PISANI, Vettore
Ammiraglio veneziano. Nacque a Venezia nel 1324, e da suo padre Niccolò (v.), che era stato "capitano generale da mar" nella guerra contro Genova dal 1352 al 1355, venne istruito nelle discipline marinaresche. Nel 1352 fu "sopracomito" d'una galea alla dipendenza del "capitano in golfo" Marco Michieli; poco dopo fu destinato con la sua galea in arcipelago sotto il comando di Giovanni Sanudo e non partecipò così alla battaglia della Lojera (29 agosto 1353), dove suo padre ottenne una grande vittoria sui Genovesi. Combatté invece il 3 novembre 1354 a Portolongo, dove il padre fu completamente sconfitto da Paganino Doria.
Conchiusa la pace con Genova, durante la guerra sostenuta da Venezia contro Ludovico re d'Ungheria, Vettore ebbe il comando di quattro galee destinate alla difesa delle coste istriane. Finita la guerra, fu nominato capitano in golfo e senatore. Combatté contro l'armata del re d'Aragona, nelle acque della Sicilia, e contro navi piratesche che infestavano quei mari.
Durante la ribellione di Candia nel 1364 fu nominato provveditore dell'isola, ma non raggiunse mai la destinazione.
Pochi anni dopo, riaccesasi la guerra contro il re d'Ungheria, ebbe l'incarico di difendere l'Istria e quindi fu nominato castellano di Modone, punto strategico ritenuto importantissimo. Scaduto da questa carica, fu di nuovo provveditore in Istria e quindi fu destinato a Tenedo, dove organizzò l'isola a difesa.
Per queste sue molteplici attività nel 1378 gli fu affidato il comando della flotta veneziana durante la quarta guerra contro i Genovesi. Presso Porto d'Anzio (30 maggio 1378), il P. incontrò 10 galee genovesi al comando di Luigi Fieschi, e le vinse catturandone quattro e facendo numerosi prigionieri. Avuto il comando di una squadra più numerosa (25 galee) col compito di cacciare dall'Adriatico la flotta genovese (forte di 22 galee), il P., dopo aver messo a sacco Cattaro e tentato nei mari di Sicilia di colpire le forze genovesi che trafficavano col Levante, ritornò in Adriatico, attaccò e distrusse il porto di Sebenico, e diresse per Traù fortemente difesa, dove era ancorata la squadra genovese di Luciano Doria, con la speranza di indurre questo a battaglia. Ma il Doria non si mosse, e il P. pose l'assedio alla fortezza, dividendo la squadra in due divisioni che dislocò alle due bocche del porto. Cannoneggiamenti violenti, sbarchi di equipaggi, assalti varî non ottennero lo scopo, e il P. fu costretto ad abbandonare l'assedio. L'inverno fu passato a Pola, date anche le condizioni disagiate delle ciurme, e nella primavera del 1379 la squadra, ridotta ad appena 12 galee armate, fu rinforzata da altre 11 inviate dal senato veneto e nuovamente spedita all'assedio di Traù: ma anche questa volta il Doria non uscì dal porto, e il P., dopo avere scortato da Barletta a Venezia un convoglio di viveri, rientrò a Pola.
Durante tale sosta, il Doria prese l'iniziativa delle operazioni e devastò Rovigno, Caorle, Grado, sperando d'indurre il P. ad uscire ma invano. Ai primi di maggio del 1379, il Doria con 22 galee comparve improvvisamente dinnanzi a Pola; il P., conscio della debolezza delle proprie forze, non voleva combattere, ma vi fu costretto dall'ardore dei suoi capitani e dall'ordine del provveditore della Serenissima imbarcato con lui. In poco più di un'ora la battaglia si risolse in una sconfitta dei Veneziani: a stento il P. con 7 galee riuscì a rifugiarsi a Parenzo, e di lì poi fece ritorno a Venezia. Quivi fu sottoposto a giudizio e condannato. Ma nell'agosto dello stesso anno, essendo minacciata gravemente Venezia dalle forze navali di Pietro Doria, il popolo richiese a gran voce la liberazione di Vettore. E così il P. fu nominato nuovamente capitano generale del mare. Approfittando del fatto che la flotta genovese si era chiusa nel canale di Brondolo, il P. con grandissima abilità riuscì a bloccarla e, con l'aiuto di Carlo Zeno, richiamato dai mari d'Oriente, dopo varî tentativi, nei primi mesi del 1380 riuscì a limitare l'occupazione genovese alla sola Chioggia. Anche questa città, strettamente assediata si arrese il 24 giugno 1380, e 19 galee e 4170 prigionieri genovesi caddero nelle mani dei vincitori.
Contro un'altra squadra genovese di 39 unità comandata da Matteo Maruffo, venuta a devastare l'Istria e la Dalmazia, fu nuovamente inviato il P., che si accinse ad inseguirla; ma l'aggravarsi di una malattia, trascurata per l'ardore di combattere, lo portò alla morte, il 24 agosto, mentre l'armata era alla fonda a Manfredonia.
La salma di Vettor Pisani venne trasportata a Venezia e con grandi onori venne inumata nella chiesa di S. Antonio, chiesa poi demolita sotto la dominazione napoleonica. Ora i suoi resti mortali si trovano nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo.