SATURNIO, VERSO
. È (ed era già dagli antichi) chiamato così il verso in cui erano composti i più antichi carmi della letteratura latina: elogia quali quelli degli Scipioni e di A. Atilio Calatino; i praecepta del vates Cn. Marcio; ma anche opere di personalità storiche meno evanescenti: le sententiae di Appio Claudio Cieco; la versione di Livio Andronico dell'Odissea omerica; il Bellum punicum di Cn. Nevio. Il nome allude all'Italia, saturnia tellus, e all'età nella quale su essa regnò Saturno, cacciato dal cielo. Il saturnio è dunque sentito quale italico, autoctono: per Ennio, che lo sbandì dall'epopea, sostituendogli il greco esametro, esso è il verso nel quale cantavano i Fauni e i vati; agli orecchi di Orazio suonava ispido (horridus). Questo in verità non significa molto, perché Orazio non mostra comprensione neppure per la squisita arte metrica di Plauto (v. metrica, p. 105). In verità, per effetto appunto della riforma enniana, il saturnio scomparve prestissimo; e le condizioni prosodiche, profondamente mutate, ostacolavano l'intelligenza del. suo ritmo già ai critici dell'ultima età repubblicana e di quella augustea.
I metrici del sec. XIX proposero sul saturnio ipotesi puramente fantastiche, come quella che esso fosse fondato, diversamente da ogni altro metro antico, non già sulla quantità ma sull'accento, ch'essi ingenuamente, ritenevano, anche per un periodo così antico, espiratorio (cfr. in contrario Prosodia), come se fosse possibile che Livio Andronico avesse composto versi su due principî differenti, i trimetri e i tetrametri quantitativi e i saturnî accentuativi. Solo nel 1905 Fr. Leo, armato della conoscenza della metrica greca e della prosodia plautina, dette analisi convincenti dei non moltissimi saturnî che ci sono conservati. Ogni saturnio è composto di due cola, divisi da dieresi, dinnanzi alla quale (come alla fine del verso) sono ammessi iato e syllaba anceps. Il primo colon è normalmente un dimetro giambico catalettico (dunque ⌣-⌣-⌣--), il secondo un itifallico (-⌣-⌣--) o un reiziano × - × - - (la crocetta indica tesi libera, dunque breve oppure lunga oppure due brevi). Le sostituzioni che si trovano sono quelle che s'incontrano regolarmente anche nella poesia greca, per es., per il primo colon nei cantica giambici della tragedia, tranne che (come nel senario latino di fronte al trimetro greco) è qui abolita la distinzione tra sede pari e sede dispari; sono ammesse tesi bisillabe per il secondo membro come per il reiziano in Euripide e Aristofane. Il saturnio ha normalmente fin di parola anche dopo la seconda arsi di ciascuno dei due cola; in queste due sedi è ammessa syllaba anceps. Sia queste osservanze sia queste libertà hanno analogie nel senario e nel settenario: la relazione del saturnio con i versi greci corrispondenti è dunque anche per questo rispetto analoga a quella tra il senario e il trimetro, e rispettivamente tra il settenario e il tetrametro: la metrica latina arcaica, quant'è più libera di quella greca rispetto a sillabe ancipiti, di altrettanto è più severa nel regolare il rapporto tra fin di parola e fin di piede.
Il Leo spiegava l'identità tra il recitativo saturnio romano e i metri lirici greci nominati, con l'ipotesi che sia le forme greche sia le forme italiche risalissero indipendentemente a esemplari indoeuropei. Questa ipotesi, generalmente accettata, appare assurda. Che un metro indoeuropeo si conservi soltanto in greco e in italico, è naturale solo per chi è convinto di un'unità greco-italica alla quale nessuno più crede. Inoltre, noi ricostruiamo abbastanza bene da poesia vedica, avestica e eolica, forme poetiche indoeuropee: esse sono caratterizzate da numero fisso di sillabe e libertà quantitativa della prima parte di ogni verso. Il saturnio non ha né l'uno né l'altra. Ancora: quasi ognuna delle forme in cui si presenta ciascun colon del saturnio trova riscontro in poesia greca. Ora è inverosimile che uno stesso verso a distanza di secoli si sviluppi nello stessissimo modo in paesi e in lingue differenti. Sembra considerazione decisiva che il saturnino (come i cantica del teatro greco) ha la libertà di sciogliere una lunga in due brevi. Questa è, a quanto pare, un'innovazione greca e soltanto greca (una pari innovazione in poesia indiana tarda, del sec. II a. C. in poi, non ha per il problema alcuna importanza, appunto a cagione della data recentissima, che esclude connessione con problemi i ndoeuropei).
