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VETRO ORGANICO

di Arnaldo MAURI - Enciclopedia Italiana (1937)
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VETRO ORGANICO

Arnaldo MAURI

ORGANICO È il nome dato alle resine sintetiche che per aspetto e per certe proprietà possono sostituire in alcuni usi il classico vetro siliceo (inorganico).

Sotto tale punto di vista si considerano nella pratica solo due gruppi di resine artificiali: quello ottenuto per condensazione del fenolo (o cres0lo) oppure dell'urea con la formaldeide (v. bakelite), ed il gruppo dovuto alla polimerizzazione di derivati del vinile, dello stirile e dell'acrile.

Malgrado la loro maggiore o minore trasparenza, la tecnologia nega alle resine di condensazione il diritto alla qualifica di "vetro", in contrasto al quale esse sono termosolidificanti e irreversibili nel comportamento al calore e foggiate e riscaldate anche energicamente dopo il loro indurimento, non rammolliscono: carbonizzano. Non vi si può dunque applicare, come per il vetro, il principio del "liquido surfuso", rispettivamente "sottoraffreddato". Usate nell'industria vetraria come strato interposto a lastre di cristallo in "vetri di sicurezza" per automobili e velivoli, sostituendovi i derivati della cellulosa, al pari di questi non diedero soddisfazione a causa d'un rapido ingiallire e della conseguente perdita di trasparenza.

Un rimedio portarono invece negli ultimi anni le resine di polimerizzazione, dalle caratteristiche assai più vicine a quelle del vetro, tanto che, associando per strati anche multipli i due vetri, il siliceo e l'organico, se ne crearono lastre di sicurezza dalla perfetta trasparenza, resistenti al tempo. Ulteriori perfezionamenti nella fabbricazione introdussero poi nell'industria automobilistica ed aviatoria le monolastre di solo vetro organico, preferite per la grande leggerezza (peso specifico 1,18 contro 2,2-2,5 del normale vetro siliceo). Alle resine di polimerizzazione non si può negare il nome di "vetro" e quindi di "vetro organico", poiché col vetro classico esse hanno in comune la struttura molecolare ed il comportamento termico, sebbene entro ambiti di temperatura molto differenti; sono "prodotti termoplastici con perfetta reversibilità": la polimerizzazione finale e la corrispondente durezza possono essere distrutte dal calore con ritorno allo stato di rammollimento. Il nome di "vetro flessibile" o "vetro infrangibile", dato talora a questi prodotti, è errato, perché già adottato, con ragione, per i vetri silicei del tipo "Securit".

Delle resine di polimerizzazione sono maggiormente vicine al vetro le resine acriliche e, meglio, quelle metacriliche. La fabbricazione, per alcuni dettagli ancora segreto di fabbrica, comprende due stadî distinti: la produzione delle combinazioni monomere e la polimerizzazione dei monomeri.

Il primo stadio si può enunciare schematicamente così: per ottenere esteri dell'acrile: l'etilene, sostanza di partenza, attraverso ossido d'etilene ed addensamento d'acido cianico (acido prussico), passa per deidratazione in cianidrina d'etilene, da cui si ricava acido acrilico e, per esterificazione (mediante alcool esterificante), l'estere dell'acido acrilico; per ottenere esteri del metacrile: dall'acetone, sostanza di partenza, attraverso addensamento dell'acido cianidrico per deidratazione e saponificazione si giunge all'acido metacrilico e per esterificazione al suo estere.

Il secondo stadio di fabbricazione richiede il superamento di varie difficoltà, perché i polimeri degli acrili e metacrili si formano anzitutto con grande facilità e talvolta con reazione violenta alle calde pareti dei recipienti, ed essendo essi cattivi conduttori del calore creano squilibrî di temperatura e di densità nella massa. Si ricorre per ciò a recipienti speciali, a regolatori (rallentatori) di polimerizzazione, nonché a eventuali aggiunte di solventi e diluenti, procedimento quest'ultimo che dà prodotti polimerizzati chiari come l'acqua. Oggi s'ottengono blocchi e specialmente lastre, queste da m. 3 per 3 in spessori da 0,5 a 10 mm. e più, esenti da bolle, perfettamente jaline e di trasparenza non inferiore a quella delle migliori lastre di vetro cristallo; sono dotate di pieghevolezza e sopra tutto di grande elasticità. Le proprietà variano a seconda dei polimeri ottenuti e dei monomeri e loro isomeri che hanno preso parte alla polimerizzazione. I polimeri solidi che si ottengono sono tanto più molli quanto più l'alcool esterificante è superiore, ed è per questo che l'estere metilico dà i prodotti polimerizzati più duri: infatti l'estere metilico bolle già a 100° ed il suo polimero non rammollisce che a 75-80°. È dunque soprattutto l'estere dell'acido metilico che viene usato. Questo fatto non permette la sostituzione delle resine al vetro siliceo che in quei casi in cui la temperatura suddetta mai può essere superata. La trasparenza e la rifrazione (1,49 a 20°) rendono il materiale anche pregevole per alcuni scopi ottici, come l'occhialeria, e, grazie alla facile colorazione in tinte delicate, per oggetti d'arte in concorrenza al vetro. Altre sue caratteristiche sono: buona resistenza alla luce ed agli atmosferili; ottima resistenza alla rottura, la quale ad ogni modo avviene in pezzami grossi a spigoli arrotondati; durezza e resistenza alla scalfittura notevolmente inferiori a quelle del vetro siliceo; debolissimo assorbimento d'acqua; buona resistenza a questa, agli acidi minerali diluiti, agli acidi cloridrico e fluoridrico concentrati e diluiti, alle soluzioni alcaline concentrate e diluite, all'olio, alla benzina. Il prodotto brucia senza fiamma; al calore può essere formato a piacimento e allo stato solido presenta una facile lavorabilità come il legno e i metalli.

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