Vedi VETRO dell'anno: 1966 - 1973 - 1997
VETRO (v. vol. vii, p. 1150)
Una bibliografia completa è presentata annualmente dalla rivista del Corning Museum di New York: Journal of Glass Studies, i, 1959 ss.
6. - L'officina di Colonia. Come le fabbriche di vasi in "terra sigillata" così anche le vetrerie vennero ben presto spostate verso occidente e settentrione con l'affermarsi della conquista romana: iam vero per Gallias Hispaniasque simili modo arenae temperantur (Plin., Nat. hist., xxxvi, 190 ss.). Ma mentre si nota che le fabbriche di vasi in "terra sigillata" si vengono spostando verso il Reno gradualmente nel tempo, pare che le vetrerie siano state direttamente trasferite lungo il Reno molto prima e senza stazioni intermedie, sia perché si intendeva abbreviare il trasporto della fragile merce, sia perché si puntava sul particolare effetto propagandistico di un prodotto fabbricato con un nuovo tipo di materiale. Ad ogni modo oggi sappiamo che il v. semplice, d'uso comune, si fabbricava a Colonia già prima di Claudio. Questo è un dato di grande importanza storica, ignorato finora per la mancanza di studî specifici sulla vetreria di Eigelstein, a cui i testi appena accennano.
In seno all'esiguo numero di officine rinvenute nell'Occidente la vetreria di Eigelstein a Colonia rappresentava fino ad oggi una meager evidence far factories (D. B. Harden). E ciò a buon diritto perché tutto ciò che ne resta è un pugno di cocci e di scorie; le piante e i disegni dello scavo bruciarono durante la guerra. Ma è rimasto il testo illustrativo. Benché questo non consenta una ricostruzione dei disegni, dalle misure e dalle restanti descrizioni si può dedurre con certezza quanto segue: sullo stretto appezzamento n. 14 di Eigelstein, situato a circa 500 m dalla porta settentrionale della Colonia romana e rasente il margine orientale della strada che già in età romana andava da questa porta fino a Neuss, vennero intrapresi, durante alcuni lavori di costruzione effettuati nel gennaio del 1929, degli scavi per conto del Römisch-Germanischen Museum (F. Fremersdorf, P. A. Tholen, W. Habery). In quest'area, non troppo grande, furono rinvenuti i resti di sette forni di fusione per il v., inoltre tre muri di una casa in pietra, un muro romano più largo e la già citata strada per Neuss, nei cui fossati fu ritrovato altro materiale di vetro. I forni appartengono a tre diverse facies separate l'una dall'altra da cumuli di macerie dello spessore di 1 m e di 0,70 m. Presi isolatamente questi strati non significano gran che ai fini della cronologia dei forni. Presupponendo un'intensa attività dell'officina potrebbero essersi formati nel corso di pochi anni. Ma non è il nostro caso, perché l'aumento di livello del terreno coincide con il contemporaneo innalzamento del piano delle costruzioni e con quello del livello stradale; ne risulta che ci troviamo di fronte ad una generale sopraelevazione del terreno che non può essersi verificata nel corso di pochi anni. Anche i varî strati della strada sono indicativi ai fini di una cronologia assoluta dal momento che conosciamo da altre fonti la storia delle grandi arterie della Colonia romana e sappiamo che in età augustea esse venivano tracciate sopra terreni sopraelevati (I periodo). All'epoca di Claudio (II periodo) invece, venne costruita una carreggiata brecciosa sopraelevata, che rimase in uso per un certo periodo di tempo, a giudicare dallo strato di limo che la ricopre, e il cui livello stradale venne nuovamente rialzato all'inizio del II sec. d. C. circa (III periodo). Questa sovrapposizione di strati si ritrova anche nella strada che passa vicino ai forni di Eigelstein. La sua stratificazione è la seguente:
- I periodo, prima di Claudio: strada su terreno sopraelevato; al margine della strada una solida costruzione con mura dello spessore di 60 cm circa, la cui tecnica costruttiva è antica. Entro o accanto a questa officina fu rinvenuto il bordo meridionale di forma semicircolare di un forno, largo 50 cm, la cui muratura, che raggiunge uno spessore di 30 cm, era conservata ancora per un'altezza di 40 cm. Le pareti interne ed il pavimento a mattoni erano calcinate e ricoperte completamente di scorie e di v. fuso. Non fu recuperato alcun oggetto di v. appartenente a questa facies.
- II periodo, età di Claudio: accanto alla strada, sopraelevata di circa 1 m, sopra le rovine della casa del I periodo, furono rinvenuti i resti di tre forni. Al medesimo complesso apparteneva una nuova costruzione di cui restava soltanto un muro. Di uno solo dei forni furono rinvenuti, oltre ai resti del pavimento, anche parte dei muri laterali, distanti fra loro 60 cm, conservati ancora per un'altezza di 50 cm, completamente coperti di scorie ma non vetrificati e per altro di diverso spessore (20 cm e 40 cm). A questa facies appartengono varî frammenti di v. fra cui quelli di una coppa scanalata e quelli di una tazza dall'orlo ripiegato verso l'esterno; inoltre frammenti di anse, il collo di una brocca quadrangolare e lo scarico dell'officina.
