Vedi VETULONIA dell'anno: 1966 - 1997
VETULONIA (Vetiuna, Vatluna, Vetalu)
Piccolo centro della Toscana a N-O di Grosseto, situato sopra un'altura che domina la pianura grossetana un tempo occupata dal mare. Su questo colle, sormontato dal paese di Colonna di Buriano, al quale nel 1887 fu dato il nome dell'antica città, Isidoro Falchi identificò la città etrusca di V., una delle più antiche e fiorenti città dell'Etruria settentrionale.
Già in epoca romana i depositi della Bruna (il fiume che separa la collina di V. da quella di Roselle [v.]) e dell'Ombrone avevano chiuso l'imboccatura della baia, trasformando ormai l'insenatura marina in un lago detto lacus Prile o Aprilis o Prelius. In seguito, continuando il processo di interramento, il lago si era trasformato in palude (Palude di Castiglioni) ora completamente prosciugata. Una via interna che, risalendo l'Ombrone, si addentrava sulle colline senesi, congiungeva V. con Populonia a N-O e con Saturnia e Marsiliana a S-E. La valle della Bruna inoltre era facile mezzo di comunicazione tra V. e Roselle (v.).
V. è ricordata da Dionigi di Alicarnasso (Arch., III, 51), insieme a Roselle, Chiusi, Volterra e Arezzo, per gli aiuti che promise ai Latini nella lotta contro Tarquinio Prisco. Per Silio Italico (Punica, viii, 484-489) V. dette a Roma i simboli del potere: i fasci con la scure dei littori; la sedia curule d'avorio; la toga con la fascia di porpora e la tromba di guerra. Plinio (Nat. hist., iii, 51), descrivendo la divisione amministrativa dell'Etruria sotto Augusto, ricorda i Vetulonienses nell'elenco dei comuni. Altra notizia pliniana (Nat. hist., ii, 227) per la regione, che aveva a centro V., è quella relativa alle aquae calidae ad Vetulonios. Tolomeo (Geogr., iii, 1, 49) fa menzione di V. tra i centri dell'interno: Volterra, Roselle, Manliana, Siena, Saturnia.
V. aveva perduto l'importanza di una volta ed era già decaduta o rimasta come segregata; se non è affatto ricordata fra le città etrusche che nel 205 a. C. aiutarono Scipione; né, dopo, negli Itinerari. Tuttavia la sopravvivenza della città etrusca è attestata, oltre che dall'accenno di Plinio, anche da alcune epigrafi (C.I.L., VI, 2375 b; ii, 41 e 2382 a 16) del II sec. d. C., in cui appare il nome di Vetuloniesi che prestano il servizio militare.
Nulla ci è stato tramandato intorno all'occupazione di V. da parte dei Romani, tuttavia questa deve essere avvenuta pacificamente, al più tardi nel 241 a. C., negli anni in cui fu costruita la Via Aurelia, sul corso della quale V. veniva ad avere una posizione dominante. Dopo la Lex Iulia sembra che anche la popolazione di V. fosse inscritta alla tribù Scaptia (Plin., Nat. hist., iii, 52; C. I. L., xi, p. 414).
Nel Medioevo due soli documenti, del 1181 e del 1204, ricordano il nome di V. ed il suo territorio. Da allora il nome di V. esulò dai documenti e fu sostituito da quello di Colonna, rimasto in vigore fino al 1887. I brevi accenni topografici di Tolomeo e di Plinio e l'incerta tradizione medievale intorno ad un podium de Vitolonia e ad un castellum de Vitulonnio, avevano fatto ricercare ed identificate la città di V. per tutta la Maremma in varie località differenti e lontane tra di loro: la controversa identificazione suscitò aspre polemiche, ma la scoperta della ricchissima necropoli sul Poggio di Colonna si prestava a dare piena ragione al Falchi, l'identificazione proposta dal quale è stata generalmente accettata. Recentemente il Ferri ha ripreso la spinosa questione dell'ubicazione di V. sostenendo che di città col nome di V. ve ne sarebbero almeno tre: quella identificata dal Falchi a Colonna; una seconda presso Massa Marittima, che ha conservato il nome fino al '700, ed una terza nella località detta Vecchienna.
L'identificazione del Falchi concorda con V. città marittima, posta nell'angolo sicuro di quello che fu un golfo di mare, (sul cui lato opposto, a circa 16 km in linea d'aria, si trovava Rusellae) quale è personificata in numerose monete con simboli marini (l'asse con l'ancora; il quadrante con Palemone sul dritto e l'ancora sul rovescio; il sestante e l'oncia con Palemone da un verso ed il tridente e i delfini dall'altro) e dalla rappresentazione dei Vetulonienses nel trono della statua di Claudio a Caere (Roma, già Museo Lateranense) così indicati nella figura di un giovane con il timone sulla spalla.
