Vedi Verso l'istituzione del p.m. europeo dell'anno: 2014 - 2015
Verso l'istituzione del p.m. europeo
Vengono esaminati i profili critici della proposta di regolamento adottata dalla Commissione, assieme alle prime reazioni delle istituzioni parlamentari, sia a livello nazionale che europeo, evidenziando pregi e limiti operativi di una novità di “sistema”, la cui definizione richiederà una complessa attività negoziale e, in seguito, una corretta opera di attuazione negli ordinamenti nazionali.
La proposta di regolamento per l’istituzione della Procura europea, ai sensi dell’art. 86 TFUE, rappresenta una novità di sistema, che segna un notevole passo in avanti verso la piena realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia anche nel settore penale. La necessità di fornire l’Unione di un Ufficio del p.m. evidenzia, sia sul piano giuridico che politico, la volontà di costituire un organo idoneo a superare la logica orizzontatale della cooperazione giudiziaria in favore di una integrazione “verticale” che, attraverso l’accentramento dei poteri investigativi inmateria di frodi e reati lesivi degli interessi finanziari dell’UE, contribuisca a ridurre l’attuale frammentazione dello spazio europeo di giustizia, tutelandone in misura più efficace il patrimonio finanziario1.
Il percorso procedurale che condurrà all’istituzione del p.m.e., tuttavia, appare ancora lungo e irto di difficoltà, poiché la presentazione della proposta ha costituito solo la prima fase di un iter legislativo caratterizzato da delicati e complessi negoziati presso i competenti organi consiliari e parlamentari dell’UE. L’art. 86 TFUE prevede, del resto, una procedura legislativa speciale per l’adozione del regolamento istitutivo, che richiede la condizione dell’unanimità dei membri del Consiglio. In mancanza di unanimità, invece, è prevista comunque la possibilità di attivare una procedura di cooperazione rafforzata tra almeno 9 Stati membri.
La proposta formulata dalla Commissione sembra optare per una Procura sinergicamente legata ad Eurojust,ma dotata di una struttura autonoma, il cui modello organizzativo pare connotato da una centralizzazione leggera, secondo quanto stabilito dall’art. 6, con a capo un organo monocratico, il Prosecutor, onerato di dirigere e supervisionare il lavoro dell’ufficio; egli è assistito, nell’esercizio delle sue funzioni, da quattro “deputies”, con il compito di sostituirlo in
caso di assenza o impedimento.
Sebbene fosse possibile, in linea teorica, immaginare un p.m.e. completamente centralizzato e capace di operare senza intermediari, la scelta della Commissione sembra più opportunamente calibrata sulla necessità di rispettare le tradizioni giuridiche ed ordinamentali dei vari Paesi, evitando sia i rischi di un’eccessiva burocratizzazione, sia quelli legati al probabile incremento dei costi di gestione, ancorando a livello nazionale lo svolgimento delle indagini e/o l’esercizio dell’azione penale, secondo le linee già prefigurate dal Corpus Juris e dal Libro Verde sulla tutela penale degli interessi finanziari comunitari e sulla creazione di una Procura europea, che indubbiamente hanno costituito gli originari e indispensabili punti di riferimento per ogni riflessione sulla struttura del p.m.e.
Il nuovo organismo si completa con la presenza dei procuratori europei delegati in ogni Stato membro, ai quali il Prosecutor può delegare funzioni di indagine, evidentemente al fine di non esasperare le suscettibilità nazionali dei diversi Stati membri; il p.m.e., infatti, agisce verso l’esterno esclusivamente per il tramite dei suoi delegati locali, in modo che le autorità giudiziarie e gli organismi d’indagine si relazionino con un soggetto istituzionalmente appartenente al proprio ordinamento giuridico, operante nella propria lingua ed in base alla propria legislazione.
L’attività di direzione in capo al Prosecutor si estende ai rapporti interni tra i due livelli del nuovo ufficio, mentre i procuratori “delegati” sono chiamati ad operare, presso ciascuno Stato membro, con un “doppio cappello”: sono procuratori europei in relazione ai reati contro gli interessi finanziari dell’Unione, dunque soggetti alla sola autorità del p.m.e., e procuratori nazionali per gli altri casi che potrebbero venire ad essi sottoposti. Una soluzione, questa, che, per un verso, sembra rispondere anche ad un criterio di efficienza finanziaria, in quanto non dovrebbe comportare eccessivi costi aggiuntivi, e, per altro verso, ad un criterio di maggiore garanzia, poiché la condivisione delle risorse investigative e giudiziarie dovrebbe consentire la formazione di un processo decisionale più rapido2.
