VETTORE
Matematica. - Le grandezze, che si incontrano in geometria, in meccanica, in fisica, si possono distinguere in due classi. Le une - quali, ad es., le lunghezze, le aree, i volumi, le masse, le temperature, ecc. - sono completamente definite da un valore assoluto e, eventualmente, da un segno + o −; e queste grandezze si di cono scalari, in quanto risultano individuate dalla loro posizione sulla rispettiva scala di misura. Ma esistono anche grandezze - ad es., le velocità, le accelerazioni, le forze, le quantità di moto, gli stati di polarizzazione elettrica o magnetica di un elemento materiale, ecc. - che risultano caratterizzate, oltre che da un valore assoluto, da una direzione e da un verso o senso; e le grandezze di questo secondo tipo si dicono vettoriali, in quanto esse trovano la loro schematizzazione astratta nei cosiddetti vettori (dal lat. vehere "trasportare").
Per giungere nel modo più ovvio al concetto di "vettore" si tenga anzitutto conto che due segmenti AB, CD orientati (cioè pensati ciascuno nel verso, che va dal primo estremo od origine al secondo o estremo libero) si dicono equipollenti se hanno la medesima lunghezza (assoluta), la medesima direzione (cioè sono paralleli o, in particolare, appartengono a una stessa retta) e il medesimo verso (fig.1); e poi si pensino nello spazio tutti i segmenti equipollenti a un dato segmento orientato AB. Si dice vettore l'ente astratto che si può far corrispondere - come quid comune - a questa classe di infiniti segmenti orientati (v.. uguaglianza, n. 4) cioè l'ente geometrico caratterizzato dalla lunghezza, dalla direzione e dal verso di AB (a prescindere dalla posizione di questo segmento nello spazio).
Il vettore è stato esplicitamente considerato con il nome di linea retta, linea, linea orientata (dirígée) da C. Wessel (1797) e R. Argand (1806) nella rappresentazione degli immaginarî (v. immaginario); poi successivamente da F. Möbius (Barycentrische Calcül, 1827), G. Bellavitis (Metodo delle equipollenze, 1832), H. Grassmann (Ausdehnungslehre, 1844 e 1862) e R. W. Hamilton (1845), cui è appunto dovuto il nome di "vettore". Le teorie vettoriali, a mano a mano costruite e largamente applicate da J. Clark Maxwell nel suo classico Treatise on Electricity and Magnetism (1873), da O. Heaiisitle (1831-93), da G. Ferraris (1895) e da J. W. Gibbs (1902), ebbero notevoli incrementi e una definitiva sistemazione, soprattutto per opera della scuola italiana, da G. Peano (1888) in poi. Sono oramai numerosissime le trattazioni teoriche e i testi in ogni paese del mondo. Tali teorie, costituenti un vero e proprio calcolo geometrico operante, all'infuori di ogni sistema di coordinate, direttamente e in modo assai semplice sugli enti fisici e meccanici. comprendono due parti: la prima elementare (sistema minimo) che sfrutta pochi concetti, pur permettendo numerose applicazioni geometriche e meccaniche; la seconda più elevata, riguardante le trasformazioni lineari (omografie) nello spazio a tre o più dimensioni (euclideo o no) e che ha notevoli applicazioni nella meccanica dei corpi continui, nella fisica, nella geometria differenziale su di una superficie o negli spazi curvi, ecc.
1. Definizioni e convenzioni fondamentali. - A individuare un vettore basta dare uno qualsiasi degl'infiniti segmenti orientati equipollenti, che servono a definirlo; e su di un tale segmento PQ il verso del vettore può essere indicato con una freccia. Il vettore così individuato si può denotare, secondo Hamilton, con Q - P (differenza di due punti), oppure con una lettera soprasegnata con una piccola freccia (a???, b???, ..., A???, B???, ...) o infine con una lettera neretta (a, b, ..., A, B,.. .); nell'Enciclopedia Italiana è di regola adottata quest'ultima notazione.
