn II XI 5 Pilato è indicato come v. di Tiberio (Tyberius Caesar, cuius vicarius erat Pilatus), mentre a designare il ‛ v. di Cesare ' altrove è usata la perifrasi qui Caesaris... auctoritate vicaria gerebat officium (Ep V 28; si noti l'uso del termine in funzione di aggettivo); in Ep XIII 1, infine, ‛ v. generale ' imperiale è Cangrande della Scala (domino Cani Grandi de la Scala... civitate Vicentiae vicario generali).
Di particolare rilievo il ricorso alla nozione di v. nel libro III della Monarchia, dedicato all'esame della terza " quaestio " del trattato: an auctoritas Monarchae dependeat a Deo inmediate vel ab alio, Dei ministro seu vicario (I II 3), o, in termini più precisi, utrum auctoritas Monarchae romani... inmediate a Deo dependeat an ab aliquo Dei vicario vel ministro, quem Petri successorem intelligo (III I 5). In III VI D. esamina l'argomento tratto dalla vicenda di Samuele che secondo I Reg. 10, 1, intronizzò e depose dal trono il re Saul; Samuele, in tal caso, vice Dei de praecepto fungebatur (§ 1). Da ciò in ambiente ierocratico s'inferiva che, come Samuele (ille Dei vicarius) ebbe autorità di dare, togliere e trasferire ad altri il potere temporale, ora il papa, Dei vicarius, Ecclesiae universalis antistes, ha autorità di dare, togliere o trasferire lo scettro del potere temporale (§ 2).
D. nega la validità dell'argomento negando che Samuele in quel caso abbia agito come vicarius Dei, giacché non ut vicarius sed ut legatus spetialis ad hoc, sive nuntius portans mandatum Domini expressum, hoc fecit (§ 3); e prosegue distinguendo l'‛ essere v. ' dall'‛ essere nunzio ' (aliud est esse vicarium, aliud est esse nuntium sive ministrum, § 4): vicarius est cui iurisdictio cum lege vel cum arbitrio commissa est; et ideo intra terminos iurisdictionis commissae de lege vel de arbitrio potest agere circa aliquid, quod dominus omnino ignorat; nell'ambito della giurisdizione definita dalla legge (cum lege) o affidata al suo arbitrio (cum arbitrio; il Nardi rende: " v. è colui cui è stata commessa una giurisdizione a termini di legge o ad arbitrio "), il v. ha piena autonomia d'azione, non vincolata da un mandato specifico. Altro è il caso del nunzio: egli agisce nell'ambito del mandato ricevuto (un mandato imperativo) allo stesso modo in cui opera il martello in mano al fabbro; il nunzio perciò è dotato solo di ‛ virtù strumentale ': Nuntius autem non potest in quantum nuntius; sed quemadmodum malleus in sola virtute fabri operatur, sic et nuntius in solo arbitrio eius qui micitit illum (§ 5). Ciò premesso, si può dire che il vicarius Dei (§ 6, due volte) non può fare ciò che Dio fece ‛ per mezzo ' di Samuele. L'argomento ierocratico secondo D. è dunque scorretto perché procede a toto ad partem, attribuendo a ciò che importa meno quel che è proprio di ciò che importa più, mentre sarebbe corretto procedere, in forma negativa, da ciò che importa più a ciò che importa meno, quindi dalla negazione che qualcosa cada nei poteri del nunzio alla negazione che essa cada nei poteri del v. (§ 7; cfr. l'Ostiense Commentaria a 5 X I; cit. in Maccarrone, Vicarius Christi, p. 145: " Vicarius generaliter habet omnia quae pertinent ad iurisdictionem eius cuius vices gerit... his exceptis quae sine speciali mandato non transeunt "). Si può affermare in realtà che nell'ambito del genere ‛ ministro ' (termine usato in endiadi con v. in Mn I II 3 e III I 5, in endiadi con nuntius in VI 4) D. distingua le due specie, ‛ nunzio ' e ‛ v. ', individuate da diverse funzioni. La funzione del v. è legata a una giurisdizione, nell'ambito della quale il titolare del vicariato gode di piena libertà. La funzione del nunzio, confrontata a quella del v., è eccezionale perché attiene a un mandato speciale, ‛ ad hoc ', ma perciò il nunzio stesso si colloca in una posizione ‛ strumentale ' in rapporto al principe. Dalla precisazione della diversità della funzione consegue che oggetto di mandato speciale possono essere poteri non connessi alla giurisdizione del v. e, viceversa, che non possono essere oggetto di delega nell'ambito della giurisdizione che è propria del v. poteri che non sono oggetto di delega per mandato speciale. In altre parole, il discorso dantesco procede ad affermare che il v. non può fare tutto quel che Dio può fare per mezzo delle sue creature: ciò che fu possibile a un angelo, o a Samuele, per mandato divino non può essere fatto dal v. di Dio.
Specificata in tal modo la figura del v. per rapporto a quella del nunzio, nel cap. VII D. precisa i rapporti che corrono tra il mandante e il v. discutendo un altro argomento ierocratico, che dall'offerta al Cristo da parte dei Magi d'incenso e oro, simboli del potere spirituale e di quello temporale, inferiva Cristi vicarium... habere entrambi i poteri (§ 1) secondo questo sillogismo: Deus est dominus spiritualium et temporalium; summus Pontifex est vicarius Dei: ergo est dominus spiritualium et temporalium (§ 2). D. osserva che il sillogismo non ha valore perché il termine medio - soggetto della premessa maggiore e predicato della minore - non è lo stesso: altro è ‛ Deus ', altro ‛ vicarius Dei ' (§ 3); d'altra parte, non si può dire che l'autorità del v. sia ‛ equivalente ' all'autorità principale: nullus vicariatus, sive divinus sive humanus, aequivalere potest principali auctoritati (§ 4). A proposito del v. di Dio, infatti, si possono indicare almeno due casi in cui il v. non ha il potere di Dio: in operatione naturae (§ 5), e in ciò che riguarda la creazione e il battesimo (§ 6): non tutto ciò che Dio può fare può essere dunque fatto dal suo v.; non tutte le operazioni proprie di Dio possono essere delegate al vicario. Quanto al v. nel campo umano, D. afferma che vicarius hominis non aequivalet ei perché l'autorità non viene al principe da sé stesso (nullus princeps se ipsum auctorizare potest), e in definitiva creatio principis ex principe non dependet; poiché, quindi, auctoritas principalis non est principis nisi ad usum, nessun v. può ricevere dal principe un potere pari a quello di lui: si tratterebbe di una vera e propria creatio principis a opera di uno che ha l'auctoritas solo in usum, e ciò è impossibile, dal momento che nemo potest dare quod suum non est (§ 7). La conclusione generale tratta da D. è che nullus princeps potest sibi substituere vicarium in omnibus aequivalentem (§ 8). Ciò conferma quanto è affermato in III 7: al successore di Pietro non quicquid Cristo sed quicquid Petro debemus. Di conseguenza, la risposta al terzo quesito del trattato sarà: si ab ipso Dei vicario non dependet, l'autorità imperiale dipende da Dio (consequens... est... quod a Deo dependeat, XV 1).
Bibl. - M. Maccarrone, Vicarius Christi. Storia del titolo papale, Roma 1952, 145 e 166-175; B. Nardi, Dal Convivio alla Commedia. Sei saggi danteschi, Roma 1960, 108-116 e 219-238.