CAPPELLO, Vettore
Figlio di Giorgio di Giovanni di Marino Dielai e di Coronea Lando di Vitale, nacque probabilmente nel 1400, poiché nel novembre 1420, quando fu presentato agli Avogadori de Comun per l'iscrizione alla Balla d'oro, provò, come balestriere delle galee di Alessandria, l'età di venti anni (è da sospettare perciò un errore nel suo epitaffio che lo dice morto a sessantatré anni). Nel 1436 sposò Lucia Querini, figlia di Marco, da cui ebbe Andrea, Lorenzo, Paolo, Alvise, Elena e Paolina. Si distinse per un'intensa attività politica e militare, legando in particolare il suo nome agli eventi della guerra scoppiata in Morea nel 1463.
Dopo essersi dedicato alla mercatura (dal 1431 per un decennio circa tenne con i fratelli agenzie commerciali a Bruges e a Londra; nel 1428, 1438, 1441 fu patrono nelle "mude" di Fiandra), maturo di esperienza e ricco, per famiglia, di tradizioni politiche, entrò nella vita pubblica come savio agli Ordini (ott. 1439). Negli anni seguenti gli incarichi si succedettero numerosi: savio agli Ordini, ottobre 1440-marzo 1441; ufficiale alle Ragion nuove, 1442; capitano del viaggio di Romania, 1443; capitano delle due galee che nella primavera del 1444 condussero a Venezia Maria d'Aragona, moglie di Lionello d'Este; senza dimenticare che fra il 1442 e il 1443 fu designato ad altre cariche che non ricoprì (capitano dei viaggi di Modone e Barberia, sopracomito del Golfo). Per il C. la carriera politica fu rapida e prestigiosa, tanto che nel volgere di pochi anni, nell'agosto 1444 e in quello successivo, fu nominato senatore e nel 1447 membro del Consiglio dei dieci. Eletto nel settembre 1448 membro della zonta, nel marzo 1449 lasciò il seggio in Senato perché nominato capitano del Golfo.
La commissione, dettata il 7 aprile, fissava per il C. i normali compiti di sorveglianza nel Golfo, ma gli avvenimenti che andavano maturando nelle isole Ionie e la guerra dichiarata in luglio da Alfonso d'Aragona lo impegnarono in compiti più precisi e gravi. Il 26 aprile gli fu ordinato di recarsi a Zante, Cefalonia e Santa Maura per procedere alla loro annessione, nella convinzione che se ne sarebbe ottenuta la dedizione attraverso le trattative che si svolgevano a Corfù con Giacomo Rosso, rappresentante dei Tocco. Il C. eseguì il mandato recandosi, innanzi tutto a Corfù dove fu informato della situazione e prese contatti con il Rosso. Ma presto egli fu esonerato dalla missione poiché la Repubblica rinunciò ad un diretto dominio sulle isole, che si sarebbe potuto realizzare soltanto con una spedizione militare e si limitò ad imporre ai despoti, in settembre, dopo lunghe trattative, la sua protezione ed un rigoroso allineamento alla sua politica. Più volte Giacomo Rosso, timoroso dei Turchi, chiese l'invio del C. che tuttavia non intervenne, anche perché impegnato nella guerra contro l'Aragonese. Agli inizi del conflitto, quando ancora il capitano generale, Alvise Loredan, non era partito da Venezia, il C., secondo il Sabellico e il Giustinian, fu inviato nel Napoletano, distinguendosi nell'inseguimento di una nave nemica. Le fonti non permettono tuttavia di chiarire completamente quale sia stata la parte da lui svolta nel conflitto. Sappiamo solo che in agosto gli fu ordinato di rimanere a custodia e difesa del Golfo, nel caso che navi catalane si trovassero nelle acque di Taranto; altrimenti doveva raggiungere con il Loredan la Sicilia per guidare una spedizione contro Messina. Nei mesi di settembre e novembre egli venne incaricato di scortare le galee di Fiandra di ritorno a Venezia, dopo di che avrebbe potuto disarmare, come infatti avvenne a metà dicembre, nonostante qualche giorno prima il Senato avesse deciso di prolungare la sua permanenza nello Ionio a fianco del Loredan.