Tutti i segmenti nulli definiscono un unico vettore, che si dice vettore nullo (P − P = 0) e ha lunghezza nulla, direzione e verso indeterminati. Ogni altro vettore ha una lunghezza non nulla e ima direzione e un verso ben determinati. La lunghezza di un vettore a si dice modulo o anche (Hamilton) tensore del vettore e si denota con mod a o con ∣a∣ o, più semplicemente, con a, cioè con la stessa lettera che designa il vettore, ma di tipo corsivo ordinario.
Ogni vettore di modulo 1 si dice versore; sicché ogni versore definisce una direzione orientata; e viceversa. Il versore che ha la stessa direzione e lo stesso verso di un vettore a si dice versore di a e si designa con vers a.
Due vettori a e b si dicono uguali quando hanno la medesima lunghezza, la medesima direzione, il medesimo verso; onde l'uguaglianza fra vettori si riduce all'identità logica e, come tale, gode senz'altro delle proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva (v. uguagilanza).
2. Somma di un punto e di un vettore. - Dati un punto A e un vettore a. con la notazione
si indica il punto B tale che risulti
cosicché quest'ultima uguaglianza e la precedente esprimono, come nell'algebra ordinaria e con le stesse leggi dei segni (v. letterale, calcolo), una medesima relazione.
3. Somma di vettori. - Si chiama somma di due vettori a e b e si denota con a + b il vettore definito, indipendentemente dalla scelta del punto ausiliare O, dall'uguaglianza
Si riconosce immediatamente che il punto (O + a) + b è il vertice opposto ad O nel parallelogrammo contenuto fra i due segmenti equipollenti ad a e b, che hanno per primo estremo comune il punto O (fig. 2); cioè la somma dei vettori non è che la nota composizione delle forze, secondo la legge del parallelogrammo.
Ove si ponga O + a = A, A + b = B, la (1), nella notazione hamiltoniana, si può scrivere
e quindi assume l'aspetto di un'identità algebrica (fra punti).
Definita la somma di due vettori si passa, come in algebra, a quella di tre o più vettori, ponendo
L'addizione dei vettori è associativa e commutativa, sicché vale il solito algoritmo algebrico dei segni + e −. Analogamente alla (2), si ha, per quanti si vogliano punti A, B, ..., M, P, l'identità:
4. Prodotto di un vettore per un numero. - Dati un vettore a e un qualsiasi numero (reale) m, si dice prodotto di a per m e si designa con ma o con am il vettore univocamente determinato, che ha modulo uguale al prodotto del modulo di a per il valore assoluto di m, la stessa direzione di a, e, infine, in stesso verso di a o l'opposto, secondo che m è positivo o negativo. Se m oppure a o entrambi sono nulli, il prodotto è nullo. Si ha inoltre:
Se a e b sono paralleli, esiste sempre un unico numero reale m tale che b = ma, cioè b si esprime linearmente mediante a.
Presi comunque tre vettori i, j, k non complanari (cioè non paralleli a un medesimo piano), ogni vettore a dello spazio è una funzione lineare di i, j, k; cioè si può sempre porre
dove la terna di numeri reali x, y, z è unica.
5. Prodotto scalare o interno di due vettori. - Si designa con a × b (da leggersi "a scalare b" o "interno b") ed è il numero definito da
dove con (a, b) s'intende l'angolo convesso di due semirette uscenti da un punto arbitrario, rispettivamente parallele e dello stesso verso di a e b; ed è quindi nullo, o uguale a π, se i vettori sono paralleli e, rispettivamente, dello stesso verso, o di verso contrario; è invece compreso tra 0 e π in ogni altro caso.
Se uno dei vettori è nullo, si assume del pari nullo il prodotto scalare; sicché il prodotto scalare è nullo soltanto quando è nullo uno dei due vettori o quando i due vettori formano un angolo retto (vettori normali).
Valgono la proprietà commutativa e quella distributiva della somma rispetto al prodotto; ossia:
La seconda di queste identità esprime un noto teorema di geometria sulle proiezioni ortogonali di una spezzata poligonale su di una retta. Inoltre sussiste l'identità:
Posto poi, come in algebra,
risulta subito:
Il prodotto scalare viene anche indicato con a • b (Gibbs) o con (a, b) (autori tedeschi).
6. Prodotto vettoriale o esterno di due vettori. - Si indica con a ≿ b (da leggersi "a vettore" o "vettoriale" o "esterno b") ed è un terzo vettore u tale che: 1. il mod u sia uguale a mod a • mod b • sen (a, b), cioè all'area del parallelogrammo dei due vettori a, b applicati in uno stesso punto; 2. la direzione di u sia normale ai due vettori; 3. il verso di u sia quello che può prendere il pollice della mano destra, quando si dispongano l'indice e il medio rispettivamente nella direzione e nei versi di a e b rispettivamente (fig. 3). La terna a, b, u così orientata si dice sinistrorsa o sinistrogira o anche della mano destra o della vite a destra (v. coordinate, n. 18).
Quando uno dei due vettori è nullo, o i due vettori sono paralleli, si assume nullo il prodotto vettoriale; di guisa che il prodotto vettoriale è nullo soltanto quando è nullo uno dei due vettori, o quando essi sono paralleli.
Altre notazioni adottate per il prodotto vettoriale sono le seguenti: a × b (Gibbs); Vab (Heaviside, Ferraris), [a, b] (Lorentz e autori tedeschi), ecc.
Le proprietà fondamentali dell'operazione ≿ sono:
La considerazione del prodotto vettoriale è di capitale importanza in meccanica, ove, se f è il vettore della forza applicata in P, il momento vettore della forza rispetto al polo O (v. momento) è appunto espresso da (P − O) ≿ f; e la proprietà distributiva (10), in cui è sempre da tener conto dell'ordine, esprime semplicemente il teorema di Varignon sul momento della risultante di due o più forze concorrenti.
Sono di uso frequentissimo nelle applicazioni alcune relazioni tra prodotto scalare e vettoriale; si ricorderanno qui solo le più semplici e importanti. Si hanno anzitutto le due identità:
le quali esprimono il teorema sul duplice prodotto vettoriale, che nel primo caso dà un vettore complanare con a e b, nel secondo con b e c. Tale prodotto non gode quindi della proprietà associativa.
Sussistono poi le identità:
che esprimono una proprietà del prodotto misto e il teorema sullo scambio dei due segni × e ≿. Tale prodotto misto si presenta appunto in meccanica nella considerazione del momento (scalare) di una forza rispetto a un asse orientato, e ha una interpretazione geometrica degna di nota: esprime il sestuplo del volume del tetraedro dei tre vettori a, b, c (cioè avente i vertici O, O + a, O + b, O + c, con O arbitrario), assunto positivo o negativo secondo che la terna a, b, c è sinistrorsa o destrorsa.
Il prodotto misto è nullo soltanto se i tre vettori sono complanari (cioè paralleli a un medesimo piano).
7. Coordinate cartesiane ortogonali. - Adottando una terna di vettorí fondamentali unitarî i, j, k, a due a due ortogonali, è facile il passaggio dalle formule stabilite a quelle della geometria analitica rispetto alla terna cartesiana, che ha come origine un qualsiasi punto O e come assi le tre parallele per O ad i, j, k, orientate, rispettivamente, nel medesimo verso.
Supposto, per fissare le idee, che la terna i, j, k sia sinistrorsa, si hanno intanto le formule:
Se, in conformità della (3), si ha u = P − O = xi + yj + zk, dalle
si deduce subito che x, y, z sono le proiezioni (con segno) del vettore u sugli assi coordinati (componenti del vettore u), cioè ie coordinate cartesiane ortogonali del punto P nel sistema O (i, J, k).
