VESPE (lat. scient. Vespidae o Diploptera)
Grande famiglia di Insetti Imenotteri (v.) Aculeati caratterizzati soprattutto dalle ali anteriori che nel riposo si appoggiano al dorso doppiamente ripiegate per il lungo; la forma speciale del corpo, con l'addome ristretto alla base e peduncolato, e i colori contrastati gialli e neri, talvolta anche rossastri, li fanno inoltre riconoscere facilmente. Di statura media (fra gl'Imenotteri), armate le femmine del ben noto pungiglione velenoso, popolano con circa 3000 specie tutto il mondo, prediligendo però (coi 2/3 delle specie conosciute) le regioni tropicali. Vivendo solitarie (ciascuna femmina provvede da sola all'allevamento dei figli) o in società più o meno complicate e popolose, le Vespe costruiscono sempre, con materiali varî, dei nidi, in cui allevano le loro cieche, apode, tozze e delicate larve per le quali o immagazzinano una provvista di prede paralizzate o vanno quotidianamente in cerca di cibo prevalentemente carneo che somministrano elaborato o no, giungendo nelle specie sociali alla costruzione di un vespaio, a una divisione del lavoro e a una differenziazione di caste oltremodo interessanti.
Le Vespe adulte si cibano prevalentemente di sostanze zuccherine: nettare dei fiori, polpa di frutta matura di cui esse intaccano agevolmente la buccia, giovane corteccia di rami d'albero, escrementi zuccherini di Afidi e di Cocciniglie, miele delle Api domestiche che le Vespe rubano invadendo e devastando le arnie, ecc. Oltre a nutrirsene direttamente, certe specie immagazzinano tale miele variamente ottenuto, sia in piccole quantità come alcune Polistes (comprese le nostrane), sia in masse considerevoli e quale provvista per la stagione sfavorevole, e ciò in quelle specie tropicali poliginiche a società permanenti (molti Epiponini americani) che vivono lontano dall'Equatore e necessitano di costante nutrimento. I nidi di queste sono conosciuti dall'uomo che ne fa attiva ricerca, non senza qualche pericolo anche digestivo perché talora il profumato miele delle Vespe, che ha composizione chimica differente da quello delle Api, produce gravissimi avvelenamenti. Ma una dieta carnea entra ugualmente nel regime alimentare di molte specie solitarie e sociali, che consumano sia una parte della preda da portare ai figli, sia una porzione delle provviste già immagazzinate, sia infine il bottino proprio, come molte Vespe nostrane saccheggiatrici di macellerie specialmente di campagna, e altre. Le Vespe sociali adulte sono ghiotte del secreto salivare delle loro proprie larve.
L'alimentazione delle larve è fatta in piccola parte (nelle specie sociali) con sostanze zuccherine, ma si basa soprattutto sulla carne, e prevalentemente su altri insetti. Nelle specie solitarie, come i Rafiglossini e gran parte degli Zetini e degli Eumenini, l'approvvigionamento è fatto prima che i figli nascano, ed in massa; così ad es. gli Odynerus, le Eumenes, ecc., che si scavano un nido o lo fabbricano impastando materiali terrosi, vi depongono attaccato alla parete un uovo (per ciascuna cella), appeso o no ad un filamento, e poi vanno a caccia di larve di insetti varî, specialmente di Lepidotteri, di Coleotteri e di Imenotteri Tentredinidi che essi catturano sulle piante circostanti o anche molto lontane, e che in certi casi snidano da ripari di foglie o estraggono dagli organi vegetali che le ospitano; le paralizzano con una o più punture velenose e le immagazzinano (vive ma immobili) in numero vario, murando poscia il tutto. Avviene però in certi Eumenini africani (ad es., la Synagris spiniventris Ill. e la S. calida L., che in condizioni favorevoli d'ambiente si comportano nel modo generale illustrato sopra) che nella stagione secca, e cioè in periodo di carestia, le femmine nidificanti non riescano a completare sollecitamente, e prima che l'uovo già deposto schiuda, la provvista nella cella pedotrofica; allora alimentano direttamente la larva figlia, fornendole ripetutamente le prede paralizzate nella quantità che riescono a procurarsi e chiudendo poi la cella, completata la scorta di viveri, quando la larva si avvicina alla maturità. Un passo avanti nel sistema di allevamento è fatto, ad es., da un'altra specie africana, l'Odynerus tropicalis Sauss.: la femmina, dopo avere preparata la cella e avervi appeso l'uovo; rimane a guardia di questo fino alla nascita della larva; allora, o poco prima, si affretta a portare una o due piccole prede paralizzate ma intatte, rinnovando la fornitura giorno per giorno e di pari passo con lo sviluppo della figlia fino alla sua completa maturità; dopo di che la mura nella cella per la quiete della ninfosi. Finalmente la Synagris cornuta L. attende regolarmente la nascita della figlia per iniziare l'approvvigionamento, che viene fatto con prede masticate e ridotte a una poltiglia. Ugualmente (e quindi come le Vespe sociali) si comportano lo Zethus cyanopterus Sauss. orientale, ed altri Vespidi solitarî.