Nel febbraio del 1450 il C. fu nominato una seconda volta capitano del Golfo ma, non essendosi presentato in tempo, decadde dalla carica; in maggio andò capitano a Brescia. Nell'imminenza del conflitto con Francesco Sforza e nel fervore dei preparativi diplomatici e militari che la situazione comportava, la sua attività fu soprattutto rivolta ad organizzare opere di difesa e fortificazione. In dicembre si incontrò a Crema con gli altri rettori di Lombardia per stabilire i provvedimenti necessari a garantire la linea di confine verso l'Adda e il Bergamasco; fra aprile e settembre 1451 fece restaurare la rocca di Asola, inviò uomini e munizioni a Rivalta, ammassò grano e munizioni a Brescia, pagò i soldati per frenare le diserzioni.
Tornato a Venezia, dall'ottobre 1451 fino al giugno 1453 il C., ormai al culmine della sua carriera, fu in Collegio come savio di Terraferma (ottobre 1451-febbraio 1452; gennaio-giugno 1453) e come consigliere (marzo-settembre 1452). Dall'agosto 1453 fino al febbraio 1454, dopo aver rifiutato in luglio e dicembre la candidatura alla carica di savio di Terraferma, presiedette, provveditore all'Arsenale, all'allestimento della flotta che Venezia, preoccupata per la caduta di Costantinopoli, si affrettava ad armare. È dubbio se il C. si debba identificare con il Vettore Cappello che fu savio "recuperandi pecunias" (novembre 1453-maggio 1454), 0 con il Vettore Cappello nominato nel febbraio 1454 provveditore dell'esercito a Brescia.
Il 21 giugno 1454 il C. fu nominato ambasciatore in Morea dove la situazione creatasi con la ribellione degli Albanesi richiedeva un intervento della Repubblica che, dopo aver rifiutato la dedizione degli insorti, voleva riportare la pace nella penisola per impedirne l'occupazione da parte dei Turchi. Il C. partì da Venezia a metà luglio per svolgere un'azione di mediazione fra i despoti ed i ribelli, ma la presenza nelle acque di Morea di una flotta genovese, suscitando timori di nuove, pericolose ingerenze, forzò i Veneziani ad assumere posizioni più decise. In Senato si parlò quindi, con sempre maggiore insistenza, pur fra contrastanti pareri, di affidargli anche il compito di assicurare al controllo della Repubblica alcuni porti della Morea, in specie Patrasso e Corinto. Il C., per quanto fu in suo potere (i Paleologhi avevano infatti chiesto l'aiuto dei Turchi), realizzò le attese del suo governo. In settembre le due parti accettarono la mediazione veneziana; gli Albanesi chiesero addirittura a Venezia di impegnarsi a garantire la pace, proponendo a tal scopo la consegna di alcune città. La Repubblica accolse queste richieste, mentre rimase perplessa di fronte all'offerta avanzata dai despoti di cederle le province ribelli. Ma gli eventi ebbero uno sviluppo diverso: in ottobre i Turchi, rispondendo alle pressioni dei Paleologhi, ricondussero i ribelli all'obbedienza e l'intervento veneziano non ebbe più ragion di essere. Il C., sollecitato a tornare dal Senato, in febbraio giunse a Venezia.
Al suo ritorno, secondo un ormai consueto avvicendamento di cariche esterne ed importanti uffici in patria, il C. fu membro del Consiglio dei dieci (marzo-settembre 1455) e consigliere ducale (febbraio-settembre 1456), dopo aver rinunciato alle cariche di senatore e di capitano a Creta. Come consigliere, in giugno e luglio partecipò all'ultimo processo contro Giacomo Foscari, nei cui confronti tenne un atteggiamento moderato: dapprima si oppose all'istituzione del processo, voluto invece da intransigenti interessi di persone e gruppi, in seguito propose, con successo, la sentenza più mite, ed infine si adoperò per la concessione della grazia.
Dopo un breve periodo di assenza dalla vita pubblica il C. ebbe un secondo incarico diplomatico, quando il 15 sett. 1458 fu nominato, con tre colleghi, ambasciatore a Pio II. Il compito dei legati non si limitò alle consuete proteste di obbedienza al papa neoeletto, ma si allargò fino a comprendere le trattative riguardanti la sede della Dieta che il papa progettava di convocare a Mantova o, con grave pericolo per la Repubblica, a Udine.