- III periodo, flavio o più tardo: accanto alla strada, sopraelevata di circa 80 cm, furono rinvenuti i resti dei pavimenti di tre forni. In uno di essi sono conservati: un grumo di scorie incrostato con un duplice strato di v., un pezzo di mattone vetrificato sia sulle facce superiore e inferiore che su quelle strette laterali; varî pezzi dello scarico dell'officina ed infine frammenti di una grossa tazza scanalata, di una bottiglia quadrangolare e di un balsamarium; l'unico coccio d'argilla rinvenuto è il labbro di una coppa del tipo Hofheim 122. Nei piccoli fossati della strada di questo periodo furono rinvenuti un frammento del labbro di una terza coppa scanalata, un sottile manico fissato al bordo di un vaso e varî frammenti dell'orlo di un altro vaso con il bordo ripiegato verso l'esterno. I pezzi ritrovati ad Eigelstein qui citati sono conservati nel Römisch-Germanischen Museum di Colonia, numeri d'inventano 28, 660-667. Di un'altra vetreria di Colonia, situata sulla Gereonstrasse, è nota soltanto un'ingente quantità di v. grezzo di colore naturale; nessun altro elemento databile è venuto in luce, né ci sono pubblicazioni in proposito.
Sulla datazione della vetreria di Eigelstein non sussiste alcun dubbio. Il materiale recuperato si inquadra nella successione stratigrafica che abbiamo descritto. L'officina doveva essere in funzione fin dall'età augustea e deve essere rimasta attiva per tutto il I secolo. Non si sa con certezza se questa o qualche altra vetreria di Colonia abbiano fabbricato oltre i v. di colore naturale anche v. artistici colorati. Le tazze "millefiori" e altri tipi di oggetti di v. variopinti, trovati a Colonia e in altri siti lungo il Reno, non si differenziano in alcun modo dai corrispondenti esemplari meridionali e potrebbero senz'altro essere stati importati dal S, al pari dei più antichi vasi di "terra sigillata" che venivano dall'Italia e dalla Gallia meridionale; il vasellame d'uso comune invece veniva cotto sul posto, negli accampamenti dei legionarî e nelle città, e tuttavia presenta caratteristiche formali che si differenziano ben poco da quelle della produzione delle altre parti dell'Impero romano, al pari dei v. dell'officina di Eigelstein che sono simili a tutti gli altri v. romani del I secolo.
Appena nel II sec. d. C. la produzione artigianale delle province assume caratteristiche proprie. Il fenomeno investe su larga scala i prodotti dell'industria vetraria di Colonia, che acquistano caratteristiche così spiccate che non si può fare a meno di riconoscere a Colonia una produzione propria. Quantunque finora non si sia trovata alcuna traccia di una vetreria che fabbricasse v. incolore di qualità superiore, né esista alcun documento letterario o epigrafico che attesti l'esistenza di fabbriche di v. a Colonia, la quantità di materiale di prima qualità rinvenuto nel territorio della città è così ingente da porre fuori discussione il fatto che Colonia abbia rappresentato non soltanto un sito di smercio e di consumo, ma anche un centro di produzione del vetro. Anche la più antica produzione di Eigelstein, a cui già accennammo, costituisce una testimonianza non trascurabile, sebbene non si tratti ancora della specifica produzione di Colonia.
Facciamo seguire una succinta esposizione dei pezzi rinvenuti nel territorio di Colonia:
a) I vetri eseguiti con la tecnica del nucleo di sabbia e con la tecnica del pistone interno sono rappresentati nella collezione di Colonia da numerosi "balsamarî" tardo-egiziani di colore azzurro e con filamenti "a pallina"; ma certamente provengono tutti dal Mediterraneo orientale, anche quello che si dice rinvenuto lungo la strada che da Colonia porta ad Aquisgrana.
b) Anche le piccole coppe variopinte del museo, eseguite nella tecnica a stampo o a colata, sono state per la maggior parte acquistate nelle regioni meridionali. Soltanto una tazza "millefiori" conservata integra proviene da un luogo di scavo non meglio identificato di Colonia. Fra i v. a mosaico striato vanno citati un frammento proveniente dalla chiesa di S. Maria in Capitolium ed una piccola tazza a reticella della Severinstrasse. Nel suolo di Colonia si trovano in misura leggermente maggiore frammenti del tipo di v. che imita l'agata e soprattutto frammenti di coppe scanalate e di piccole tazze colorate che, come i v. a mosaico, sono eseguite a stampo e poi molate. Resta da vedere se anche questi v. variopinti siano stati eseguiti a Colonia; a stare alla testimonianza del materiale rinvenuto nella vetreria di Eigelstein, venivano invece con ogni probabilità fabbricate a Colonia le tazze scanalate di v. di colore naturale, la cui produzione durò più a lungo. Il tipo di v. che imita l'agata che, a quel che pare, ricomparve nella tarda antichità in tazze di forma svasata eseguite con una tecnica a stampo più grossolana, potrebbe forse essere considerato un prodotto dell'artigianato di Colonia.