Si giunge così al tipo di alimentazione comune a tutti i Vespidi sociali, i quali imboccano le loro larve come fanno gli uccelli con i nidiacei. Le Vespe vanno a caccia di ogni sorta di insetti, specialmente di bruchi e di mosche (per trovare le quali penetrano spesso nelle case), ma aggrediscono anche insetti meglio armati, come le Api, o depredano i nidi di Vespe più deboli; gli Stenogaster delle Filippine rubano i più minuti moscerini impigliati nelle tele dei ragni. Certe forme neotropiche (Protopolybia sedula Sauss., Polybia occidentalis Ol.) sono accaniti cacciatori di Termiti, di cui durante le sciamature esse rimpinzano i proprî nidi facendone ampia provvista. Talvolta, come abbiamo veduto, le Vespe trovano altre fonti di cibo. Per nutrire le larve (e a farlo siano la madre o le altre femmine feconde della società o siano le operaie, e avvenga ciò da parte della bottinatrice stessa o di una delle nutrici rimaste nel nido che da quella ha ricevuto il carico) gli insetti catturati vengono offerti ai giovani già maciullati, privi di ali e di zampe e, in gran parte, delle porzioni sclerificate indigeribili, ridotti ad una molle pallottola che la nutrice depone fra le appendici boccali della vorace larva, la quale (nelle specie in cui ciò è stato notato) depone il boccone, per divorarlo a suo agio, su una sporgenza ventrale della parte anteriore del corpo (trofolopade di G. Grandi, 1934).
Le cure parentali nelle Vespe, come negli altri Insetti sociali, non sono disinteressate. Di fatto le nutrici ottengono dalle larve, in cambio del cibo o anche senza alcuna controprestazione (e infatti i maschi sfruttano i giovani senza offrire nulla), la secrezione di un liquido salivare graditissimo e sollecitato, che sgorga dal labbro inferiore. Questo intimo scambio di alimenti tra i giovani e le nutrici, che W. M. Wheeler ha chiamato trofallassi, è uno dei principali istinti su cui si regge la società.
I nidi che le Vespe formano sono di diversissima costituzione, a seconda della specie che li costruisce. Il comportamento più semplice è quello di parecchi Eumenini, Zetini e Rafiglossini che utilizzano gallerie abbandonate da insetti xilofagi, canne tagliate, rami di rovo e d'altre piante a midollo molle, chiocciole vuote, cavità e interstizî dei muri, ecc., dove le madri elevano, per isolare le celle pedotrofiche, dei setti di argilla o di terra impastata con l'aggiunta o no di pietruzze oppure fatti di frammenti del midollo vegetale nel quale il nido è allogato o anche di pezzi di foglia più o meno masticati e compressi. Ai medesimi gruppi appartengono varî scavatori (ad es., gli Hoplopus fra gli Odynerus) che si affondano nel suolo, soprattutto di natura argillosa e in pareti verticali, rammollendo il terreno con apporto d'acqua o con la saliva e ammucchiando presso l'escavazione le pallottole di terra per poi riutilizzarle oppure disponendole regolarmente intorno all'ingresso e formando così un camino più o meno lungo che poi sarà smontato, pallottola per pallottola, per chiudere il nido pedotrofico ad approvvigionamento avvenuto. La galleria scavata è semplice, a una o più celle, oppure al camino segue una camera in cui sboccano, a raggiera, gallerie d'allevamento.
Regolari costruzioni sono intraprese già da parecchie Vespe solitarie, che generalmente utilizzano per materiale l'argilla più o meno sabbiosa e impastata con la saliva o con acqua e che esse lavorano con le appendici boccali e le zampe anteriori. Le celle degli Eumenini sono isolate e non perfette ed eventualmente riparate in qualche ricovero o possono avere notevole solidità e forma ben definita. Qualcuno riunisce le celle in gruppi che spalma esternamente di una sostanza resinosa nera e viscosa (latice vegetale). L'uso di materiale da costruzione di origine vegetale che compare negli Zetini avvicina queste forme solitarie ai comportamenti delle Vespe sociali; lo Zethus cyanopterus Sauss. delle Filippine, dopo avere impiantata su un ramo una solida base con pasta di foglie masticate, vi eleva con pezzi di foglie tagliati con le mandibole, e reciprocamente incollati, una cella (che ad allevamento terminato sarà completata di chiusura dalla madre), cui ne aggiunge alcune altre, proteggendo tutte con una tettoia dello stesso materiale; il brasiliano Z. lobulatus Sauss. ai brandelli di foglia aggiunge la resina; lo Z. romandinus Sauss. (di cui talora si vedono parecchie femmine lavorare sullo stesso nido, dove però ciascuna ha il proprio gruppo di celle da curare) impiega fibre legnose impastate con sostanza gommosa. I materiali vegetali sono più largamente usati dagli Stenogastrini, che contemporaneamente mostrano più nettamente quei comportamenti sociali che negli Zetini cominciavano a manifestarsi.