La commissione, dettata in due momenti successivi il 27 e il 30 ottobre, oltre a dare generiche istruzioni circa l'atto di omaggio, stabilì anche che gli oratori dovevano far comprendere in modo cauto e prudente che Venezia era decisa a opporsi alla scelta di Udine. Dopo tanti e calcolati indugi, gli ambasciatori partirono agli inizi di novembre. La loro missione, nonostante i timori, si rivelò facile e piana; quando essi giunsero a Roma il papa aveva da tempo deciso di convocare la Dieta a Mantova e presto, tramite gli ambasciatori, ne informò la Repubblica. Altri problemi furono invece sollevati da Pio II in dicembre, ma non fu compito del C. affrontarli perché già alla fine di novembre, secondo gli ordini del Senato, assieme a Triadano Gritti, aveva lasciato Roma, dove rimasero gli altri due colleghi.
Nel regolare ed intenso succedersi delle cariche, il C. nel maggio 1459 fu nominato governatore alle Entrate e molto probabilmente (rimane il dubbio dell'omonimia) nel dicembre di quell'anno e nel gennaio successivo fece parte della zonta chiamata a giudicare con il Consiglio dei dieci i due legati alla Dieta di Mantova, Orsatto Giustinian e Lodovico Foscarini. Il 22 febbr. 1461, mentre con ogni probabilità era nel Consiglio dei dieci, fu nominato capitano da mar.
Durante il mandato il C. svolse semplice azione di vigilanza nell'Egeo, nonostante la sua nomina fosse venuta a coincidere con un grave acuirsi della minaccia ottomana: già nel febbraio 1461 si erano avute scorrerie turche fino a Modone e Corone e la situazione era destinata a precipitare rapidamente. La commissione, ispirata alla politica di cauta attesa e di prudente compromesso con cui Venezia voleva procrastinare il conflitto finché non fosse pronta ad affrontarlo, gli imponeva di limitarsi a seguire i movimenti della flotta turca per controllare che, secondo i trattati, non uscisse dai Dardanelli e di intervenire solo nel caso che i Turchi avessero attaccato domini o protettorati veneziani, mentre avrebbe dovuto combattere e catturare le fuste che ormai abitualmente uscivano dagli stretti per compiere azioni di pirateria. Anche quando nel sett. 1462 gli Ottomani si impadronirono di Lesbo, compiendo il primo passo verso la conquista dell'Egeo, il C. rimase spettatore, a Scio, in rispetto delle disposizioni ricevute e nonostante le richieste di aiuto; il Senato gli inviò lettere di approvazione. Notevole fu l'opera di fortificazione realizzata dal C. a Negroponte, Lepanto, Nauplia, Corone e Modone, nell'ambito dei preparativi militari che la Repubblica, pur fra compromessi e tentativi diplomatici, andava compiendo. A novembre, scaduto il mandato, il C. lasciò la sua base di Negroponte e il 13 dicembre giunse a Venezia portando la sacra reliquia della testa di s. Giorgio, che aveva ottenuto dagli abitanti di Egina.
A solo un mese di distanza dal suo ritorno, il C. fu chiamato in Collegio, dove rimase quasi ininterrottamente fino al 1465, nominato due volte savio grande (gennaio-giugno del 1463; ottobre 1463-marzo 1464) ed infine consigliere (luglio 1464-maggio 1465). È questo il momento più significativo ed importante dell'attività del C. che, coinvolto in precise responsabilità politiche, svolse un ruolo rilevante nella scelta di indirizzi e direttive, soprattutto riguardo al problema turco.