c) In base alla grande quantità di pezzi ritrovati e alla loro larga diffusione possiamo attribuire con maggior certezza alle vetrerie di Colonia la fabbricazione delle brocchette variopinte di v. soffiato. Sebbene per la verità esse siano molto affini esteriormente alle tarde piccole tazze a mosaico ad imitazione dell'agata, eseguite a stampo, appartengono ad un altro gruppo che alla varietà dei colori del tipo a mosaico accoppia la tecnica del v. soffiato (v. soffiato alla lampada). Le brocchette citate, che appartengono all'ultima fase della produzione di Colonia, testimoniano, al pari del tipo "millefiori" tardo, il rifiorire dell'antico gusto per il colore. All'inizio dell'eta imperiale si sperimentò più volte di produrre altri tipi di vasi variopinti e marezzati soffiando il v. con il cannello. Varî esemplari sono stati rinvenuti nella zona di Colonia, ma provengono certamente dall'Italia settentrionale, mentre i v. a mosaico sono con ogni probabilità prodotti alessandrini. Infine le cosiddette piccole coppe "a striature filiformi", per lo più azzurre con striature bianche, in cui le venature, inserite ad incastro come già negli antichi vasetti egiziani di v., formavano poi con la soffiatura un ornato filiforme sottilissimo, sono generalmente tanto diffuse che finora non è stato possibile accertarne la provenienza. Ora, dopo l'esame del materiale rinvenuto ad Eigelstein, non è più il caso di escludere a priori la possibilità che siano state prodotte a Colonia o nella Renania. Un argomento probante potrebbe essere la gran quantità rinvenuta a Colonia e il fatto che tanto queste piccole coppe che le tazze scanalate di v. di colore naturale sono testimoniate nella Germania al di là dei confini imperiali.
d) Quanto al v. soffiato entro forme il problema è di tutt'altra natura. Questo tipo non godeva di eccessiva popolarità a Colonia. Anche altri tipi di motivi a rilievo come lagrime, listelli a perline, scanalature, sono rari e certamente non prodotti a Colonia. Tuttavia i semplici motivi geometrici o a scacchiera del IV sec. d. C. potrebbero essere originarî della zona di Colonia. Sono invece piuttosto numerosi a Colonia i vasi forgiati in forme plastiche (teste, grappoli d'uva, conchiglie), anch'essi eseguiti nella tecnica del v. soffiato in un apposito stampo; potrebbe anche darsi che gli esemplari più tardi siano stati fabbricati nella stessa Colonia. È stata notata l'eccezionale grandezza dei vasi a forma di testa rinvenuti a Colonia; quanto ai vasi a conchiglia e a grappolo, il v. sottile, completamente decorato e il modo di applicare le anse convalidano l'ipotesi che si tratti di prodotti locali di Colonia.
e) È nei vasi soffiati a mano libera che risaltano con maggiore evidenza le caratteristiche peculiari dei v. di Colonia. A questo gruppo appartengono coppe, tazze e brocche a imboccatura larga, eseguite secondo canoni molto rigidi nonostante tutte le possibili varianti. In particolare il prodotto tipico per eccellenza dell'arte del v. soffiato, la bottiglia a collo stretto, si presenta in tante e tali varianti che sotto questo profilo la collezione di Colonia può essere additata come unica nel suo genere. La forma del semplice globo, con o senza collo e con anse (si citino particolarmente gli arỳballoi con anse a forma di delfino) che è quella più frequente, subisce trasformazioni di ogui genere, assumendo forme schiacciate e completamente piatte, o forme lenticolari; d'altro canto però va messa in rilievo la ricchezza delle forme slanciate e allungate. Le bottiglie a forma di pera, i vasi panciuti nella parte superiore, i vasi slargati in basso o sagomati a forma di S, spesso montati su piedi molto eleganti, costituiscono una serie di esemplari di fattura squisita e d'indescrivibile raffinatezza, per lo più in materiale decolorato di prima qualità. Questa enorme quantità di materiale accoppiato al tipo caratteristico della decorazione, del pari notevole, porta senz'altro alla conclusione che si tratta di una produzione locale di Colonia.