In particolare: se u è vettore unitario, x, y, z sono i coseni direttori della direzione orientata di u.
Dati due vettori a, b di componenti a1, a2, a3 e b1, b2, b3, dalle
applicando le (5), (6), (11), (12) e tenendo presenti le (14), si deducono le
Se nella (15) a e b sono vettori unitarî, si ottiene la formula che dà il coseno dell'angolo di due direzioni orientate, in funzione dei rispettivi coseni direttori. Il secondo membro della (16) può essere più perspicuamente espresso mediante un determinante, in cui gli elementi delle rispettive linee sono i tre vettori e le componenti del primo e secondo vettore. Segue allora subito che, se c è un terzo vettore di componenti c1, c2, c3, il prodotto misto a ≿ b × c è espresso da un determinante, le cui linee sono rispettivamente le componenti di a, b, c.
8. Sistemi di vettori-applicati. - Secondo la definizione adottata, sono vettori le velocità, le accelerazioni, ma non le forze. Ora appunto in meccanica occorre associare a un vettore f (vettore della forza), un punto P (punto d'applicazione), ossia un nuovo ente rappresentato nel sistema geometrico di Grassmann-Peano dal prodotto Pf del punto per il vettore. Di qui il nome, più comunemente usato, di vettore-applicato, e di cui, come in statica, si considera il momento rispetto a un polo O, (P − O) ≿ f e che gode di proprietà ben note.
Considerando un sistema di vettori Pi fi, i due vettori
si chiamano rispettivamente vettore e momento risultante del sistema; le loro componenti si dicono coordinate o caratteristiche del sistema rispetto al polo O.
Variando il polo, da O in O1, f non varia, mentre
Due sistemi che hanno le stesse coordinate rispetto a uno stesso polo, avranno, per la (18), le stesse coordinate rispetto a qualunque altro polo; si dicono equivalenti. Tale qualifica dipende dal fatto che codesta equivalenza vettoriale si traduce in equiialenza meccanica, quando i vettori Pifi rappresentano altrettante forze applicate a un sistema materiale rigido (v. dinamica; statica).
In base alla (18) e all'ortogonalità di f e di f ≿ (O1 − O) risulta
Perciò questo scalare I si dice invariante del sistema di vettori. Dalla moltiplicazione scalare delle (17) discende subito (n. 6) che l'invariante I è la somma algebrica dei sestupli volumi dei tetraedri aventi per spigoli opposti i vettori-applicati del sistema, presi a due a due in tutti i modi possibili.
Se i vettori del sistema sono tutti paralleli a un vettore k, talché sia fi = xik, si ha
onde risulta I = m × f = 0.
Viceversa, si supponga che per un sistema di vettori-applicati pur essendo m ≠ 0, f ≠ 0, si abbia I = 0, cioè m ed f siano ortogonali. Un'elementare considerazione geometrica mostra che esiste una retta parallela ad f, luogo dei punti P tali che il momento del vettore Pf rispetto ad O sia m. Segue di qui che, quando I = 0 e f ≠ 0, il sistema dato di vettori Pifi è equivalente all'unico vettore-applicato Pf. È il caso delle forze parallele; e dalle formule stabilite si deduce agevolmente l'esistenza del cosiddetto centro dei dati vettori-applicati paralleli, che è un ben determinato punto C, tale che, comunque si faccia variare la direzione dei vettori stessi, mantenendone invariati i punti di applicazione e i moduli, il sistema è sempre equivalente al vettore-applicato di origine C e modulo uguale a quello di f. Un tal centro è definito dall'eqnazione:
dove si è posto fi = mod fi, f = mod f. Quando i vettori-applicati rappresentino i pesi dei punti di un sistema materiale, codesto centro è il baricentro di tale sistema (v. gravità: Centro di gravità).
