Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il problema della strumentazione nautica è molto antico: da tempo i mari, e in particolare il Mediterraneo, sono solcati da navi che trasportano mercanzie, spezie o truppe. I punti di riferimento prescelti sono il Sole e la Stella Polare; l’impiego della bussola e del portolano poi migliora le condizioni della navigazione. Con i grandi viaggi di esplorazione, tra Quattro e Cinquecento, e per impulso della scuola creata da Enrico il Navigatore in Portogallo, si ideano nuovi strumenti appropriati alle mutate esigenze e alle nuove condizioni.
Premessa
Sin dai tempi più antichi, il Mediterraneo è solcato da navi che viaggiano per le ragioni più disparate. Nella navigazione la rotta viene mantenuta grazie ai punti di riferimento costituiti dal Sole e dalla Stella Polare, e le distanze sono calcolate sulla base della velocità della nave. A partire dal XII secolo si introduce l’uso della bussola e, successivamente, è adottato il portolano, un compendio sistematico di notizie riguardanti le caratteristiche geografiche e meteorologiche delle coste e dei porti, con indicazione della posizione di eventuali segnalamenti e altre informazioni utili ai naviganti. Sostanzialmente, i sistemi di navigazione restano invariati per molti secoli, almeno fino al XV e XVI secolo, quando i portoghesi, soprattutto per iniziativa del figlio di re Giovanni I di Portogallo, Enrico il Navigatore, sviluppano nuove tecniche di navigazione nel corso di un’intensa serie di viaggi di esplorazione nell’Atlantico e lungo le coste occidentali dell’Africa. Alle grandi imprese marinaresche portoghesi del Quattrocento, di cui Enrico è il grande animatore, offrono un contributo fondamentale alcuni navigatori, astronomi e cartografi, che sviluppano tecniche e strumenti di tale semplicità che qualunque marinaio è in grado di usarli. La cartografia nautica, in particolare, riceve un impulso notevole dal costante aggiornamento delle mappe che registrano le terre via via scoperte.
Tra il Quattrocento e il Cinquecento l’arte della navigazione riceve un enorme impulso che modifica rapidamente gli strumenti e le tecnologie che la caratterizzavano. I viaggi si moltiplicano, navi di ogni tipo seguono rotte solo in parte conosciute, alla ricerca di terre selvagge e inesplorate. I rischi che i marinai affrontano sono enormi: risorse d’acqua e di viveri spesso insufficienti, distanze imprevedibili, configurazioni di coste completamente ignorate. L’arte della marineria e gli strumenti che sempre più vengono messi a punto sono quindi elementi spesso determinanti per la riuscita di un’impresa e la sopravvivenza degli equipaggi. Una conferma di questo viene anche dai numerosi testi che illustrano lo sviluppo della navigazione: vi si trovano spesso le immagini e le descrizioni degli strumenti impiegati dagli abili nocchieri, le istruzioni per usarli nelle situazioni più difficili, l’illustrazione delle tecniche da impiegare negli abbordaggi o durante gli sbarchi e, spesso, le spiegazioni sull’uso delle carte nautiche.
L’astronomia nautica e i suoi strumenti
L’astronomia nautica diviene un tema sempre più importante, perché risulta sempre più rilevante poter ricavare la posizione della nave in alto mare. Il metodo di rilevazione si basa inizialmente sul confronto dell’altezza della Stella Polare nel porto di partenza con l’altezza di luoghi significativi che si incontrano durante il viaggio. Più tardi, proprio per l’impossibilità di trovare punti validi di riferimento nei grandi viaggi, questo metodo viene sviluppato sostituendo all’altezza la distanza, oppure le differenze di latitudine.
Quando, nel 1471, si raggiunge l’Equatore, dove la Stella Polare non è visibile a lungo, si impone la ricerca di nuove soluzioni. Il problema viene risolto da una commissione insediata dal re del Portogallo Giovanni II, che nel 1484 produce un manuale di tavole di declinazione solare, in modo da permettere ai marinai di misurare l’altezza al meridiano ogni giorno a mezzogiorno, calcolando così la relativa latitudine. Per eseguire queste procedure, occorre uno strumento in grado di misurare accuratamente l’altezza del Sole o di una stella sopra l’orizzonte. Inizialmente, viene impiegato un comune quadrante astronomico, cioè il quarto di cerchio graduato, costruito in legno o in ottone, con due mire su un lato e un filo a piombo sospeso al suo apice per leggere la scala di 90 gradi segnata sul bordo. Di uso semplice a terra, sul ponte della nave il quadrante diventa però complicato e di difficile e poco attendibile lettura a causa del rollio: molte misure vengono quindi prese a terra, per ottenere risultati affidabili, e questo spesso comporta qualche rischio, quando si tratta di scendere in Paesi sconosciuti.
