DAVIDE, vescovo di Benevento
Di lui non sappiamo quando- nacque, né se fosse di origine beneventana e di stirpe longobarda. Probabilmente già prima di divenire vescovo dovette frequentare l'ambiente di corte e in quell'ambito pote forse conoscere Paolo Diacono - allora ospite di Arechi II -, del quale condivideva l'amore per la cultura ed il gusto per la poesia.
La sua elezione alla cattedra vescovile di Benevento dovette avvenire in un arco di tempo compreso fra il novembre del 781 e l'ottobre dell'anno seguente, dal momento che in un documento da lui rilasciato al monastero di S. Maria in Locosano, datato novembre 795 (Chronicon Vulturnense, n. 331 leggiamo che correva allora "anno episcopatus nostri... quarto decimo". Il Federici, a proposito di tale indicazione cronologica, ipotizzava, in una nota al documento, una corruzione del testo e proponeva di spostare la data ai primissimi mesi del 787; non spiegava però il motivo dei suoi dubbi e della sua datazione che risulta, pertanto, sostanzialmente ingiustificata.
Nulla sappiamo dei primi anni del suo episcopato sino al 787, quando troviamo il D. attivamente impegnato nelle vicende politiche che travagliavano il suo paese. Nel marzo di quell'anno, infatti, molto probabilmente prese parte ad un'ambasceria inviata dal principe Arechi II a Carlo Magno per indurre il sovrano franco a firmare un accordo di pace.
Alla caduta del Regno longobardo nel 774Arechi, forse anche per la stretta parentela che lo legava agli ultimi sovrani longobardi, Desiderio e Adelchi, si era in qualche modo sentito erede della tradizione longobarda e così, assunto nello stesso 774il titolo di principe, aveva dato prova di essere deciso a mantenersi indipendente anche dal re franco. Sollecitato dalle pressanti richieste del papa Adriano I, che vedeva nel crescere della potenza beneventana un pericolo per l'autonomia e per l'integrità territoriale del neonato Stato della Chiesa, ma indotto anche da considerazioni politiche più generali, Carlo, una volta superate una serie di difficoltà interne, che lo avevano tenuto impegnato in Francia sino alla metà del 786, si era risolto a muovere contro Benevento. Giunto a Roma con il suo esercito nei primi giorni del 787,aveva ricevuto una delegazione beneventana, capeggiata dallo stesso figlio primogenito di Arechi II, Romualdo, e incaricata di avviare trattative per una pace tra il principe longobardo ed il sovrano franco. Indotto dalle pressioni del papa e da quelle dei suoi ottimati, Carlo aveva allora respinto ogni ipotesi di accordo. Aveva anzi trattenuto presso d:i sé Romualdo ed aveva ripreso le operazioni militari. Entrato, nei primi mesi del 787, in territorio beneventano, aveva puntato su Capua, l'aveva assediata e vi si era attestato. Vi si trovava ancora quando, nel marzo, Vi giunse la delegazione di cui faceva parte il vescovo di Benevento.
L'ambasceria, di cui D. era forse il capo, e nella quale svolse in ogni caso un ruolo senza dubbio di rilievo, raggiunse il suo obiettivo. Il presule riuscì infatti a convincere il re a desistere da ulteriori operazioni militari evitando così all'esercito franco una campagna che si prospettava tutt'altro che facile. Lo indusse inoltre a stipulare - ma non conosciamo con esattezza le precise condizioni - la pace con Arechi II e a sgomberare dal territorio del principato. Riuscì anche a stabilire buoni rapporti con Carlo Magno, dato che quest'ultimo, il 22 marzo di quell'anno sempre a Capua, gli concesse un diploma, nel quale venivano confermati tutti i beni ed i privilegi di cui aveva goduto fino a quel momento la Chiesa beneventana, alla quale veniva anche conferita l'immunità regia (Diplomata Karolinorum, 156).
Di questa ambasceria ci parla solo l'anonimo autore del Chronicon Salernitanum, secondo il quale essa era costituita dai vescovi più eminenti delle diocesi del principato. Tutte le altre fonti, sia di tradizione franca sia di tradizione longobarda, accennano ad una seconda ambasceria beneventana a Carlo Magno, della quale avrebbero fatto parte alcuni messi e, secondo alcune fonti, il figlio minore del principe Arechi, Grimoaldo. Data la natura spesso favolistica e leggendaria dell'opera, la notizia data dal Chronicon ha goduto di scarso credito presso gli storici che in genere hanno ritenuto plausibile di tutta la narrazione un unico particolare, quello relativo alla presenza di D., confermata dal diploma carolingio in favore della Chiesa di Benevento e soprattutto dalla coincidenza di luoghi e di date esistente fra questo documento e gli avvenimenti che accaddero in quel periodo.
