VICARIATI GENERALI
L'istituzione del vicarius generalis o capitaneus generalis (le due espressioni sono assolutamente fungibili, la prima essendo quella di più frequente uso) si sviluppò con ritmo molto veloce in una fase di successo della politica di Federico II in Italia, in seguito alle sue vittorie contro le città comunali dell'Italia settentrionale negli anni 1236 e 1237. In quel momento l'imperatore poté nominare suoi rectores, capitanei o nuntii in alcune città importanti, segnatamente nel Veneto occidentale (Vicenza, Treviso e, con la mediazione di Ezzelino da Romano, Padova) e in Piemonte (Torino e Moncalieri, Chieri, Ivrea, Acqui), e organizzare in serrato prosieguo di tempo gruppi di città e territori in spazi subregionali affidati all'autorità di un vicario generale: fu il caso di Vinciguerra, vicarius et capitaneus in Italia et Lombardia, menzionato nel febbraio del 1238, e nell'aprile seguente del marchese Manfredi Lancia, sacri imperii vicarius a Papia superius (cioè da Pavia verso ovest) generalis. Entro il 1240 la Marca trevigiana, il territorio a Papia inferius (cioè da Pavia verso est), la Romagna, la Marca anconetana e la Lunigiana, la Tuscia, i territori del Lazio conquistati alla Chiesa di Roma costituirono altrettanti ambiti territoriali affidati ad un vicario generale. Tali distinzioni territoriali andarono di pari passo con la riunificazione dell'ufficio del legatus totius Italiae (v.), che era stato attribuito negli anni Venti a due diversi legati (grosso modo per Lombardia e Tuscia rispettivamente) e che dal 1239 fu conferito al solo Enzo (Enrico re di Sardegna), figlio dell'imperatore.
Quest'articolazione su due livelli, uno superiore affidato al legatus totius Italiae e uno subordinato conferito a una ristretta serie di vicarii o capitanei generales, può suggerire un'immagine di ordinato assetto circoscrizionale e funzionariale: ma essa deve essere integrata, e debitamente corretta, da una rassegna delle effettive attribuzioni dell'ufficio vicariale e dei suoi ritmi. La rassegna non risulta in serie del tutto limpide e continue, a causa del modo casuale e occasionale nel quale l'ufficio e i suoi titolari compaiono nelle fonti, che sono essenzialmente narrative e diplomatistiche. Il primo personaggio la cui fisionomia familiare e sociale sia ben chiara, Manfredi Lancia, resse l'ufficio di vicario generale a Papia superius per circa due anni e mezzo, cumulandolo nel 1240 con quello di podestà di Alessandria. Egli avrebbe avuto in seguito altre importanti funzioni pubbliche, ma il vicariato generale passò ad altra persona, per poi conoscere una successione di andamento piuttosto variegato e nervoso: al nobile piemontese subentrò negli anni 1241 e 1242 un nobile del Mezzogiorno, Marino da Eboli (v.), che cumulò anch'egli la carica vicariale con la podesteria di una città importante (Pavia, 1242 e 1243); fu poi la volta di un tedesco, il marchese Bertoldo di Hohenburg, già capitano di Como e del suo territorio, vicario generale a Papia superius nel 1244; quindi nuovamente di un nobile italico meridionale, Riccardo Filangieri (1245-1246), di un nobile di Parma, Bonaccorso di Paludo (maggio 1247), di Diepoldo di Hohenburg, fratello del ricordato Bertoldo (luglio 1247), di Enrico di Rivello (luglio 1248), di Tommaso conte di Savoia (novembre 1248). Oltre alla brevità di queste coperture dell'ufficio, in particolare fra il 1247 e il 1248, va rimarcata una contemporanea complicazione del suo ambito territoriale, con la distinzione fra un vicariato 'da Asti verso est' (a civitate Astensi superius) ed uno 'fra Pavia e Asti': ambedue si vedono conferiti in mani marchionali, rispettivamente a Jacopo del Carretto e al già ricordato Manfredi Lancia. Nel 1249 e nel 1250, infine, sembra affacciarsi una nuova definizione vicariale per il territorio della Lombardia a flumine Lambro superius, ancora con titolature di altissimo profilo e già apparse nella rosa dei vicari generali, quali Tommaso di Savoia e Manfredi Lancia, ai quali farà seguito con analoga designazione circoscrizionale, dopo la morte dell'imperatore e su indicazione di re Corrado, Uberto Pallavicini (1253; v.).