Se poi I ≠ 0, il sistema è equivalente in infiniti modi a un sistema di due soli vettori applicati. Indicando infatti con A1 1, A2 f2 tali due vettori, devono sussistere le due equazioni:
le quali permettono di assegnare in infiniti modi i punti A1, A2 e i due vettori f1, f2. Si può del resto con costruzioni geometriche elementari (somma dì vettori, trasporto del punto di applicazione lungo la linea d'azione) sostituire anzitutto al sistema dato un sistema di tre vettori-applicati in tre punti arbitrarî (non in linea retta), e poi da questi passare in infiniti modi al sistema di due soli vettori. In queste successive riduzioni le coordinate del sistema rispetto a un polo e l'invariante non mutano.
Se infine f = 0 (e di conseguenza I = o) il sistema di vettori dicesi coppia, poiché nella riduzione accennata i due vettori
sono eguali e opposti (coppia in senso stretto). Il momento del sistema, per la (18), non dipende dal polo e si dice momento della coppia.
Tornando al caso generale, si può dire che il sistema di vettori Pi fi è equivalente al sistema del vettore Of e della coppia di momento m.
Esistono poi infiniti poli situati in linea retta (asse centrale), tali che vettore e momento risultante hanno la stessa direzione della retta. Il sistema di un tal vettore e di una coppia contenuta nel piano normale costituisce una diname.
È palese l'analogia con i sistemi di moti istantanei o atti di moto (v. cinematica, n. 25).
9. Punti e vettori funzioni di una variabile numerica. - La geometria e la meccanica offrono numerosi esempî di punti o vettori, funzioni di una variabile numerica t, simboleggiati con P (t) o u (t). Così, un punto P di una curva regolare, fissati l'origine, il verso e l'unità di misura dell'arco s, si può riguardare funzione P (s) dell'arco o anche funzione P (t) del tempo, se il punto è in moto sulla curva (traiettoria). Lo stesso si dica per i vettori: per esempio, la velocità, l'accelerazione, il vettore unitario tangente, ecc.
Applicando la stessa definizione che per le funzioni numeriche, si può definire la derivata di un punto P (t) o di un vettore u (t) rispetto alla variabile numerica t, come
sicché la derivata di un punto (o vettore) è un vettore. Alle nuove derivate si applicano tutte le regole dell'ordinario calcolo differenziale. E così per le derivate successive.
Se P sulla propria traiettoria è funzione del tempo t, la dP/dt definisce la velocità, d2P/dt2 l'accelerazione di P; se P si riguarda funzione di s (arco), dP/ds = t è un vettore unitario (versore della tangente) parallelo alla tangente alla curva in P, diretto nel verso degli archi s crescenti; e, se si denotano con n il versore della normale principale, con n′ = t ≿ n quello della binormale, valgono (e sono fondamentali per lo studio differenziale della curva) le formule di Serret-Frenet esprimenti le derivate dei tre versori fondamentali t, n, n′, mediante gli stessi versori e i due raggi r e ρ di flessione e torsione (v. curve, n. 4); esse sono precisamente
10. Operatori vettoriali; gradiente di un numero: rotore e divergenza di un vettore. - Il numero u sia funzione di un punto P, variabile in un campo a tre dimensioni (campo scalare). Dando al punto P uno spostamento (vettore) arbitrario infinitesimo dP e dicendo du il differenziale di u, esiste un unico vettore, funzione di P e di u, che si dice gradiente di u in P e si indica con grad u, tale che
quindi le componenti del vettore grad u, nel sistema fondamentale O (i, j, k) delle coordinate x, y, z di P, sono ∂u/∂x, ∂u/∂y, ∂u/∂z. Se un campo vettoriale f deriva da un potenziale u, è f = grad u.
L'operatore grad segue le stesse leggi del simbolo differenziale. Considerato poi un vettore u, funzione del punto P (campo vettoriale), si chiamano rispettivamente rotore o rotazionale e divergenza di u, e si denotano con rot u, div u, il vettore e il numero funzioni soltanto di P e di u, definiti dalle condizioni
qualunque siano gli spostamenti dP, δP, ϑP di P, essendo du, δu, ϑu i corrispondenti spostamenti di u. Tali operatori sono univocamente dete minati.