Egli dapprima si allineò alle posizioni dei più moderati che, ritenendo ancora opportuno evitare la guerra, propugnavano, di fronte all'accresciuta pressione ottomana, un atteggiamento di neutralità armata: si decise di potenziare la flotta dell'Egeo solo per essere in grado di bilanciare quella nemica; al capitano generale da mar, Alvise Loredan, furono affidati compiti difensivi con l'ordine di evitare qualsiasi provocazione; alle richieste di aiuto avanzate dalle potenze minori dell'Oriente balcanico si rispose genericamente senza prendere precisi impegni. Si voleva dunque continuare nella politica di attento compromesso che il governo veneto aveva sempre seguito non solo e non tanto per salvaguardare gli interessi mercantili, ma soprattutto per non trovarsi coinvolto, per sue responsabilità, in un conflitto a cui si andava preparando sapendolo inevitabile, ma del cui esito dubitava e temeva poiché era evidente che avrebbe dovuto affrontarlo senza l'aiuto o l'appoggio delle altre potenze occidentali. La perdita di Argo (3 apr. 1463) mostrò chiaramente i limiti e le insufficienze di tale politica che aveva appena permesso il temporaneo esercizio dei traffici ma non aveva certo potuto stabilizzare l'equilibrio orientale scosso ed alterato dalla avanzata turca. Ripresero quindi vigore le idee intransigenti di chi sosteneva la necessità di un'azione più energica e si faceva fautore della guerra, nella speranza inoltre che la lotta, per la particolare congiuntura, potesse condursi con pieno vantaggio per Venezia e concludersi con la conquista della Morea. Il C. fu allora un influente esponente di questa corrente; a lui la tradizione attribuisce un lucido discorso in Senato, che può essere considerato il programma del partito della guerra e che in effetti contiene le direttive seguite nel primo anno del conflitto. Nel suo discorso denunciò l'inutilità di un'azione diplomatica presso il sultano che avrebbe anzi evidenziato incapacità e debolezza e avrebbe provocato, con il rimandare la guerra, la perdita dei possedimenti di Morea e di Negroponte. Chiarì che la guerra con i Turchi era necessaria per la salvaguardia del commercio; sottolineò la necessità di inviare forze di terra e di mare nel Peloponneso e di fomentarvi la ribellione, di allearsi con il papa e gli Ungheresi per stringere militarmente il nemico da nord e da sud. Per tali pressioni interne e per la natura degli eventi il Senato, da maggio, si orientò sempre più decisamente verso la guerra, accettando le proposte avanzate dal C. e dal suo partito (invio in Morea di un forte contingente di armati guidati da Bertoldo d'Este, stanziamento di aiuti per la minacciata Ragusa), finché il 28 luglio fu dichiarato lo stato di guerra, a cui seguirono l'alleanza con l'Ungheria e la lega con il papa e il duca di B0rgogna. Quando Pio II chiamò il doge a partecipare alla crociata, il C. fu fra coloro che in Senato sostennero l'opportunità di accogliere la richiesta del pontefice. La loro proposta fu approvata non solo dal Senato (8 novembre) ma anche dal Maggior Consiglio (30 novembre). Al doge stesso, riluttante a partire, il C. intimò di rispettare le decisioni dei Consigli, anteponendo il bene dello Stato alla salvezza della sua persona. Circa la condotta della guerra il C. voleva una campagna rapida e decisa, quale fu infatti fino al novembre del 1463, caratterizzata da immediati ed ampi successi sostenuti da precisi e puntuali provvedimenti sia militari sia diplomatici. In seguito, dopo la perdita dell'Examilion, il governo veneto, che sostanzialmente era entrato in guerra perché costretto dagli eventi e solo con l'intento di salvare il salvabile, non dimostrò più sufficiente interesse per l'impresa di Morea ed il C., benché facesse pressioni per un impegno più preciso e concreto (nel febbraio 1464 sollecitò l'assunzione di Pandolfo Sigismondo Malatesta, ritardata da ingiustificati indugi), non poté giovare oltre al partito della guerra, nemmeno dalla sua posizione di consigliere.
Il 5 sett. 1464, mentre era consigliere, il C. venne nominato fra i dieci ambasciatori inviati a Paolo II. Gli oratori, oltre a compiere il consueto atto di omaggio al papa neoeletto, affrontarono anche alcuni problemi riguardanti la guerra contro il Turco, quali gli aiuti economici per l'Ungheria e Venezia, l'intervento papale presso i signori italiani ostili a Venezia, lo sfruttamento delle miniere di allume di Tolfa, i cui redditi Paolo II aveva destinato al finanziamento della crociata.
Tornato a Venezia alla fine di dicembre, il C. riprese il suo seggio in Collegio. Nel settembre 1465 entrò nel Consiglio dei dieci che lasciò nel febbraio 1466 perché nominato capitano generale da mar.