L'immagine che si trae da questa prosopografia dei vicari generali a Papiasuperius è dunque piuttosto quella di un circostanziale alto riconoscimento di ruolo, legato a contingenti opportunità di controllo periferico, e di un potenziamento di figure già di altissimo rilievo con un'occasionale attribuzione, che non quella di un sistematico e stabile ordine amministrativo: a configurare il quale non soccorre, d'altronde, neppure alcuna chiara distinzione di ruoli e competenze tra il legato generale d'Italia e i vicari generali. Il giudizio non viene alterato dalle serie degli altri vicariati. In quello a Papia inferius si succedettero il conte Simone di Chieti (Teate; 1239), Rainaldo di Acquaviva che fu anche podestà di Cremona (1240), Manfredi Lancia (1241-1243, nel 1242 anch'egli podestà di Cremona), e si ebbe poi una vacanza del titolo, molto probabilmente coperta da re Enzo e dal cumulo della sua autorità di legato generale d'Italia con quella vicariale e con la stessa podesteria di Cremona. Durante la prigionia di Enzo, e dopo la morte di Federico II, quei ruoli furono almeno parzialmente coperti da Uberto Pallavicini e furono alla base della sua affermazione signorile (1249-1254). Lo stesso personaggio aveva ricoperto in anni precedenti (1239-1243) l'ufficio di vicario generale di Lunigiana e di Pontremoli: una circoscrizione complessa e un po' confusa, integrata dai territori della Garfagnana, della Versilia e di Portovenere e infine smembrata con il conferimento in parte al dominio diretto del re di Sardegna, cioè Enzo, in parte alle città di Lucca e di Pisa.
L'intersecarsi di un assetto circoscrizionale e funzionariale con alte fisionomie di potere aristocratico e signorile, così evidente nel caso del Pallavicini e di altri personaggi incontrati sin qui, assunse poi uno speciale ruolo nell'Italia nordorientale. La Marca trevigiana e il relativo vicariato generale furono perno di un ambito che alcune definizioni documentarie mostrano esteso dall'Oglio agli episcopati di Trento e di Belluno, che si integrava con podesterie di città importanti quali Padova e Vicenza e conosceva l'esercizio signorile del potere di Ezzelino da Romano. Certamente con il suo accordo l'ufficio di vicario generale e le podesterie di Vicenza e di Padova furono ricoperte da Tebaldo Francesco (1239-1242); Galvano Lancia, poi Guizzardo di Realdesco furono vicari generali della Marca e podestà di Padova (1243 e 1244); solo negli anni 1247-1249 comparve nel vicariato generale un nobile dell'Italia nordorientale, Guecellone di Prata, parente di Ezzelino da Romano al pari del suo successore Ansedisio Guidotti (1249-1253).
All'estate del 1239 risale la prima nomina di un vicario (qui detto legato) generale per la Romagna, nella persona di re Enzo, al quale Federico II fece però subentrare quasi subito il conte Gualtiero di Manoppello: un nobile italico meridionale, dunque, così come lo sarebbero stati i successori Tommaso di Matera (dall'inizio degli anni Quaranta al 1248) e Riccardo conte di Chieti (1248-1249). Strettamente legata alla sequenza del vicariato di Romagna fu quella del vicariato della Marca anconetana, anch'esso attribuito nel 1239 a Enzo, poi presto sostituito da nobili meridionali: Roberto di Castiglione (1241-1242), Riccardo di Fasanella (1243), Riccardo conte di Caserta (1244), Giacomo di Morra (1244). Un'interruzione in questa sequenza fu rappresentata nel 1245 da Federico di Antiochia, figlio dell'imperatore. Poi la serie meridionale riprese con un secondo mandato di Roberto di Castiglione (1246-1247) e di Riccardo di Chieti, il quale cumulò il vicariato generale anconetano con quello romagnolo (1248-1249); seguirono nel 1250 Rainaldo di Brunforte e il già ricordato Gualtiero di Manoppello.
La situazione particolarmente complessa della Toscana vide il suo parziale inserimento, nel 1238, sotto l'autorità di un vicario generale di Tuscia nella persona di Geboardo di Arnstein, che già era stato legatus totius Italiae. Dopo il rientro di Geboardo in Germania, nel 1240 il vicariato generale di Tuscia fu affidato a Pandolfo di Fasanella, fratello del Riccardo già visto come vicario nella Marca anconetana. Si ebbe a quel punto uno dei casi di maggiore stabilità ed efficacia della presenza vicariale: Pandolfo, indicato più spesso come capitaneus generalis, fu uno dei maggiori protagonisti della vicenda politica di Toscana nel divampare del conflitto guelfo-ghibellino (fu anche podestà di Siena nel 1244). A lui succedette agli inizi del 1246 Federico di Antiochia, già vicario della Marca anconetana e da quel momento detentore di un vicariato di Tuscia che si estendeva anche ai territori, sottratti al Patrimonio di S. Pietro, comprendenti da Amelia a Corneto e a tutta la Maritima. Questi erano stati retti in precedenza da altri capitani o vicari: Rainaldo di Acquaviva, che nel 1240 cumulò per brevissimo tempo questo vicariato con l'altro nell'Italia settentrionale, Simone di Chieti (1240-1243), Riccardo di Caserta (1243-1244), Vitale di Aversa (1244-1247), Alessandro Calvelli (1247). Seguì una più diretta amministrazione da parte dell'imperatore e dei suoi figli, finché nel 1248 fu nominato Galvano Lancia, che avrebbe retto la Tuscia romana sino alla morte dell'imperatore.
Fonti e Bibl.: fondamentali le pagine di J. Ficker, Forschungen zur Reichs- und Rechtsgeschichte Italiens, I-IV, Innsbruck 1874 (riprod. anast. Aalen 1961): II, pp. 492-561 (è la sez. XXXI, Generalvikare, §§ 399-428). In esse si trova la prosopografia dei titolari dell'ufficio e il riferimento ai principali documenti (per lo più tratti da Historia diplomatica Friderici secundi).