Il vero cartone, cioè un materiale ottenuto impastando con la saliva (liquido ad azione non puramente meccanica) e poi modellando in fogli le fibre legnose minutamente sminuzzate con le mandibole, è di impiego generale da parte di quasi tutte le Vespe sociali delle sottofamiglie degli Epiponini, dei Ropalidiini, utilizzata ancora solo da poche specie della prima di queste, talvolta mescolata, almeno nella preparazione dei favi, al legno. Tali nidi sono i veri vespai, oltremodo varî, ma più o meno costanti per ogni singola specie. La genesi di un vespaio è riassunta come segue: la femmina fondatrice comincia con l'attaccare ad un sostegno appropriato, sempre usando il materiale descritto, una solida base che si restringe in un peduncolo più o meno lungo e cilindrico; a questo segue un alveolo o cella, e subito dopo altri due e più alveoli, tutti a forma di prisma (o di tronco di piramide) esagonale e a contatto reciproco, in modo che ogni parete è comune a due celle. Si forma così un favo dotato di una serie di alveoli da un lato solo, quello opposto al peduncolo; esso è talora fissato direttamente al sostegno senza peduncolo, e a sua volta può essere protetto, o meno, da un involucro laminare mono- o pluristratificato fornito di un'apertura di volo. Al primo favo possono seguire un secondo, un terzo, ecc., paralleli ad esso, collegati tra di loro da colonnette oppure fissati all'involucro o a un supporto laterale. Essi sono piani o convessi; le singole celle sono poi chiuse dalle larve mature stesse, con un opercolo sericeo emisferico. Il vespaio può essere costruito in piena aria o in un luogo riparato (soprattutto dalla pioggia), o maggiormente protetto, in un albero cavo o sotterra.
I vespai delle specie nostrane offrono poca varietà di forme. Le Polistes costruiscono un unico favo portato da un robusto peduncolo e privo di involucro. I nidi delle Vespula silvestris Scop., norvegica F. e media De Geer, mai troppo grandi e popolati, dotati di involucro completo, sono generalmente fissati ai rami di arbusto e di cespuglio, fra le foglie. La Vespa crabro L. ("calabrone") predilige i tronchi cavi (dove rinunzia anche all'involucro) o cavità in vecchi muri, ma non è rara, con i suoi grandi (fino a 34-40 centimetri di diametro) nidi friabili, sotto a tettoie, in granai e solai, e talvolta sotterra. Normalmente sotterranei, ma sempre provvisti del relativo involucro, sono i vespai di Vespula germanica F., vulgaris L. e rufa L. Le specie esotiche di queste due sottofamiglie, Polistini e Vespini, seguono pressoché i medesimi principî costruttivi. Maggiore diversità, e complicazioni (e dimensioni che raggiungono i 2 metri), constatiamo nelle regioni tropicali, particolarmente fra le specie poliginiche, fra i Ropalidiini e gli Epiponini.