Verso la fine del XV secolo, probabilmente proprio per rispondere all’inadeguatezza del quadrante, è messo a punto l’astrolabio nautico. In forma rudimentale, consiste inizialmente di un piatto circolare, costituito da una lamina di legno o di ottone, che viene sospeso grazie a un anello e mantenuto manualmente in posizione verticale. L’indice di mira è imperniato al centro, cosicché i traguardi alle due estremità possono ruotare lungo la scala graduata segnata sul bordo. Per rendere lo strumento non soggetto agli spostamenti causati dai venti, nella seconda metà del XVI secolo viene messa a punto la forma definitiva dell’astrolabio nautico: una sorta di spessa ruota, con quattro raggi che formano altrettanti triangoli cavi, e una sezione a semicerchio, nella parte inferiore, piena e pesante, con funzione di zavorra. È questo lo strumento più comune e più significativo nella storia della strumentazione nautica. A esso si affianca quello a disco, perfezionato nella stessa epoca da Sir Robert Dudley – ingegnere navale inglese che vive a lungo a Firenze, dove muore nel 1649 –. Ideatore di numerosi strumenti destinati, in particolare, a rilevare le maree, calcolarne la periodicità e individuarne i mutamenti di livello, oltre a compiere misure astronomiche complesse. Oltre all’astrolabio nautico e al quadrante, gli strumenti più comunemente impiegati sono la bussola, che permette di orientarsi, e i cosiddetti “bastoni di Giacobbe”, specie di aste a croce, con i quali si rileva l’altezza dei corpi celesti.
Altri strumenti nautici
Un altro problema non trascurabile nella navigazione è il calcolo della velocità della nave. Ai tempi di Cristoforo Colombo questa è un’operazione alla portata degli occhi esperti di un marinaio: la velocità approssimativa della nave viene stabilita grazie alla conoscenza pratica dell’azione del vento, alla valutazione del moto ondoso, delle correnti, del tipo di navigazione (costiera, o in alto mare), della conformazione dello scafo e del carico, cioè di tutta una serie di circostanze anche fortuite che si impara a computare sulla base di una lunga esperienza diretta.
Solo poco dopo la metà del Cinquecento appare il primo vero e proprio strumento in grado di misurare la velocità di una nave, il cosiddetto loch, costituito da una corda munita di nodi e da una tavoletta a forma di quadrante che rimane in posizione verticale. Allo stesso scopo è costruita la rosa del navigante, un disco di legno con numerosi fori a raggiera, nei quali si pongono delle cordicelle munite di puntine di osso, e con la rosa dei venti che consente anche di controllare la direzione. Per segnare la posizione sulle carte in mare vengono impiegati i compassi nautici: simili ai normali compassi per disegnare, questi strumenti hanno la particolarità di poter essere utilizzati con una sola mano, quando l’altra serve per sorreggersi. Le gambe del compasso, infatti, si aprono con una semplice pressione delle dita, stringendo l’anello di congiunzione.
La misura del tempo
Anche per il calcolo del tempo ci si affida soprattutto agli occhi: si impiegano gli orologi a polvere, costituiti da ampolle di vetro sovrapposte, nelle quali il passaggio della polvere dall’una all’altra segna lo scorrere delle ore. Si usano inoltre orologi solari a uno o più anelli, detti “armille”, nei quali un foro praticato nella superficie di un cerchio permetteva al raggio di sole di segnare l’ora tracciata sulla parte interna della superficie opposta. La varietà di forme dell’orologio solare, che può essere anche a cilindro, a colonna, a croce, a libro e così via, assicura la possibilità di servirsi, al momento opportuno, di quello meno soggetto agli inconvenienti derivanti dal rollio della nave, garantendo così una certa precisione.
Conclusioni
Se l’inizio dei viaggi di esplorazione consente la produzione e la messa a punto di una strumentazione complessa, destinata alle rilevazioni in mare, la vera conquista che cambia radicalmente l’arte del navigare è riuscire a calcolare la longitudine; questo problema assilla scienziati e navigatori fino al XVIII secolo, e la sua soluzione è fondamentale per la precisione dei calcoli e per la determinazione della posizione dei corpi celesti, delle terre emerse e della nave stessa. Il problema è reso ancora più grave dal fatto che l’ago della bussola, in alto mare, è soggetto a variazioni dovute alla declinazione magnetica, che costringono a continue correzioni di rotta. La posizione viene calcolata in maniera approssimativa, così come la distanza dal porto di partenza: quest’approssimazione è spesso causa di naufragi, o di ricerche senza esito di terre sulle quali approdare, con conseguenze terribili per la vita dei naviganti.
I tentativi per definire la longitudine sono vari e poco attendibili, fino alla scoperta da parte di Galileo Galilei dei satelliti di Giove e all’osservazione dei loro periodi e frequenze di apparizione.
Grazie al metodo elaborato dallo scienziato pisano, si ridisegnano le carte geografiche, si ridefiniscono i profili e le distanze dei continenti e si precisano i calcoli sulle lune di Giove. Occorre però trovare un misuratore del tempo indipendente dalle condizioni atmosferiche che a volte non permettono di osservare i satelliti.
Il problema viene risolto solo nel tardo Settecento, a Greenwich, dall’inglese John Harrison: il suo straordinario orologio marino permetterà di continuare a misurare l’ora del punto di partenza, per confrontarla poi con l’ora locale e conoscere così la posizione della nave.