La sua elezione suscitò grandi speranze, poiché ci si aspettava che egli imprimesse un nuovo indirizzo alla guerra in Morea, quasi paralizzata da una miope politica che continuava a lasciare il fronte sguarnito di uomini e armi e si preoccupava solo di impressionare i nemici con qualche successo parziale. Così il provveditore di Morea, Giacomo Barbarigo, esprimeva "suma letitia" alla notizia dell'arrivo del C.; così Andrea Diedo nella sua orazione augurale riconosceva nel C. chi avrebbe posto vittoriosamente fine alla guerra dirigendo finalmente ogni azione alla riconquista dell'Examilion e all'occupazione di Corinto. Tuttavia, nonostante le aspettative, il C., ripresa la guerra marittima, non riuscì a dare alla flotta lo slancio per battaglie decisive e così anche le operazioni del 1466-67 si esaurirono in azioni protettive e di disturbo.
Il C. partì da Venezia in aprile, con una commissione che gli lasciava la massima libertà di azione. Ricevuta la flotta a Sapienza, raggiunse Modone e quindi Lepanto e Negroponte dove provvide ad opere di fortificazione (a Negroponte proibì il commercio con i Turchi, ma il Senato fece revocare la proibizione, considerando dannosa). Iniziate le operazioni militari, conquistò le isole di Imbro, Taso e Samotracia; diresse quindi la flotta al Pireo e il 12 luglio si impadronì di Atene, che tuttavia non poté tenere per l'impossibilità di prendere l'Acropoli ben difesa e munita. Con questo buon auspicio, continuò la campagna e all'inizio di agosto raggiunse il golfo di Corinto, nella speranza di avere Patrasso grazie all'aiuto dei suoi abitanti. Il Barbarigo, che aveva unito le sue forze a quelle di mare, decise invece un colpo di mano contro la città. L'impresa fallì completamente, e il Barbarigo cadde nelle mani dei Turchi, senza che il C. potesse nemmeno intervenire. A distanza di pochi giorni, convinto che la disfatta fosse dovuta più alla negligenza dei soldati che al valore dei nemici, egli tentò di nuovo la conquista di Patrasso, riportando, dopo quattro ore di combattimento, una sanguinosa sconfitta. Messe in salvo a stento le truppe, il C. raggiunse Negroponte. Lettere scritte il 15 agosto recarono la notizia a Venezia, senza destare però grande allarme; l'insuccesso di Patrasso fu considerato come un inevitabile inconveniente della guerra e nulla fu rimproverato al capitano generale. D'altra parte a Venezia da qualche tempo si parlava con rinnovato interesse di condurre trattative di pace con il Turco, tanto che in ottobre, dopo numerose pratiche e abboccamenti, si stabilì di inviare alla Porta Giacomo Venier, capitano del Golfo. Il C. in novembre fu informato della decisione e gli fu inviata la commissione da consegnare, con la massima riservatezza al Venier o ad altro sopracomito che lo avesse sostituito. Ma il sultano era alieno dalla pace, come dimostrò il fallimento delle trattative e come aveva previsto Antonio Michiel in una lettera indirizzata da Costantinopoli al Cappello. La guerra comunque subì una battuta di arresto, e il C. rimase a Negroponte, pressocché inattivo, per lunghi mesi. Per il dolore della sconfitta subita a Patrasso, che rappresentava il fallimento delle sue aspettative e dei suoi principî, si ammalò e, secondo la tradizione, non fu mai più visto ridere fino alla morte, avvenuta il 13 marzo 1467. Il 25 marzo giunse a Venezia la notizia della sua grave malattia e nei primi giorni di aprile la notizia della morte (il 7 aprile infatti in Senato si decise di procedere finalmente all'elezione del nuovo capitano generale, rinviata il 30 marzo all'annuncio di un miglioramento della sua salute).
Il C. fu sepolto a Venezia nella chiesa di S. Elena; i figli Alvise, Andrea e Paolo gli fecero erigere un insigne monumento funebre attribuito ad Antonio Rizzo.
