RINALDO, vescovo di Nocera. – Nacque in data incerta nella seconda metà del secolo XII; appartenne alla schiatta comitale dei Monaldi (ramo umbro della stirps longobarda insediata nel versante orientale dell’Appennino, attorno a Camerino), ma nulla di più è noto delle sue origini familiari. Questo dato e le successive scarne notizie derivano da un limitato ventaglio di fonti (tra dirette e indirette), discontinue e lacunose. Si tratta di un piccolo nucleo di documenti riferibili con qualche margine di sicurezza a Rinaldo; cui si aggiunge un “diffuso” medaglione biografico trecentesco, trasmesso dall’opaca mediazione di Durante Dorio e Ludovico Jacobilli, due dei massimi interpreti della storiografia erudita umbra del sec. xvii; e infine di due testi di carattere agiografico, entrambi trecenteschi, il più risalente dei quali, brevissimo (Vita minor), costituisce l’esile canovaccio per lo sviluppo del secondo (Vita maior). Rispetto a questa intelaiatura comune, ciascuna delle fonti sopra ricordate introduce sue proprie informazioni. Il più debole tra i contributi informativi è offerto, prevedibilmente, dalla Legenda beati Raynaldi (o Vita maior). È questa una riscrittura agiografica dalle preminenti finalità devozionali, realizzata forse – come suggerito da d. Gino Sigismondi – dal nobile nocerino Luca Antonio Giacobuzzi tra gli anni Sessanta e Settanta del Trecento. Coerentemente con il proprio scopo, tale rielaborazione non fa che amplificare il compatto e relativamente aspecifico nucleo di dati biografici già presenti nella redazione minor della Vita con ampi calchi di luoghi topici desunti dal modello agiografico per eccellenza del medioevo latino: la Vita Martini Turonensis di Sulpicio Severo. La qualità piuttosto modesta della riscrittura (nota, giova ricordarlo, soltanto grazie a copie cinque- e secentesche, le più importanti delle quali dovute al Dorio e allo Jacobilli) è sottolineata, prima che dal suo sviluppo formulare, dall’andamento piatto con il quale il compilatore sembra liquidare i pochi dati biografici relativi al protagonista. Valga per tutti il caso della breve sezione del primo capitolo della Vita maior in cui è declinata la genealogia di Rinaldo. Essa trarrebbe origine da tre fratelli, giunti in Italia «ex originali ergastulo imperii» (Sigismondi, 1960, p. 40). A costoro, i cui nomi sono Lupo, Vico e Eufredo (o Offredo), sarebbero stati distribuiti distretti territoriali ben precisi, progredienti nel racconto da Oriente a Occidente: a Lupo era toccato il territorio di Camerino; a Vico il mosso territorio di valli e rilievi esteso tra la rocca di Nocera e ciò che restava di Forum Flaminii (oggi S. Giovanni Profiamma, presso Spello); a Eufredo i possedimenti diffusi tra Foligno e Bevagna. Sulle discendenze le informazioni si confondono. Da Lupo sarebbero discesi i nobili di Alviano e de Viscolis; da Vico vescovi e abati «et ex istis fuit beatus Raynaldus»; Eufredo avrebbe avuto una numerosa discendenza, cui sarebbe appartenuto «ultimo Raynaldus Napoleonis verus sacerdos Dei». Rinaldo dunque, sarebbe disceso da una stirpe già insediata in Nocera ed è a questo Raynaldus che deve riferirsi la chiosa, lapidaria ed elusiva, «Raynaldus servus et amicus Altissimi Nucerinae civitatis fuit episcopus» (Sigismondi, 1960, p. 40). Tale chiosa, del resto, non potrebbe riferirsi al Rinaldo di Napoleone (il cui patronimico è associato al nome per l’evidente necessità di distinguerlo rispetto al più insigne omonimo): questi sarebbe appartenuto alla stirpe insediata tra Foligno e Bevagna, ove, del resto, la documentazione superstite attesta per la famiglia Monaldi (sono i conti di Antignano o di Coccorone) più associazioni parentali tra Rainaldo/Ranaldo e Napoleone.