f) Quanto alla decorazione, vanno esaminati anzitutto gli ornamenti eseguiti con v. soffiato a mano libera e le ulteriori variazioni date al v. mentre è ancora attaccato al cannello. Elementi ornamentali comuni sono le rientranze ed i nodini sulle pareti del vaso, eseguiti tirando il v. con la pinza. La grande quantità di vasi di questo tipo rinvenuti a Colonia, eseguiti per lo più alla buona ma con molto gusto, non sono di per sé di grande aiuto per l'individuazione del luogo di produzione. Sembra però essere una caratteristica propria di Colonia eseguire questa decorazione nella tecnica stessa del v. soffiato. Le rientranze cioè vengono ottenute non solo con una pressione esercitata sulla parete esterna del vaso, ma anche - e ciò è testimoniato da casi rari, ma molto significativi - risucchiando il v. nei punti prestabiliti, previamente riscaldati. Il metodo inverso, quello cioè di ottenere mediante soffiate supplementari delle gibbosità ("delfini", "proboscidi"), in determinati punti della parete del vaso riscaldati con gocce di v. incandescente, è alla base dello sviluppo delle coppe con "proboscidi" della Franconia, come è stato dimostrato dagli studî di R. Schmidt e F. Fremersdorf. Il loro modellato accurato ed elegante non è per nulla inferiore a quello delle conchiglie lavorate a parte e poi applicate, al contrario, insieme alle altre varianti tecniche d'ogni genere (come la "bottiglia nella bottiglia", i grappoli incastrati nella parete vascolare appositamente traforata, o le bottiglie a quattro canne [gutturnia]), va considerato testimonianza di un'arte vetraria estremamente raffinata, rivendicabile a buon diritto alle vetrerie di Colonia.
g) La decorazione applicata (filamenti e nodini), che durante il corso del I sec. d. C. sostituì la decorazione "a pallina", diede origine, durante il II sec. d. C., al ben noto gruppo di vasi decorati con filamenti a serpentina. Né sotto il profilo temporale (giacché il tipo perdura fin verso la fine del III sec.) né sotto quello stilistico questi vasi formano un gruppo così rigorosamente delimitato come si è pensato per molto tempo. Si dovranno distinguere due diversi metodi di lavorazione: nel primo, in complesso più antico, il motivo a serpentina o meglio il famoso "arabesco di Colonia" era eseguito con grande rapidità sul vaso stesso usando un filamento di v. incandescente; nel secondo, ancora in uso nel tardo III sec., motivi più delicati, come spirali o foglioline, ricavati da filamenti colorati e dorati, venivano modellati a parte e poi applicati come decorazione. Siccome però esistono anche vasi che presentano contemporaneamente i due metodi di lavorazione, l'unità del gruppo va ricercata piuttosto in una caratteristica costante e ben definita: l'elaborata raffinatezza delle forme vascolari, di cui alcune sembrano riservate esclusivamente ai vetri decorati con filamenti a serpentina. Tanto più che i vasi a serpentina di Colonia e quelli della Francia settentrionale, di una regione dunque relativamente vicina, presentano caratteristiche stilistiche ben diverse. Va da sé che i vasi di Colonia si differenziano anche da quelli a serpentina delle officine siriane. È strano invece che si differenzino anche dal materiale rinvenuto nella Germania oltre il limes la cui provenienza perciò è ancora oscura. Un boccale a conchiglia di età costantiniana, rinvenuto recentemente, testimonia a quale alto livello artistico si mantenesse la produzione delle officine di Colonia ancora nel IV sec. quando la decorazione a filamenti a serpentina era già scomparsa. L'artistico intreccio di filamenti di v. a forma di cestello, ornato da file di conchiglie sagomate con la pinza, che avvolge la coppa dall'alto calice a stelo, di forma antica e squisitamente modellata, testimonia, nella ultima fase dello sviluppo della decorazione a filamenti, prima del suo brusco declino nella tarda antichità, tendenza ad una disposizione estremamente libera e mobile dei filamenti stessi. Il genere di decorazione diffusosi in seguito, quello cioè dei semplici nodini e dei filamenti a zig-zag - spesso ancora applicati nel modo caratteristico, cioè penduli - con costituisce più una caratteristica esclusiva delle officine di Colonia.
h) I v. molati o incisi del tardo Impero sono cosi numerosi nel materiale rinvenuto a Colonia ed eseguiti in tante differenti tecniche, anzi in quasi tutte le tecniche generalmente conosciute, che non è ingiustificato pensare, almeno per alcuni di essi, ad una produzione propria di Colonia nonostante le sorprendenti affinità con gli esemplari della Siria e dell'Egitto. E ciò va detto innanzitutto per le tazze, le anfore e le brocche sfaccettate geometricamente, e a volte di dimensioni notevoli, la cui profonda sfaccettatura si riduce sempre più fino ad un debole accenno di molatura definitivamente soffocato dal motivo lineare, frammisto a lettere inserite, che originariamente era stato ideato soltanto come un reticolato di divisione. Però in età costantiniana di fronte a questa generale tendenza all'appiattimento delle superfici, si può constatare, anche per i cristalli molati, un ultimo ritorno alla plasticità nella lavorazione "a giorno" estremamente difficile delle tazze diatreta. Questi diatreta, racchiusi in rete aderente di v. sono noti finora soltanto per la parte occidentale dell'Impero e sono stati rinvenuti principalmente nella Renania. È da ritenersi probabile che, fra questi, quei vasi che presentano iscrizioni, siano stati fabbricati a Colonia, giacché tre esemplari di questo tipo sono stati trovati nella stessa Colonia. Né è in contrasto con questa affermazione la presenza, fra le iscrizioni, di brindisi in lingua greca.