Se u è un vettore costante, rot u = 0, div u = 0; sono inoltre distributivi rispetto alla somma di più vettori; e infine valgono le formule assai importanti:
Dette u1, u2, u3 le componenti del vettore u, nel solito sistema di assi, si ha:
Infine, per quanto riguarda i prodotti di tali operatori, giova notare che:
Si suole indicare la div grad u con Δ2u (parametro differenziale di 2° ordine) o anche semplicemente con Δu; e si deve osservare che molti autori in luogo della notazione rot adottano quella di curl (riccio, anello) usata dal Maxwell.
11. Omografie vettoriali. - Nella meccanica dei corpí continui e in fisica si presentano altri operatori che trasformano vettori in vettori, e precisamente ad ogni vettore u fanno corrispondere un altro vettore, le cui componenti sono funzioni lineari e omogenee delle componenti del vettore di partenza, e perciò dipendono da nove coefficienti, generalmente funzioni del punto. Una tale operazione si indica con α, talché si rappresenta con αu il vettore trasformato di u. In ogni caso tale operatore è tale che
è dunque un operatore lineare (che si comporta come la funzione y = ax) tra vettori e vettori e si dice omografia vettoriale. Essa trasforma vettori complanari in vettori complanari, poiché da x = au + bv, si deduce αx = α • αu + b • αv. Lo studio delle proprietà generali di questi operatori costituisce la parte complementare e indispensabile del sistema minimo vettoriale.
Si dicono rispettivamente primo, secondo e terzo invariante di una omografia α e s'indicano con I1α, I2α, I3α i numeri, funzioni soltanto di α, che rispetto alla terna fondamentale i, j, k sono dati da
La qualifica d'invariami risponde al fatto che questi tre numeri restano inalterati se nelle (31), al posto di i, j, k, si sostituiscono tre altri vettori non complanari quali si vogliano.
Ogni omografia vettoriale rende soddislatta l'identità di Hamilton-Cayley
12. Omografie degeneri e omografie speciali. - Una omografia si dice degenere se trasforma una terna di vettori non complanari in vettori complanari, cioè (in forza della definizione del terzo invariante) se I3α = 0; e allora ogni terna di vettori non complanari è trasformata in vettori complanari.
In meccanica si sono dovute considerare, oltre le omotetie, varie classi di omografie speciali:
a) Omografie assiali, presentatesi nello studio del moto istantaneo di un corpo rigido (v. cinematica, nn. 21-28), aventi la forma
e perciò trasformanti ogni vettore x in uno normale ad u (asse).
b) Dilatazioni: sono quelle omografie per cui, essendo x, y vettori arbitrarî, si ha la proprietà di simmetria
Esse compariscono nella teoria dei momenti d'inerzia, nella teoria del giroscopio, in quella delle deformazioni infinitesime e nella statica dei corpi continui. Si dice qua,.rica indicatrice della dilatazione il luogo dei punti P tali che
essendo O (fisso) il centro. Avendosi dP × α(P − O) = o, con dP spostamento infinitesimo sul piano tangente in P a detta quadrica, si deduce che il vettore α (P − O) è normale al piano tangente.
Gli assi di queste quadriche (simili e similmente disposte) sono le rette unite o principali della dilatazione, e, indicandone con i, j, k i versori, si ha:
quindi una dilatazione ha sempre almeno tre direzioni unite e reciprocamente.
c) Diadi, considerate da J. W. Gibbs; si presentano nello sviluppo del prodotto vettoriale (12), e, dipendendo da due vettori ordinati u, v, s'indicano con H (u, v); sono definite dall'identità:
talché, trasformando ogni vettore in un vettore parallelo a v, sono omografie degeneri.