Queste informazioni genealogiche e gli altri dati biografici relativi a Rinaldo sono resi disponibili al redattore della Vita maior dalla cosiddetta Vita minor e da un’opera storiografica di tradizione complessa e stratificata nota come Chronicon Gualdense. I due testi rimontano a un’unica sorgente di informazioni che prima François Dolbeau, poi Isabelle Heullant-Donat (con Erminia Irace) hanno convincentemente proposto di identificare nel frate minore Elemosina, cronista e poligrafo attivo presso il convento di S. Francesco di Gualdo nella prima metà del Trecento. Oltre alle opere superstiti (il Lezionario di san Facondino e una Cronaca universale, entrambi trasmessi da codici autografi), si è potuto attribuire a fra Elemosina anche un Leggendario (noto attraverso le trascrizioni di Angelo Colocci, vescovo di Nocera tra 1537 e 1545, di Ludovico Jacobilli e degli eruditi Vincenzo Armanni e dom Costanzo Gaetani tra XVII e XVIII secolo) e una Cronaca di Gualdo, sopravvissuta nella doppia rielaborazione redatta attorno al 1570 dallo spregiudicato erudito umbro Alfonso Ceccarelli (le Historiae antiquae civitatis Tadini e, appunto, il Chronicon Gualdense), a sua volta trasmessa – con tagli e interpolazioni – dalle trascrizioni di Dorio e di Jacobilli nel XVII secolo. Il riscontro delle informazioni genealogiche relative a Rinaldo su queste fonti dà esiti positivi. Sia la vita inserita da fra Elemosina nel Leggendario di S. Francesco (la Vita minor, appunto), sia il Chronicon Gualdense assegnano Rinaldo alla stirpe di Vico (nel leggendario si dice «de nobile stirpe filiorum Vicci ortus fuit», nel Chronicon «de stirpe Vichi processerat de Pustiniano» (Sigismondi, 1960, pp. 40, 23)). Solo il Chronicon, invece, si attarda sulla sorte dei tre capostipiti, sia pure invertendo le informazioni relative ai nomi di Lupo e Eufredo/Offredo: da quest’ultimo discenderebbero i signori «de Aveano e de Vasculis», mentre da Lupo, titolare dei possedimenti tra Foligno e Bevagna, sarebbe disceso Rainaldo di Napoleone. Una lieve discrepanza che è facile tentazione attribuire alla trasmissione ‘attiva’ offerta a questi testi dagli eruditi della prima età moderna.
Rinaldo scelse di praticare la vita eremitica nell’ambito della regola camaldolese, con la quale un primo rapporto è forse documentato nel 1199. Il 9 febbraio di tale anno, infatti, Giovanni, priore di Fonte Avellana, col consenso di Giovanni priore di S. Maria di Vallemergo sottopose alla giurisdizione del Comune di Fabriano tutti gli uomini viventi nei territori posseduti dai due eremi tra Sentino e Fabriano. A sostenere l’azione del priore di S. Maria comparivano due monaci di Vallemergo, Trasmondo e Rainaldus, il primo identificabile con il venturo vescovo di Senigallia (1203-23), il secondo – sia pure ancora per ipotesi – proprio con Rinaldo.
Questa fase eremitica della vita di Rinaldo trova nel dialogo tra Vita minor e Chronicon utili precisazioni. La Vita minor (al pari della maior) ne ricorda esclusivamente l’ingresso nell’eremo di Fonte Avellana. Il Chronicon, invece, nel ricordare come entrambi i versanti dell’Appennino, grazie all’abbondanza di corsi d’acqua e boschi, fossero una vera tebaide di monaci ed eremiti («heremitae solitarii»), ricorda tra questi ultimi anche «sanctus vir Raynaldus», dedito a una perfetta «vitam heremiticam» presso una cella che all’epoca di fra Elemosina (dunque a più di un secolo di distanza) era ancora esistente (Sigismondi, 1960, p. 24).