La città, nel cui ambito è attestata una popolazione di facies villanoviana (tombe) fiorì massimamente dalla fine dell'VIII a tutto il VI sec. a. C., dopodiché dovette subire un'involuzione (v. etrusca, arte). Solo nel III sec. a. C., in epoca romana, tornò ad essere un centro piuttosto importante.
Nulla può essere precisato sulla estensione del territorio della più antica V., ma la sua floridezza del VII sec. a. C. non poteva non esser legata alle miniere della zona metallifera del Massetano; è quindi molto probabile che i piccoli centri presso il lago dell'Accesa, a S di Massa Marittima, fossero stati da essa dipendenti.
Città. La cinta delle mura non è chiaramente definita, ma da alcuni tratti superstiti è stato possibile definirne l'estensione, che è di circa 5 km, e delineare l'area interna di circa 120 ettari. Entro quest'area si trovano anche i resti più tardi, tutti modesti. Il perimetro dell'arce ci è forse indicato dalle mura a scarpata del castello medievale, dentro il quale sorge la V. attuale. Incorporato tra le due torri medievali, è visibile un bel tratto di mura in opera poligonale.
I resti della supposta cinta della città bassa, il cui andamento è incerto, si presentano a filari irregolari di blocchi squadrati ed in parte scalpellati alla superficie, più grossi in basso ed agli angoli, più piccoli in alto e sembrano essere piuttosto muri di terrazzamento che mura per la difesa della città. Della città propriamente etrusca nulla, allo stato attuale delle ricerche, è stato individuato, ma, dalla estensione delle sue necropoli, si presume sia stata molto vasta ed abbia occupato la vetta più alta, sulla quale sorge oggi il paese, ed altre due alture a N-O, cioè Costa Murata e Castelvecchio. A N-E dell'abitato moderno, a circa m 500 dall'arce è stata messa in luce una piccola parte della città del periodo ellenistico o etrusco-romano, distrutta da un incendio in epoca romana. Lungo una via lastricata, sinuosa, ma che in complesso segue un andamento E-O (decumanus) fiancheggiata da marciapiede e fogna, sono allineate botteghe e case, separate da altre vie trasversali, che salgono verso un poggio (il Poggiarello Renzetti), sul quale furono trovate terrecotte decorative di un piccolo tempio. Più oltre, nella località pianeggiante detta Le Banditelle sono stati trovati mosaici appartenenti ad una casa romana ed altri ruderi di edifici romani in mattoni e calcestruzzo.
Si può supporre che nella zona del Convento Nuovo di Sestinga fosse il centro e il Foro della V. romana. L'iscrizione dedicata all'imperatore Caracalla, che serviva da architrave ad una bifora del Convento, una edicola e due iscrizioni appartenenti ad un sodalizio in onore di Marte, ne sembrano dare conferma.
Recenti scavi eseguiti in località Costia dei Lippi, a N dell'attuale paese, tra le due alture di Costa Murata e di Castelvecchio, hanno messo in luce un'altra strada basolata romana, con orientamento E-O, fiancheggiata da marciapiedi e da canaletti e muri di terrazzamento di notevole imponenza. Alcuni saggi, effettuati nella stessa località, sembrano attestare l'esistenza, in questa zona, di un quartiere della città del periodo ellenistico.