Quando il 21 luglio 787 improvvisamente morì, a Soli 25 anni di età, il figlio primogenito di Arechi, Romualdo, D. fu incaricato di comporre il testo dell'epitaffio, che fu apposto sulla tomba del giovane principe: conferma questa, dell'importante ruolo politico svolto dal presule in questi anni e dello stretto legame che lo univa alla famiglia del principe di Benevento.
Si tratta di una composizione di 14 distici elegiaci in cui D., il cui nome compare esplicitamente negli ultimi due versi, oltre a manifestare tutto il suo dolore per l'improvvisa morte del giovane principe, ne sottolinea non solo le virtù morali ed il coraggio, ma anche l'ampia cultura. Il presule esprime inoltre le sue preoccupazioni per i risvolti politici di questa morte improvvisa. In conseguenza al trattato di pace con i Franchi, nel marzo di quell'anno erano stati consegnati a Carlo Magno, come ostaggi, dodici o, secondo altre fonti, undici nobili ed il fratello minore di Romualdo, Grimoaldo, che era stato condotto in Francia. Questo fatto, dopo la morte di Romualdo, rendeva grave il problema della successione in quanto veniva a mancare chi, alla morte di Arechi, potesse sostituirlo sul trono. Perciò D., che manifesta in tutto l'epitaffio (Chronicon Salerititanum, cap. 21) un fiero spirito patriottico e mostra un sincero attaccamento alle istituzioni ed all'autonomia del principato beneventano, definisce Romualdo "Unica spes patrie" e, memore del pericolo corso pochi mesi prima di fronte alla minaccia di un'invasione franca, non può fare a meno di ricordare quegli avvenimenti e di biasimare l'"ira Gallorum" della quale egli stesso, come beneventano, era stato vittima.
Pochi giorni dopo, i timori del D. trovarono conferma: il 26 agosto Arechi II morì a Salerno, lasciando il principato privo della sua guida. Solo molti mesi dopo, in seguito alle ripetute richieste di Adelperga, la vedova di Arechi, e sulla base di complesse considerazioni di ordine politico, Carlo concesse a Grimoaldo il permesso di rientrare in patria, ottenendone in cambio un giuramento di fedeltà e la promessa di ottemperare ad una serie di condizioni che avrebbero dovuto sancire la definitiva rinuncia ad ogni autonomia da parte del principato. Nella prima metà del maggio del 788 Grimoaldo poté dunque rientrare in patria per assumere il titolo ed i poteri di principe.
Le fonti raccontano di grandi festeggiamenti tenutisi a Benevento per celebrarne il ritorno, mentre nulla riferiscono a proposito di cerimonie per la sua incoronazione; tuttavia, se ci basiamo su quanto dicono il Chronicon Salernitanum e Leone Marsicano a proposito dell'unzione e dell'incoronazione del di lui padre Arechi nel 774, possiamo azzardare l'ipotesi che D., in quanto vescovo della capitale, abbia potuto svolgere un ruolo importante nella cerimonia per l'incoronazione di Grimoaldo I. Nel giugno del 789 il nome di D. compare in un "praeceptum. firmitatis" con il quale Grimoaldo I conferma, "per rogum Davidis reverendissimi episcopi", ad un certo Trasulfo tutti i beni che erano appartenuti al padre di questo, il defunto Giovanni (Chronicon... Sanctae Sophiae, f. 102). Legato alla sua attività episcopale è l'ultimo documento nel quale troviamo il nome di D.: si tratta del "privilegiurn concessionis" del novembre del 795, atto con cui D., "piscopus Sancte Beneventane et Sipontine Ecclesie" aveva donato al monastero femminile di S. Maria in Locosano perché venisse restaurata, la chiesa di S. Felicita a Montemarano, da lungo tempo abbandonata.