Il tipo dei cristalli molati segue nel suo sviluppo tendenze ben diverse: vi compaiono scene figurate di soggetto sia mitologico che cristiano. L'intero sviluppo di queste scene è testimoniato a Colonia sotto molti aspetti, dalla bella e profonda sfaccettatura, alla molatura superficiale schematicamente accennata delle scene "impressionistiche" dalla struttura allentata, dall'incisione inizialmente usata soltanto come decorazione accessoria delle faccette, alla scenà che esclude ogni lavorazione a mola ed è completamente incisa a bulino. Anche fra i cristalli molati con scene figurate va citato un capolavoro d'eccezione di età costantiniana, la tazza con scena di circo di Colonia-Müngersdorf, che rappresenta un'opera d'arte insuperabile per forma e composizione, nonostante sia eseguita in una tecnica che tende ad un deciso appiattimento delle superfici ed ignora il rilievo profondo limitandosi ormai solo a piani appena smorzati (v. vol. vii, fig. 1291).
i) I v. dipinti sono testimoniati a Colonia da appena una decina di esemplari, soprattutto bottiglie sferiche; ancora più rari a Colonia sono i v. dorati, ma il pregio artistico dei pezzi rinvenuti è di tanto maggiore: si tratta della tazza azzurra di Colonia-Müngersdorf, originariamente rivestita in oro laminato non ricoperto, con scene di soggetto cristiano, e dei frammenti delle due tazze di v. di Sant'Orsola e San Severino anch'esse rivestite e ugualmente decorate con scene di soggetto cristiano, entrambe al British Museum. Anche considerando questi pochi esemplari insieme a tutto il resto del materiale rinvenuto nella Renania, l'insufficienza dei dati non ci consentirà di fare altro che semplici supposizioni sulla esistenza di una eventuale produzione locale a Colonia.
Le diverse tecniche della lavorazione del v. che, come abbiamo dimostrato o come per lo meno riteniamo assai probabile, sono sorte nell'ambito della produzione di Colonia, pongono il problema di una eventuale organizzazione delle officine della città. Sicuramente non era una sola fabbrica ad avere il monopolio del vetro. È molto più probabile che il presupposto fondamentale dello sviluppo qualitativo della produzione vetraria di Colonia sia stato quello di una sana concorrenza, come è testimoniato per le terrecotte di Colonia stessa.
Bisognerà tener conto inoltre di un altro fattore anche più essenziale, lo sviluppo interno, che ci permetterà di studiare le progressive fasi tecniche e stilistiche dei v. di Colonia. La fase iniziale che, come abbiamo visto, portò sul Reno il v. colorato e contemporaneamente a Colonia le officine stesse, per lo meno quelle che fabbricavano il v. semplice, dura tutto il I sec. e rimane senz'altro una fase italica. La successiva interruzione degli stretti rapporti con l'Italia ed in particolar modo con l'italia meridionale è connessa con il cambiamento di direzione delle vie di grande traffico, verificatosi nel frattempo. Intorno al 100 d. C. sono ultimate le strade che congiungono le province direttamente fra loro; il traffico fra l'Oriente ed il Reno ormai non passa più solo per Roma. Le vetrerie di Colonia che erano già attive, ma che fino a quel momento erano rimaste ad un tipo di lavorazione convenzionale, devono senza dubbio il loro repentino sviluppo a questo contatto diretto con il mondo del tardo ellenismo e dei più antichi centri di produzione del vetro. Naturalmente, a paragone della loro precedente dipendenza dall'Italia, il rapporto con l'Oriente è essenzialmente diverso: sebbene senza dubbio le vetrerie di Colonia abbiano subito molteplici impulsi provenienti dall'Oriente, non vanno considerate in nessuna fase del loro sviluppo come filiali delle fabbriche siriane. Piuttosto da questo momento in poi esse sviluppano uno stile proprio. Tuttavia, la purezza e la severità delle forme vascolari di Colonia è tale, che perfino studiosi di gran competenza esitano a definirle creazioni autentiche di Colonia e tendono piuttosto a considerarle singole derivazioni da prototipi dell'Oriente ellenistico, malgrado là questi tipi non esistano affatto.
La tettonica pura e severa dei v. di Colonia non è mai pregiudicata o nascosta dalla decorazione, anche quando gli elementi ornamentali sono applicati alla buona e liberamente. Proprio la già citata produzione delle tazze diatreta in cui la decorazione consiste in un cestello, lavorato a traforo, che avvolge tutta la superficie del vaso, è sintomatica per la sensibilità stilistica fine e razionale delle vetrerie di Colonia. Le tazze diatreta a rete da un lato e i vasi a serpentina dall'altro, insieme al boccale a conchiglia, rappresentano dal punto di vista tecnico i capolavori dei diatretarii e dei vetrarii. Sotto il profilo storico essi sono testimonianza dello stile proprio ed autonomo dell'arte vetraria dell'Occidente, del gusto e delle tendenze della parte occidentale dell'Impero, l'Occidente latino. La vetreria che ha prodotto questi esemplari non poteva essere una delle tante botteghe disseminate nell'Occidente, ma va considerata come quella che fra tutte deteneva il primato.