Necropoli. La necropoli di V. è una delle più vaste, estendendosi a N-E e a O, dai poggi vicini alla città fino alla pianura sottostante. Nei poggi più alti e più vicini alla città sono le necropoli villanoviane di Poggio alla Guardia, Poggio alle Birbe, Poggio al Bello a N-E; di colle Baroncio e delle Dupiane a O. Sono state qui scoperte tombe a pozzetto, talora con copertura a scudo, di incinerati con ossuario biconico villanoviano. Frammiste alle tombe a pozzetto si trovano alcune rare tombe a fossa e, sul Poggio alla Guardia, i cosiddetti "ripostigli stranieri", con suppellettile più ricca e numerosa, contenente alcuni oggetti nei quali si credette ravvisare una importazione straniera. La suppellettile è uguale a quella delle tombe a fossa, che sono di un periodo posteriore ed appartengono al cosiddetto "villanoviano evoluto" o alla fase di transizione tra il villanoviano evoluto e il periodo orientalizzante e sono databili alla fine dell'VIII sec. a. C. Intorno a questi sepolcreti arcaici, più in basso, sempre sugli stessi poggi, seguendo con immediata successione topografica e cronologica i primitivi pozzetti villanoviani, si trovano le tombe a circolo: dapprima i "circoli interrotti" (fine VIII sec. a. C.) formati da pietre rozze confitte nel terreno e distanziate le une dalle altre, che racchiudono e delimitano gruppi di pozzetti (più raramente tombe a fossa) e mostrano una suppellettile, che non si può più definire villanoviana pura, ma di una fase di transizione; poi i "circoli continui" con una o più fosse, spesso limitate da lastre di pietra in modo da formare un cassone, di un periodo più recente (alto VII sec. a. C.). Sono i cosiddetti "circoli di pietre bianche", formati da lastre di alberese o sassovivo, messe per ritto, spesso leggermente inclinate in fuori, di un diametro medio di m 15-20, ma che raggiungono talora più di 30 m di diametro. Le tombe a circolo del VII sec. hanno dato i corredi funebri più ricchi; la suppellettile, assai copiosa, abbonda di oggetti di bronzo, d'oro, d'argento, d'ambra, tutti improntati allo stile orientalizzante. Tra le tombe a circolo più ricche della prima metà del VII sec. sono da ricordare: il Circolo di Bes; il Circolo dei Monili; il 2° Circolo della Sagrona. Della seconda metà del VII sec. sono: il Circolo dei Lebeti; il Circolo del Tridente; i due Circoli delle Pellicce; la Tomba del Littore; la Tomba del Duce; il Circolo dei Leoncini d'argento. Altre tombe a circolo di modeste proporzioni con suppellettile della fine del VII sec. sono state trovate recentemente a Poggio Valli, un poggio a O di V., ancora inesplorato, che si trova alle pendici di Colle Baroncio, il sepolcreto villanoviano scavato dal Falchi.
Alla fase più recente del periodo orientalizzante appartengono le tombe monumentali lungo la via denominata dei Sepolcri. Dei molti tumuli esplorati, due tombe sole sono oggi visibili: la Tomba della Pietrera e la Tomba del Diavolino 2 o di Pozzo all'Abate, distinta dalla tomba del Diavolino 1, trasportata e ricostruita nel giardino del Museo Archeologico di Firenze. Il Tumulo della Pietrera è costituito da una collina artificiale, limitata da un grosso tamburo circolare del diametro di oltre 6o m. La tomba è formata da due camere sovrapposte, la superiore delle quali di pianta quadrangolare con pennacchi angolari, su cui s'innesta la copertura a pseudocupola a massi aggettanti. Non è molto evidente la costruzione della camera inferiore, che sembra non aver avuto pennacchi ed aver avuto una pianta circolare. Facevano parte delle strutture le sculture in pietra tufacea (Firenze, Museo Archeologico, v. anche Vol. iii, fig. 569) che sono tra le più antiche rinvenute in Etruria. Esternamente, sui fianchi del tumulo, sono state trovate numerose tombe a fossa, delle quali la 5a sembra contemporanea alla tomba a camera (seconda metà VII sec. a. C.); le altre sono della fine del VII-inizio VI sec. a. C.
L'altra tomba monumentale del Diavolino 2, o di Pozzo all'Abate, ora restaurata, si trova più in basso, sulla sinistra della via detta dei Sepolcri, in un grande tumulo circoscritto da un tamburo assai ampio a tre filari di bozze squadrate di sassoforte, della metà del sec. VII. È anch'essa a pianta quadrata e pennacchi angolari impostati di traverso, su cui s'innesta la pseudocupola con nel centro un pilastro quadrangolare.
Altre tombe a camera di piccole proporzioni, coperte da tumuli, scavate dal Falchi, non sono oggi più visibili. Un'altra tomba a camera con pilastro centrale, la Tomba della Fibula d'oro, è stata messa in luce recentemente sempre in località "Diavolino", alle pendici del colle.
Alla seconda metà del VII sec. appartiene una stele in arenaria, con iscrizione lungo il bordo, su tre lati; vi è inciso un guerriero Avile Pheluske con elmo e scudo rotondo, che regge con la destra una bipenne.
Dalle tombe a circolo del periodo orientalizzante provengono numerosi bronzi, quasi tutti di fabbricazione locale: sono grandi vasi globulari di bronzo laminato su alto piede troncoconico con anse fuse, spesso con protomi di animali e fiori di loto stilizzati; tripodi a bacile emisferico con piedi nastriformi animati da schematiche figurine di cavalli o guerrieri su cavallo schematizzati, caratteristici di V., tipici della quale sono anche i cosiddetti "incensieri", a forma cilindrica, con pareti concave traforate e coperchio sormontato da maniglia snodabile. Anche i cosiddetti candelabri a verghetta di bronzo con figurina umana per cimasa, a varî ordini di rebbi, sembrano essere un prodotto tipico vetuloniese.