13. Decomposizione di una omografia. Coniugata. - L'importanza delle due prime omografie speciali, in perfetta corrispondenza con un famoso teorema sulla deformazione infinitesima di un corpo continuo, è costituita dal fatto che esse sono i veri e proprî elementi costitutivi di una generale omografia, valendo il teorema che una qualunque omografia si può sempre, e in un sol modo, decomporre nella somma di una dilatazìone e di un'assiale. Si designa la dilatazione di α con Dα, e si chiama vettore di α, Vα, l'asse dell'omografia assiale: talché si ha:
Con riferimento ai tre vettori fondamentali i, j, k si ha
La coniugata di α, Kα, è tale che
e vale il teorema di commutazione
14. Derivate rispetto a un punto. - Si consideri un punto Q o un vettore u, funzioni di un altro punto P: cioè le coordinate dei primi siano funzioni derivabili delle coordinate di P. Dando a P lo spostamento infinitesimo dP, i corrispondenti dQ e du hanno le componenti funzioni l; neari e omogenee di quelle di dP. Come nel calcolo differenziale si denota con dy/dx l'operatore che applicato a dx riproduce dy, così si designano con dQ/dP e du/dP gli operatori (omografie vettoriali) che applicati al vettore dP, dànno rispettivamente i vettori dQ, du; e si definiscono così le derivate di un punto, o vettore, rispetto a un punto P:
Tali derivate sono dunquc om0grafie. Non così è per la derivata di un numero m, definita sempre da
che è operatore lineare tra vettori e numeri.
Tale estensione del concetto di derivata da un lato permette di considerare in modo semplice e assoluto gli operatori vettoriali rot u e div u, introdotti con le (23), (24). Si ha infatti:
e da queste si possono ricavare le (25)-(29).
Da un altro lato permette di stabilire formule che il sistema minimo non può assegnare: ad esempio,
E, infine, ciò che ha grande importanza per la meccanica dei corpi continui, permette di generalizzare il concetto di gradiente. Si definisce, infatti, grad α il vettore (funzione di α) tale che, qualunque sia a (vettore costante) sia
onde risulta
15. Formule integrali. - Trovano finalmente posto in questa teoria alcune formule di trasformazione d'integrali molto usate in meccanica e in fisica.
Se σ è una superficie chiusa con piano tangente determinato, e si denotano con τ il volume e con n il versore della normale a σ in un suo punto generico, diretta verso l'interno, mentre α e u sono un'omografia e un vettore, funzioni dei punti P di τ e di σ, si hanno le seguenti formule di trasformazione d'integrali di volume in integrali di superficie, rispettivanente detti il teorema del gradiente, del rotore e della divergenza (o del flusso):
Infine sussiste il teorema della circuitazione (G. Stokes)
dove l'integrale (curvilineo) del primo membro va esteso a una curva chiusa s ed è appunto la circuitazione del vettore u lungo.s, mentre l'integrale (superficiale) del secondo membro va esteso a una superficie σ (diaframma) avente per contorno s, e il vettore n normale a σ in un suo punto generico P va orientato in modo che un osservatore con i piedi in P e la testa in P + n veda il percorso di P sulla curva s in senso orario.
Lo sviluppo ulteriore della teoria comprende la successiva estensione agli spazî curvi a più dimensioni.
Bibl.: C. Burali-Forti e R. Marcolongo, Elementi di calcolo vettoriale con numerose applicazioni alla geometria, alla meccanica e alla fisica matem., 1ª ed., Bologna 1909; 2ª ed., ivi 1920 (trad. francese, Parigi 1910); ivi si trovano, oltre agli sviluppi completi, numerose notizie storiche e bibliografiche. Per la parte relativa alle omografie, v., degli stessi autori, Analyse vectorielle générale, voll. 2, Pavia 1912-1913, e Analisi vettoriale generale e applicazioni; I: Trasformazioni lineari, Bologna 1923; inoltre: P. Burgatti, T. Boggio, C. Burali-Forti, Geometria differenziale, Bologna 1930; P. Burgatti, Elasticità, Bologna 1931.