Secondo il Pasquali il saturnio è la sintesi romana di cola derivati per via popolare in età antichissima da poesia greca. I Romani hanno preso i cola, non i singoli versi, perché il carmen fratrum arvalium ci mostra ancora uso di cola singoli accanto ai versi completi. Non si opponga che rapporti cosi stretti tra Roma e la Grecia in età antica appaiano poco probabili: si pensi che proprio il carmen arvale ha un grecismo sacrale triumpe e che l'alfabeto romano è di origine greca, se pure forse trasmesso attraverso l'etrusco. A Roma queste forme greche, ioniche, saranno venute proprio dalla euboica, ionica, Cuma. Né si opponga che anche due iscrizioni di Corfinio in dialetto peligno sembrano scritte in saturnî: quelle iscrizioni appartengono a età sillana, dunque tarda, e le loro forme metriche deriveranno dal latino.
Anche il saturnio, come il senario e il settenario da Livio Andronico, deve essere stato regolato da una singola persona, ancorché il nome di questa sia e debba rimanere ignoto. Essa ubbidì allo spirito della lingua latina come secoli più tardi Livio Andronico, trasformando i modelli greci in quello stesso modo in cui Livio Andronico mutò il trimetro e il tetrametro. È lecito aggiungere che il parallelismo delle innovazioni è un forte argomento a favore della dottrina della derivazione diretta dal greco, com'è qui esposta.
S'intende che i Romani avevano già una loro forma d'arte anteriore all'influsso greco: essa consisteva in una prosa ritmica, caratterizzata da isicolia e allitterazione, quali ce lo mostrano numerose formule sacrali. Forme analoghe avevano i due popoli la cui lingua è originariamente più prossima al latino, i Celti e i Germani. La storia delle forme metriche latine, qual è qui tratteggiata quasi simbolicamente per il saturnio, è perfettamente analoga alla storia della lingua: mediterraneizzazione, grecizzazione di una metrica fondata originariamente su tutti altri principî, ma trasformazione originale degli elementi assorbiti.
Bibl.: Senza valore è tutto ciò che precede Fr. Leo, Der saturnische Vers (Abhandl. der göttinger Gesellschaft, N. F., VIII, 5, Berlino 1905) che è ancora fondamentale; la dissert. di H. Bergfeld, De versu saturnio, Marburgo 1909, contiene interessanti ricerche particolari sulle cesure. L'articolo di W. De Groot, Le vers saturnien littéraire, in Revue des études latines, XIII (1934), p. 284 segg. pare piuttosto un passo indietro. Un accenno alla possibilità della derivazione del saturnio dal greco è già in Fr. Altheim, Epochen der römischen Geschichte, Francoforte sul M. 1934, p. 224 seg.; v. poi G. Pasquali, Preistoria della poesia latina, Firenze 1936. Che la soluzione delle lunghe è innovazione greca, ha già mostrato A. Meillet, Les origines indo-européennes des mètres grecs, Parigi 1923, p. 43 segg., il quale si è dimenticato di fenomeni analoghi, ma tardi e indipendenti, nella poesia indiana. Per la prosa ritmica italica, cfr. C. Thulin, Italische sakrale Poesie und Prosa, Berlino 1906; Ed. Norden, Antike Kunstprosa, Lipsia 1909, p. 156 segg. (e supplementi).