Sembrano di fabbricazione locale anche i grossi vasi di impasto piuttosto rozzo, a pareti spesse, con decorazione incisa o a impressione. La ceramica locale più recente è più sottile, con superficie lucidata e decorazione incisa o impressa o baccellature e borchiette a rilievo. I buccheri del posto sono piuttosto rozzi, con pareti spesse, molto diversi dai buccheri nero-lucidi delle necropoli dell'Etruria meridionale. Molto frequenti, nelle tombe vetuloniesi del VII sec., sono gli scarabei e numerosissime le ambre, importate dall'Europa settentrionale. Alcuni prodotti sono sicuramente importati, come i grandi lebeti di bronzo del Circolo dei Lebeti, il carrello porta-vivande in bronzo con anatrelle, sempre del Circolo dei Lebeti. Le navicelle di bronzo della Tomba del Duce, della Tomba delle Tre Navicelle e della Tomba della Costiaccia Bambagini sono di indubbia origine sarda e confermano i rapporti commerciali tra V. e la Sardegna. Importati con tutta probabilità da Caere, sono i buccheri a parete sottile, come il bellissimo kỳathos della Tomba del Duce con iscrizione a spirale sul piede.
Molto rari sono i vasi protocorinzî. Alcuni arỳballoi sono probabilmente imitazioni italiche, importati da altre città dell'Etruria meridionale. Mancano i vasi attici. Due soli frammenti di vaso attico a figure rosse furono trovati sul tumulo della Pietrera e solo recentemente, in due tombe a circolo della piana del Diavolino, sono stati trovati i primi frammenti di vasi attici a figure nere.
La produzione più antica ed originale è l'oreficeria. Nessuna città dell'Etruria settentrionale mostra una tale abbondanza e varietà di oreficerie come Vetulonia. Senza dubbio vi è stata una scuola di orafi fiorentissima, la quale usava le tecniche che divennero abituali nell'oreficeria etrusca, con indirizzo e gusto del tutto particolari. Mentre nella oreficeria dell'Etruria meridionale si ha prevalenza della decorazione plastica, in V. prevale il gusto disegnativo, il che si può notare nella decorazione a granulazione, ridotta in pulviscolo, che in V. serve per sottolineare la forma dell'oggetto e per ornarlo con motivi a disegno. Si trova poi la filigrana, tecnica molto rara nell'Etruria meridionale. Sono sottili nastri di lamina d'oro, uniti insieme da filo d'oro serpeggiante o a meandro. Questa tecnica è usata soprattutto per le armille, di cui esemplari bellissimi sono stati trovati nelle tombe periferiche del Tumulo della Pietrera. Fra le più belle oreficerie vetuloniesi sono quelle della Tomba del Littore, che raggiungono una finezza ed una perfezione eccezionali.
Della fine del V sec. sono alcuni dischi in lamina d'oro, brattee o pendagli di collana, sui quali è sbalzata una testa femminile, di tipo attico, incorniciata da un serto di fiori. Del IV sec. è un bellissimo kòttabos di bronzo con sileno equilibrista, che regge con la destra il piattello, trovato presso le mura dell'Arce. Sempre al IV-III sec. a. C. appartengono numerosi elmi, trovati fortuitamente nel 1905 al limitare delle mura dell'arce, tutti del tipo etrusco a cappello displuviato a base ovale con rientranza, forse intenzionalmente schiacciati.
All'ultima fase etrusco-romana appartengono alcuni rilievi fittili con ninfa sorpresa alla fonte, che adornavano il timpano del tempietto del Poggiarello Renzetti.
Negli scavi della città furono trovati vasi e statuette fittili e in bronzo. Di età romana due statuette di Lan in bronzo su piedistalli ed una grande clava forse appartenente ad una colossale statua di Ercole in bronzo. Interessante il rivestimento fittile di un pozzo, con scene bacchiche in altorilievo.
Completa o quasi è la serie delle monete, tutte trovate entro il cerchio delle mura e particolarmente nelle località delle Banditelle e di Leccetina. Tra queste numerose sono le monete del III sec. con la triplice legenda: Cha, Vetula, Pupluna (Chamars, cioè Chiusi, Vetulonia e Populonia) che evidentemente avevano formato una federazione economica.
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