Il documento, il secondo emanato da un vescovo beneventano che sia a noi giunto, offre particolari motivi d'interesse, fra l'altro per la sua intitulatio, nella quale D., oltre a definirsi, con un'espressione solitamente impiegata in quell'epoca dai papi ed estesa ai vescovi solo in tempi più recenti "servus servoruni Dei", ricalcando così il formulario pontificio, si dice anche "piscopus Sancte Beneventane et Sipontine Ecclesi". Il documento rappresenta dunque, per questa seconda formula, la prima testimonianza di un modello di "intitulatio" che venne in seguito abitualmente utilizzata dai vescovi e poi dagli arcivescovi di Benevento, fin quasi alla metà dell'XI secolo.
All'attività di D. sono riconducibili due brevi composizioni, sulla cui attribuzione si è lungamente discusso: un sermone pronunciato per la festa in onore di Maria Vergine, che si celebrava a Benevento il 18 dicembre, ed il testo per l'epitaffio di Cesario, il figlio del duca e poi anche vescovo di Napoli Stefano II, morto a 26 anni, il 20 sett. 188.
Il sermone è stato a lungo attribuito ad un presunto Davide I, vescovo di Benevento dal 600 al 603, che lo avrebbe pronunciato in occasione della consacrazione della cattedrale della città. In realtà, recenti studi hanno dimostrato l'inesistenza del vescovo Davide I e che l'edificazione della cattedrale non può essere, fatta risalire fino agli inizi del secolo VII. Autore del sermone è dunque il D., che nella sua predica invita i fedeli a lodare e venerare la Vergine, sia perchè il Salvatore, nascendo pochi giorni dopo, possa trovare nei loro cuori una dimora pronta ad accoglierlo, sia perché in quello stesso giorno viene celebrato l'anniversario della consacrazione della cattedrale, dedicata appunto a Maria, "templum Dei facta" quando fu scelta per accogliere nel suo ventre il Signore. Non è possibile ricavare dal testo del ermone elementi che ci permettano di stabilire quando e per quale circostanza sia stato composto. Del tutto infondata l'ipotesi, che pure è stata avanzata, che D. abbia provveduto alla consacrazione del monastero beneventano di S. Sofia, consacrazione che deve invece essere fatta risalire all'anno 760 circa, quando D. non era ancora vescovo.
L'epitaffio per Cesario è un componimento acrostico di 15 distici elegiaci (le iniziali dei singoli versi formano le parole "Caesarius consul"); non reca alcuna indicazione che permetta di risalire al suo autore, ma numerosi indizi stilistici e lessicali ed una notevole somiglianza con l'epitafflo di Romualdo hanno spinto molti studiosi a ritenere D. autore anche di quest'opera. Il fatto poi che Cesario sia vissuto per alcuni anni a Benevento come ostaggio del principe Arechi e che quindi possa aver conosciuto D. e possa essersi legato al presule con vincoli d'affetto, potrebbe spiegare il motivo per cui uno straniero sarebbe stato incaricato di comporre questo epitaffio.Nei primissimi mesi del 796 D. morì, secondo quanto sembra potersi ricavare da una epigrafe ora murata sulla facciata della cattedrale di Benevento e pubblicata dal Silvagni, in cui, pur non nominando espressamente D., viene pianta la morte, avvenuta "principiante anno DCCXCVI", di un famoso vescovo, ricordato, oltre che per la sua attività pastorale, anche come "summus poeta". Considerando la concordanza di luogo e tempo e le caratteristiche del personaggio, si può ritenere con quasi assoluta certezza che il vescovo di cui qui si parla sia Davide.