Bibl.: Die Denkmaler des römischen Köln, I-VIII, 1928-1967 (a cura di F. Fremersdorf).
(O. Doppelfeld)
7. - Vetro dipinto. Dal punto di vista della tecnica, vanno distinti due tipi di decorazione: quella a smalto, nella quale il v., dopo essere stato dipinto, viene sottoposto ad un'ulteriore cottura, e quella "a freddo", in cui la pittura è protetta solo da un successivo strato di vernice trasparente. I v. ottenuti con quest'ultimo metodo sono evidentemente di assai difficile conservazione, e ce ne restano pochi esemplari.
Le località da cui provengono i recipienti in v. dipinto sono quanto mai varie: dalla Russia meridionale alla Svizzera, dall'Afghanistan alla Pomerania, dall'Etiopia alla Scandinavia; ciò malgrado, i tipi sono in numero piuttosto limitato, e mostrano per lo più una sostanziale unità tecnica e stilistica, tale da permettere di riunirli in gruppi omogenei, in una successione cronologica che va dal I al IV sec. dell'èra volgare. Due almeno di questi gruppi, inoltre, appartengono con sicurezza a fabbriche egiziane, mentre gli altri appaiono ad essi strettamente connessi, da rendere postulabile un'origine ed uno sviluppo prevalentemente alessandrini di questa particolare classe di manufatti.
Il primo e il più antico di questi gruppi comprende due serie, distinguibili per il diverso stile dell'ornamentazione: con uccelli e rami di vite stilizzati il primo (coppe di Locarno e di Khamissa, anforisco di Kerč e anfora di Salamina di Cipro); con decorazione più naturalistica l'altro (in genere, pernici, gazzelle, frutta e ghirlande: coppe di Torino, Olbia, Londra, frammenti di Olbia e del Puy de Dôme). Tuttavia, la contemporaneità cronologica e l'appartenenza ad un'unica fabbrica di ambedue i gruppi è praticamente sicura, oltre che per l'identità della forma, della policromia e della tecnica pittorica (a smalto), anche per la presenza, sul fondo di tutte le coppe, di una specie di marchio di fabbrica, un motivo stellare, assolutamente identico in tutti gli esemplari. A questo stesso gruppo andrebbero inoltre attribuite altre due coppe: quella trovata a Nîmes, con rappresentazione di lotta tra pigmei e gru (ma la tecnica è diversa, trattandosi in questo caso di un v. dipinto "a freddo"), del tutto simile agli altri per forma e proporzioni e quelle di Fraillicourt (andate distrutte nel corso della prima guerra mondiale), che presentavano i soliti soggetti - uccelli e ghirlande - ma espressi con uno stile meno raffinato, più provinciale. Mentre per i precedenti esemplari il Rostovzev pensava ad un'origine alessandrina (seguito in questo dal Silvestrini), per gli ultimi due preferiva l'attribuzione ad una fabbrica provinciale (Italia o Gallia meridionale) soggetta però all'influenza dell'artigianato artistico egiziano.
Che effettivamente questo gruppo di v. sia di produzione egiziana è dimostrato dal ritrovamento ad Ossirinco di alcuni simili frammenti, conservati al Victoria and Albert Museum di Londra. Stilisticamente ed iconograficamente, inoltre, i confronti più pertinenti sono quelli che si possono fare con stoffe copte (ad esempio, quella del Victoria and Albert Museum, Cat. Mostra di Essen, numero 270) e con pitture egiziane, quali quelle di Hermoupolis Ovest (Adriani, Divagazioni, tav. xxvii, 78). Si deve inoltre accennare, in connessione con questi esemplari, ad una lastra circolare di v. di una trentina di centimetri di diametro (ma originariamente assai più grande), scoperta dal De Rossi in un sepolcreto cristiano della via Salaria (ed ora perduta), in cui apparivano raffigurazioni di uccelli esotici. Questa lastra, che costituisce finora un unicum, ha fatto pensare che potesse trattarsi di una di quelle decorazioni parietali in v. di cui ci parlano le fonti letterarie (Plin., Nat. hist., xxxvi, 189; Sen., Epist., 86, 6; Stat., Silvae, i, 5, 41 ss.), e di cui, almeno in un caso, abbiamo una testimonianza archeologica: le lastrine a fondo d'oro che, per il loro soggetto, hanno dato il nome alla Casa degli Amorini dorati (a questo proposito, vanno anche citati i due ritratti dipinti su v., trovati a Pompei e conservati al Museo Nazionale di Napoli, che costituiscono anch'essi, per quanto riguarda il I sec., un unicum e, forse, i due pannelli in v. azzurro con rilievi in bianco: Maiuri, in Boll. d'Arte, xlvi, 1961, pp. 18-23). La cronologia proposta dal Rostovzev, sulla base del bratteato con impronta di moneta di Mitridate trovato insieme all'anforisco di Kerč; è il I sec. a. c.; ma la successiva scoperta della coppa di Locarno, in associazione con materiale datato (soprattutto terra sigillata) faceva più giustamente propendere il Silvestrini per l'età claudio-neroniana, mentre il Lamboglia preferiva una datazione al 20-40 d. C.