Di pari passo con l'evoluzione nel sistema di costruzione del nido e nel modo di allevamento della prole procede lo sviluppo delle tendenze sociali e l'organizzazione della società nelle Vespe. I comportamenti dei Rafiglossini, degli Zetini e degli Eumenini solitarî che abbiamo veduto, e che approvvigionano le celle pedotrofiche in una sola volta e prima della nascita della larva, non differiscono in nulla da quelli degli altri Imenotteri Aculeati predatori o melliferi. Dall'approvvigionamento in massa si passa per gradi a quello progressivo fino a giungere all'alimentazione diretta della larva; inoltre dai materiali da costruzione minerali si arriva a quelli vegetali. La madre in diretto contatto coi suoi figli, e cioè la formazione di una vera famiglia, e la successiva comparsa della trofallassi (v. sopra), segnano l'inizio della società. Fra gli Stenogaster vediamo nello St. timidus Will. la madre allevare più larve contemporaneamente, e negli St. depressigaster Rohw. e St. varipictus Rohw. più femmine, identiche fra loro, lavorare sullo stesso nido. Nei Belonogaster africani la società è già evidente: a una femmina che fonda un vespaio se ne aggiungono alcune altre, e anche le figlie (morfologicamente e fisiologicamente identiche alle madri) rimangono nel nido dando però inizio a una certa divisione del lavoro, in quanto le Vespe più vecchie depongono le uova, le più giovani vanno a caccia e alla raccolta di materiale da costruzione, mentre le giovanissime imboccano la nidiata e curano il nido; i maschi rimangono pure in casa, sfruttando ogni sorgente di cibo. Quando il nido ha raggiunto il suo sviluppo definitivo le femmine lo abbandonano in piccoli gruppi, cioè sciamano, per fondarne dei nuovi. La sciamatura è un fenomeno che si constata solo ai Tropici, ed è colà la normale origine delle nuove società. Nei numerosi generi più evoluti degli Epiponini sud-americani, assieme alla costante poliginia (presenza nel nido e lavoro in comune di più femmine fecondate ovificanti), si ha la comparsa della casta delle operaie; sono queste delle femmine non differenti (tranne nella statura spesso inferiore) da quelle feconde se non nella incapacità (non però costante) di generare, dovuta sia ad una insufficiente nutrizione ricevuta e a un eccessivo sfruttamento in secrezione salivare subito durante lo sviluppo larvale (castrazione alimentare), sia all'intenso lavoro a cui sono sottoposte allo stato adulto per le necessità della società e dell'allevamento della covata (castrazione nutriciale). A sviluppo del nido inoltrato e a migliorate condizioni di vita corrispondono la nascita di femmine feconde che si accoppiano con i maschi (regine) e la comparsa di operaie feconde per avvenuta maturazione delle gonadi. Il lavoro concomitante di tutti questi individui porta alla formazione di popolazioni oltremodo numerose, che arrivano a comprendere decine e centinaia di migliaia di Vespe.
Poliginia e sciamature si osservano ancora nei Ropalidiini, i quali sono pure forniti di operaie, però in piccola proporzione. Invece i Polistini e i Vespini olartici formano società normalmente monoginiche (in qualche Polistes esotica vi sono ancora nidi con più femmine feconde e la fondazione può avere luogo per sciamatura), in cui un'unica regina fonda in primavera il vespaio iniziandone la costruzione, alleva le prime operaie e poi da queste è aiutata nel proseguimento dei lavori, provvedendo quindi solo all'ovideposizione; aumenta intanto il numero delle operaie e il nido s'ingrandisce, e in estate cominciano a nascere i maschi e le femmine feconde, queste ultime allevate in appositi alveoli più grandi. Come si è detto, le operaie possono ovificare ma non si accoppiano, e generano solo maschi (arrenotochia). In autunno, dopo la fecondazione delle nuove regine, tutti gli altri componenti della società muoiono e solamente queste ultime, nascoste in un ricovero qualunque, attendono la primavera per fondare, indipendentemente, i nuovi nidi. Alcune specie di Vespe, però, sono prive di operaie, e sono quelle specie che vivono parassite nei nidi di altre a loro molto affini (parassitismo intraspecifico), deponendo le proprie uova negli alveoli di quelle: così si comportano la Vespula austriaca Panz. rispetto alla V. rufa L., la V. omissa Bisch. con la V. silvestris Scop., la V. adulterina Buyss. con la V. norvegica F. (tutte europee), la V. arctica Rohw. con la V. diabolica Sauss. (americane), ecc.
Le società delle Vespe costituiscono, nelle forme più evolute, delle entità potenti e violente, generalmente schivate dagli altri animali. Le punture delle Vespe sono dolorose e, se inflitte in numero, molto pericolose. Incappare in un vespaio, per es. con uno strumento agricolo in quelli sotterranei della nostra Vespula germanica, può costare (se la fuga non è pronta e veloce) serî inconvenienti e in qualche caso disgraziato la vita. Altre specie sono invece pacifiche, e qualcuna nidifica sulle foglie accanto a turbolente Formiche alle quali lascia il compito della difesa.
Delle sottofamiglie di Vespe oggi conosciute (ed escludendo gli Euparagiinae e i Masarinae compresi nella famiglia dei Masaridi, [v.]), i rappresentanti italiani sono in numero esiguo. I Raphiglossinae mancano, e gli Zethinae sono rarissimi. Fra gli Eumeninae sono numerose le specie dei generi Eumenes, Odynerus e affini; gli Stenogastrinae sono assenti, come pure tutti i numerosissimi Epiponinae e i Ropalidiinae. Invece fra i Polistinae sono italiane 8 specie di Polistes, e fra i Vespinae 2 specie di Vespa e 9 di Vespula.