Fonti e Bibl.: Profili biografici complessivamente esaurienti, nonostante alcune imperfezioni, Venezia, Civico MuseoCorrer, cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, ff. 135v-136; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, pp. 373-375. Altre tracce biografiche: Venezia, Bibl. naz. Marciana, mss. Ital. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, ff. 227v, 733v, 234v; Arch. di Stato di Venezia, Misc. codici I, Storia veneta, 18: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, pp. 255, 261; G. Zabarella, Il Pileo…, Padova 1670, pp. 22 s., 39. Sull'attività del C.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria de Comun,Cronaca matrimoni 107/2, f. 77; Balla d'oro 162/1, f. 38; Prove di età per magistrati 169/1, f. 53v; Ibid., Segretario alle voci,Misti, reg. 4, ff. 35v, 87v, 90v, 91v, 93, 96v, 104v, 124, 127, 131v, 135, 151, 157, 165rv; reg. 6, f. 87; Ibid., Maggior Consiglio,Deliberazioni,Regina, ff. 8v, 9, 46v, 47v; Ibid., Senato,Deliberazioni miste, reg. 56, ff. 167, 174; reg. 60, ff. 63, 172, 176v-186v; Terra, reg. 3, ff. 16, 15, 32, 51v, 71, 73v, 75v, 77v, 86v, 88v, 92v, 951v, 97, 99v, 101, 105v, 151, 192v, 193v; Mar, reg. 1, ff. 1-30v; reg. 3, ff. 110rv, 130v; reg. 5, ff. 3, 13, 40-42v, 44v-45, 63v, 74v, 76, 168v-169; reg. 7, ff. 9v-10v, 26v, 33-34, 36rv, 55v-57, 65v-66v, 71v-73, 79v, 92, 99v, 102, 116v-117, 121v-124, 135, 138v, 142v, 149, 166v, 179, 187, 189v, 200v; reg. 8, ff. 59, 69v, 83, 88, 90, 91, 95, 97v, 105; Deliberazioni segrete, reg. 15, ff. 1v, 11v; reg. 16, f. 76; reg. 18, ff. 83v, 94rv, 106rv, 107, 109, 110, 114v, 132, 142v, 143v, 156v, 159, 166; reg. 19, ff. 23v, 26rv, 29, 34, 54v, 63v, 73v, 82v, 83v, 87v, 101v-110v, 128v-158, 180-199v; reg. 20, ff. 23v-25v, 27rv, 31-36, 157, 162-166v, 171rv; reg. 21, ff. 31-34, 43, 45, 46v, 54v-56, 108rv, 111-112, 114v, 135v, 138v-140, 143, 145v, 148, 150-161, 164v, 191, 200rv, 205, 206v, 215-218v, 220-224, 226v, 230, 231; reg. 22, ff. 3v, 24, 35, 45v-46v, 49-50, 54, 58rv, 63rv, 66, 67v, 72, 83, 85v, 133v-134, 152v-153v, 165v-166, 186, 187; reg. 23, ff 10-13, 29v, 30, 33v; Ibid., Consiglio dei Dieci,Deliberazioni miste, reg. 13, ff. 79v-105v; reg. 15, ff. 39-74, 95-97, 100v-102, 194v-196; reg. 16, ff. 14-23, 30v, 45v-46, 180-190v, 193, 202v, 203; Venezia, Biblioteca naz. Marciana, mss. Ital. VII, 198 (= 8383): Reggimenti della Repubblica veneta,secc. XV-XVII, ff. 23, 169v, 178v, 200v, 256, 260v, 269, 278, 290v; Ibid., mss. Ital. VII, 794 (= 8503): G. Dolfin, Cronaca di Venezia dall'origine della città fino all'anno 1458, ff. 400, 414, 439v, 443v-444v; P. Giustiniani, Rerum Venetarum ab urbe condita historia, Venetiis 1560, pp. 268 s., 285-287; M. A. Sabellici Historiae rerum Venetarum ab urbe condita, II, Venetiis 1718 , pp. 654, 680, 709, 716, 730 s.; M. Sanuto, De origine urbis Venetae et vita omnium ducum, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, coll. 1171, 1174, 1183-1184; A. Navagero, Historia Veneta,ibid., XXIII, Mediolani 1733, coll. 1113, 1125 s.; D. Malipiero, Annali veneti dall'anno 1457al 1500, a cura di F. Longo-A. Sagredo, in Archivio stor. italiano, VII (1843), 1, pp. 11 s., 21-23, 37-42; Stefano Magno, Annali, ediz. a cura di K. 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