Se questo primo gruppo è caratterizzato (con due sole eccezioni) dalla preferenza per la coppa emisferica, tipica del I sec. d. C., l'altra classe di manufatti cui si può attribuire un'origine alessandrina, databile nel corso del II sec. d. C., è composta quasi esclusivamente da bicchieri tronco-conici, in genere costolati. Il gruppo più importante è quello scoperto a Begram (v. vol. ii, pag. 34), in Afghanistan, e che comprende ben 12 esemplari (compresi i frammenti), oltre ad alcune coppe e a rari frammenti di v. dipinti "a freddo". Oltre alle forme, anche i soggetti sono mutati, ed il repertorio arricchito. Abbandonato il genere "natura morta", si preferiscono scene di battaglia, di caccia e pesca, di circo e, soprattutto, di anfiteatro. Esemplari praticamente identici a quelli di Begram sono quelli del Metropolitan Museum di New York (con rappresentazione di ludi gladiatorî, provenienti probabilmente dal Fayyūm), di Algeri e di Lūbsow (Pomerania, perduti nel corso dell'ultimo conflitto), sempre con scene gladiatorie. Particolarmente interessante per la provenienza un frammento al Victoria and Albert Museum, scoperto ad Ossirinco. La provenienza egiziana è quindi sicura, come è del resto provato dal fatto che anche tutti gli altri oggetti di Begram di provenienza occidentale appartengono probabilmente all'artigianato artistico alessandrino (exemplaria di gesso, vasi di porfido, ecc.). Altri elementi probanti, in questo senso, sono forniti dalla scoperta di numerosi frammenti di recipienti di v. dipinto nella necropoli di Meroe; va segnalata, inoltre, la presenza di frammenti di un bicchiere con scena egittizzante tra i v. di Begram (un simile v., già al Cabinet des Médailles, era stato pubblicato da Raoul Rochette all'inizio del secolo scorso). Per quanto riguarda la cronologia, un termine sicuro è fornito dai v. scoperti in Pomerania e in Prussia orientale (bicchieri di Lūbsow e frammento di Pollwitten), databili tra il 150 e il 200 per il materiale concomitante. Alla seconda metà del secolo vanno dunque attribuiti anche i v. di Begram.
Stilisticamente, la decorazione dipinta presenta caratteri di scioltezza e fluidità particolarmente adatti ad esprimere il movimento. I più notevoli qualitativamente sono i frammenti di due coppe con scene di battaglia (museo di Kabul e Museo Guimet), dove il virtuosismo raggiunge il culmine: colori a pieno corpo e diluiti, uso abilissimo dei "lumi" e dello scorcio (mentre la linea di contorno quasi inesistente, serve solo a sottolineare certe linee di forza), mostrano una piena assimilazione delle conquiste della grande pittura tardo-ellenistica. Questo stile di derivazione ellenistica, filtrato attraverso il gusto artistico di età antonina, resterà poi dominante in tutta la metà orientale dell'Impero fino ad età assai tarda (esempio tipico, l'Iliade Ambrosiana). Altri v., invece (quali quello con gladiatori e, soprattutto, quello con scene di caccia e pesca, ambedue al museo di Kabul) tradiscono la mano di artigiani meno colti, più "popolari", mentre in un esemplare (quello con donne che intrecciano ghirlande, sempre al museo di Kabul) appare di già un gusto lineare-decorativo non lontano da quello di certe stoffe copte.
Con il III sec., parallelamente a quanto si può notare in genere per tutta la produzione artistica egiziana, in seguito alla gravissima crisi politica ed economica, si verifica una evidente involuzione. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, comunque, non si può citare neanche un esemplare di v. dipinto databile con certezza dopo i primi decennî del secolo (è incerta la cronologia di quelli di Meroe mentre l'oinochòe con rappresentazione di Apollo e Dafne da Kerč; è attribuibile al 200-210 circa), anche se questa lacuna potrebbe essere del tutto casuale e non significativa, data la ridottissima quantità del materiale a nostra disposizione anche per le altre epoche. Col IV sec., invece, parrebbe di assistere ad una ripresa. Un esemplare databile in questa fase è quello sicuramente egiziano, scoperto a Gat (Fezzan) da una missione italiana, e conservato al Museo dell'Africa a Roma. Esso ricorda, nella policromia e nella tecnica, i prodotti del II sec., ma il soggetto è estremamente impoverito e semplificato.