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 4939: Chronicon Beneventani monasterii S. Sophiae, f. 102; Leone Marsicano o Ostiense, Chronica monasterii Casinensis, I, 8, a cura di W. Wattenbach, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, VII, Hannoverae 1846, p. 586; Epitaphia Romualdi et Caesarii, a cura di E. Dümmler, ibid., Poetae Latini Aevi Karolini, I,Hannoverae 1881, pp. 100, III ss.; Diplomata Karolinorum, a cura di E. Mülbacher-A. Dopsch-J. LechnerM. Tangl, ibid., Diplomata Karolinorum, I,Hannoverae 1906, n. 156, p. 211; Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, a cura di V. Federici, I, Roma 1925, in Fonti per la storia d'Italia, LVIII, pp. 248 s. e n. 33; A. Silvagni, Monumenta epigraphica Christiana, IV,2, Civitate Vaticana 1943, introduzione e tav. II, 1; Chronicon Salernitanum, a cura di U. Wersterberg, Stockholin 1956, in Acta Universitatis Stockholmensis, 3, pp. 13-18, 26 s.; M. (della) Vipera, Chronologia episcoporum et archiepiscoporum metropolitanae Ecclesiae Beneventanae, Neapoli 1636, pp. 40-50; P. Samelli, Memorie cronol. de' vescovi ed arcivescovi della S. Chiesa di Benevento, Napoli 1691, pp. V, 39-44; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, VII,Venetiis 1721, col. 819; VIII, ibid. 1721, coll. 34-39; S. Borgia, Memorie istoriche della pontificia città di Benevento, I,Roma 1763, pp. 39-42, 69 s.; III, ibid. 1769, p. 44 in n.; A. Di Meo, Annali critico-diplomatici del Regno di Napoli, III,Napoli 1797, pp. 123. 146-50, 172, 190 s.; XI, ibid. 1810, p. 227; S. Abel, Jahrbücher desfránkischen Reichs unter Karl dem Grossen, I,Berlin 1866, pp. 467 s., 473; E. Robiony, Le guerre dei Franchi contro i principi di Benevento, Napoli 1901, pp. 43-46, 72; R. Poupardin, Etudes sur l'hist. des principautés lombardes de l'Italie mérid. et de leurs rapports avec l'Empire franc, in Moyen Age, s. 2, X (1906), pp. 256, 260; Id., Les institutions politiques et administratives des principautés lombardes de l'Italie mérid., Paris 1907, p. 70; O. Bertolini, I docum. trascritti nel "Liber praeceptorum Beneventani monasterii S. Sophiae" ("Chronicon S. Sophiae"), in Studi di storia napol. in onore di M. Schipa, Napoli 1926, p. 29, n. 96; F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del sec. VII, I, Faenza 1927, pp. 262 s.; F. Bartoloni, Note di diplomatica vescovile beneventana, in Atti d. Accademia naz. d. Lincei, CI. di sc. mor., stor. e filol., s. 8, V 0950), p. 444; A. Zazo, Le chiese parrocchiali di Benevento del XII-XIV sec., in Samnium, XXXII (1959), pp. 75 s.; P. F. Kehr, Italia pontificia, IX, Berolini 1962, p. 46; O. Bertolini, Carlomagno e Benevento, in Karl der Grosse, a cura di H. Beumann, I, Düsseldorf 1965, pp. 634 n. 129, 646; M. Rotili, La diocesi di Benevento, in Corpus della scultura altomedioevale, V, Spoleto 1966, p. 29 n. 1. Sulla produzione letteraria di D.: B. Capasso, L'epitaffio di Cesario, console di Napoli, in Arch. stor. per le prov. napol., IV (1879), pp. 537-50; M. Schipa, Storia del ducato napoletano, Napoli 1895, p. 76;H. Barré, La fite mariale du 18 décembre à Bénévent au VIIIe siècle, in Ephemerides Mariologicae, IV (1956), pp. 451-61 (dove si trova edito il sermone attribuito a D.); H. Belting, Studien zum Beneventanischen Hof im 8. Jahrhundert, in Dumbarton Oaks Papers, XVI (1962), pp. 147, 154 s., 159, 167; H. Barré, Un homéliaire bénéventain, in Mélanges E. Tisserant, VI,Città del Vaticano 1964, pp. 90, 93-97, 102; N. Cilento, Civiltà napol. del Medioevo nei secc. VI-XIII, s. I. né d. [ma Napoli 1969], pp. 17-21; F. Grassi, Vere tu Domina Sancta Maria, Benevento 1972, pp. 5-24, 41 s.; M. Rotili, La cattedrale di Benevento nell'Alto Medioevo, in Boll. di st. d. arte del Centro studi Per i nuclei antichi ed i docc. artist. d. Campania merid. (Università degli studi di Salerno), I (1973), pp. 3-14; A. Zazo, Diz. bio-bibl. d. Sannio, Napoli s. d. [ma 1973], pp. 2, 115, 309,381;F. Grassi, Sancta Maria de Episcopio, Benevento 1975, pp. 29, 31 s., 34 s. 43-46; G. (De) Nicastro, Benevento Sacra, a cura di G. Intorcia, Benevento 1976, pp. 21, 23, 244 L. 329 s.