La più continua documentazione relativa a Rinaldo si registra tra il 1217 e il 1218, quando l’eremita, ormai entrato in Fonte Avellana, ne divenne priore (stando al tabularium dell’eremo, il 31 dicembre 1216 era ancora in carica il predecessore Giovanni). Nel 1217, in forza del ruolo istituzionale nell’ambito della congregazione, su incarico di Riccardo vescovo di Fano e monaco avellanita, Rinaldo fece parte coi vescovi di Senigallia e di Ancona (rispettivamente, il già citato Trasmondo e Gerardo, camerario dell’Ordine camaldolese) di un collegio incaricato di dirimere il grave conflitto sorto con il podestà cittadino Alberghetto; ma l’arbitrato (ricordato nella bolla del 30 settembre 1217 con la quale Onorio III scomunicò il podestà e i suoi seguaci) fu privo di esito. Fu ancora Onorio III a indirizzare, il 7 aprile 1218, a Rinaldo priore e agli eremiti di Fonte Avellana la protezione apostolica e un’ampia conferma dei beni e degli iura dell’eremo. Il 6 e il 14 settembre dello stesso anno, poi, in quanto priore Rinaldo presenziò a Cingoli e Senigallia alla redazione di due documenti relativi a possessi avellaniti. Il 12 dicembre 1218, infine, il nome di Rinaldo precede quello del nuovo priore di Fonte Avellana, Berardo, e del cellario dell’eremo, Liberio, segnalando la fine di quella esperienza istituzionale in favore (o in vista) di un nuovo e più prestigioso incarico.
Il termine del brevissimo priorato di Rinaldo durato poco più di un anno, si immagina, infatti, coincidente con la sua elezione al soglio episcopale di Nocera: alla fine del 1218, dunque, o agli inizi del 1219. La carriera episcopale di Rinaldo è del tutto sguarnita di attestazioni documentarie e di eventi storicamente accertabili. A illustrarla soccorrono soltanto le due Vitae, il cui scoperto intento agiografico, con rodata retorica di genere, è di mostrare il vescovo trasferire nell’ambito pastorale i rigori della propria tempra eremitica. La bolla di conferma della consacrazione da parte di Onorio III (oggi deperdita) è attribuita da Jacobilli al 1222 e da Ughelli al 1223.
Anche la data di morte è incerta. La Vita minor di fra Elemosina, condizionata dal contesto liturgico del leggendario per cui venne redatta, menziona il 9 febbraio («virtutibus ornatus et sanctitate migravit ad Dominum die viiii intrante Februario»), ma quanto all’anno è assolutamente vago («circa annos Domini mccxvii»), e dà spazio solo alla coincidenza temporale cruciale per un minore: «temporibus beati Raynaldi florebat beatus Franciscus et beata Clara» (Sigismondi, 1960, p. 32). Sulla base della Vita maior si può invece ragionevolmente collocare la morte di Rinaldo tra il 1222 e il settembre 1224.
Ugo (anch’egli eremita avellanese) predecessore di Rinaldo nell’episcopato sarebbe infatti morto nel 1222, mentre il successore Pelagio gli sarebbe subentrato nel 1226: «unde videtur – chiosa il responsabile della Maior – quod beatus Raynaldus tribus annis episcopus fuit» (Sigismondi, 1960, p. 45). In realtà Pelagio è menzionato come vescovo di Nocera già in un documento del 26 settembre 1224.
Attorno a Rinaldo si diffuse una profonda fama di santità. Il successore Pelagio ebbe cura di farne trascrivere i miracoli (che sono parte integrante della Vita maior) e di collocarne le spoglie sull’altare maggiore della cattedrale, così indicandone il corpo degno di venerazione e, quindi, proclamandone la santità. Nel 1248 le truppe di Federico II attaccarono Nocera e ne devastarono la cattedrale, ma la tomba di Rinaldo rimase intatta. Il vescovo, ormai santo, fu proclamato patrono della diocesi e le sue spoglie furono traslate nella chiesa di Santa Maria dell’Arengo, cui venne assegnata la funzione di cattedrale.
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