Più valido, dal punto di vista estetico, il piatto con rappresentazione di gazzella al Louvre (Adriani, Divagazioni, tav. xxv, 73), proveniente dall'Egitto, databile forse al IV-V sec., i cui elementi compositivi, caratterizzati da un tipico horror vacui, e la cui policromia, del tutto astratta e convenzionale, rientrano ormai pienamente nell'ambito della concezione artistica copta (cfr. il complesso di Bāwit e, per la policromia, una stoffa del museo di Cleveland, Cat. Mostra copta di Essen, n. 268). Si noti, inoltre, la decorazione a cuori, di origine persiana, che secondo il Monneret de Villard non appare in Egitto prima del IV secolo.
Fra i prodotti non egiziani, ci si deve riferire principalmente a due gruppi di v. dipinti: quello i cui esemplari sono stati scoperti a Cipro, e l'altro, composto principalmente di pezzi scoperti in Danimarca, ma che provengono probabilmente da fabbriche della zona renana. Il primo gruppo è composto esclusivamente di piatti, ornati con figure di eroti, Nikai, teste maschili e femminili probabilmente di divinità, ecc. Un motivo ornamentale a forma di cuore, che appare su di uno di questi esemplari, è identico a quello del v. del Louvre, prima citato. Questo fatto, oltre allo stile, che mostra strettissime analogie con i tessuti copti, farebbe pensare ad una fabbrica locale con maestranze egiziane, e fortemente influenzate dall'artigianato egiziano. Il Vessberg ritiene di poter attribuire tutto il gruppo al II sec. d. C., ma i suoi argomenti non sono persuasivi (mancano, tra l'altro, i dati di scavo). I caratteri stilistici non consentono invece di risalire prima del III-IV secolo.
L'altro importante insieme, costituito dai varî trovamenti danesi (Nordrup, Varpelev, Himlingöje, ecc.), presenta caratteri di omogeneità altrettanto evidenti. I soggetti (scene di anfiteatro, di caccia, ecc.) sono più o meno gli stessi dei v. di Begram, e anche la tecnica (a smalto) è la stessa. Quello che è del tutto diverso, invece, è lo stile, tipicamente "occidentale". I colori sono in genere piatti, chiusi entro una forte linea di contorno; mancano completamente le lumeggiature, sostituite a volte da un leggerissimo chiaroscuro a tratteggio. L'insieme tende ad esprimere una certa corposità e compattezza, la massa, più che il movimento. Un confronto con i v. di Begram è estremamente istruttivo: nell'identità dei soggetti risulta ancor meglio la fondamentale differenza tra artigianato artistico orientale, legato alla tradizione ellenistica, aulica per eccellenza, e prodotti occidentali, che esprimono un gusto "popolare", "antiellenistico". Tuttavia, è indubbio che queste fabbriche occidentali (poste, probabilmente, nella regione renana) sorsero originariamente sotto l'impulso e con la partecipazione diretta di alessandrini (come risulterebbe chiaro dalla tecnica e dalle iconografie adottate, anche se non ce ne avvertissero le fonti letterarie). La datazione di questi v., assai controversa, è difficile a determinarsi (anche per lo stile popolare dell'ornamentazione); non ci si può allontanare troppo, comunque, dai prototipi alessandrini del II sec., almeno per l'inizio della produzione. È da supporre, inoltre, che la fabbricazione sia durata abbastanza a lungo, perché si notano, tra un esemplare e l'altro, differenze stilistiche anche notevoli. La cronologia più probabile parrebbe quindi il III-IV secolo.
In conclusione, allo stato attuale delle nostre conoscenze, si può schematizzare come segue lo sviluppo della fabbricazione e del commercio del v. dipinto: iniziata in ambiente alessandrino all'inizio dell'èra volgare, la produzione continuò per tutto il I sec. (forma-tipo: la coppa emisferica; soggetti preferiti: nature morte) ed il successivo (forma-tipo: il bicchiere tronco-conico; soggetti predominanti: ludi gladiatorî, battaglie, cacce, ecc.). Parallelamente al progressivo estendersi del commercio egiziano, passando dal I al II sec., riscontriamo la presenza di v. dipinti in zone sempre più eccentriche (zona alpina e Russia meridionale nel I sec., Pomerania e Afghanistan nel II). Ad una decadenza della produzione, manifestatasi in Egitto nel corso del III sec., corrisponde una tendenza delle province a rendersi progressivamente indipendenti, creando numerose fabbriche locali (v. di Cipro e trovamenti danesi), tendenza connessa, del resto, con fenomeni economico-politici ben più vasti. Nel IV sec. si ebbe probabilmente una ripresa (v. del Louvre e di Gât), anche se parziale, e la tradizione del v. dipinto alessandrino sarà tanto forte da continuare fino in epoca araba, dando origine successivamente al "lustro su vetro", che si diffonderà in tutto l'Oriente islamico.
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(F. Coarelli)