A seguito della pubblicazione della proposta, quattordici Parlamenti nazionali hanno inviato alla Commissione europea, ai sensi dell’art. 6, prot. n. 2, TUE e TFUE, relativo all’applicazione dei principii di sussidiarietà e di proporzionalità, pareri motivati in cui sono stati sollevati dubbi sulla conformità della proposta istitutiva della Procura europea al principio di sussidiarietà.
2.1 La reazione dei Parlamenti nazionali
Secondo tali pareri, non solo i meccanismi esistenti di indagine riguardo ai reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione Europea messi in atto dagli Stati membri, nonché quelli di coordinamento a livello dell’Unione (ossia, Eurojust, Europol e OLAF), sarebbero già sufficienti per l’obiettivo considerato, ma addirittura non sarebbe stato dimostrato il valore aggiunto della proposta, non essendo provato che un’azione a livello di Unione potrebbe far conseguire risultati migliori nell’attività di contrasto alle frodi del bilancio UE. I Parlamenti, inoltre, rilevavano delle criticità in merito alla natura e all’ambito di competenza assegnati alla Procura europea rispetto alla sfera di competenza degli organi inquirenti degli Stati membri.
Secondo quanto previsto dal Trattato, la Commissione ha effettuato il riesame della proposta legislativa in questione, per decidere se mantenerla, modificarla o ritirarla, e con la comunicazione COM (2013) 851 del 27.11.2013 ha respinto le argomentazioni a sostegno dei su citati pareri, ribadendo la conformità dell’atto al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5, par. 3, TUE; ha, in ogni caso, significativamente espresso l’intenzione di tenere in debito conto, nel prosieguo del processo legislativo, il contenuto dei pareri motivati espressi dai Parlamenti nazionali.
2.2 Le raccomandazioni del Parlamento europeo
Con la risoluzione del 12.3.2014 sulla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce la Procura europea (COM (2013) 0534 – 2013/0255 APP), il Parlamento europeo ha espresso pieno apprezzamento riguardo agli obiettivi assegnati al nuovo organismo – ossia, il rafforzamento della tutela degli interessi finanziari UE, una maggiore fiducia dei cittadini e delle imprese nelle istituzioni ed il miglioramento delle indagini e dell’azione penale per i reati lesivi di quegli interessi – ed ha invitato il Consiglio a mantenere una costante consultazione con l’organismo parlamentare in modo da approdare ad un risultato ampiamente condiviso e in linea con il quadro normativo delineato dal Trattato di Lisbona.
Il Parlamento ha pertanto invitato il legislatore europeo a trattare la proposta tenendo conto delle altre ad essa intimamente collegate, quali la proposta di direttiva sulla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale, la proposta di regolamento che istituisce l’Agenzia dell’Unione Europea per la cooperazione giudiziaria penale (Eurojust) e gli altri strumenti pertinenti nel campo della giustizia penale e dei diritti processuali, al fine di poter assicurare la piena compatibilità con tali atti normativi e la loro coerente attuazione.
Ha inoltre sottolineato l’esigenza che i poteri e le regole di azione della Procura europea rispettino il corpus dei diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dalla CEDU e dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, chiedendo al Consiglio di tener conto, in particolare, di una serie di raccomandazioni.
Entro tale prospettiva, infatti, si è evidenziato che il p.m.e. dovrà operare nella più stretta osservanza del diritto ad un giudice imparziale, e quindi ottemperare al principio del giudice naturale, il quale impone che i criteri che determinano il giudice competente ad esercitare la giurisdizione siano chiaramente oggettivati ex ante, poiché l’attuale formulazione dell’articolo 27, par. 4, della proposta assegna al p.m.e. un’eccessiva discrezionalità nell’applicare i criteri di scelta della giurisdizione. È opportuno, dunque, secondo il Parlamento, rendere vincolanti tali criteri e stabilire una gerarchia tra di essi al fine di garantire la prevedibilità di azione del nuovo organismo, facendo rientrare il rispetto dei criteri di determinazione della competenza nell’ambito di un controllo giurisdizionale.
Estremamente rilevante, anche per le problematiche di ordine costituzionale che l’attuazione del nuovo istituto inevitabilmente porrà all’attenzione dei singoli Stati membri, appare l’affermazione secondo cui la Procura europea deve godere di piena indipendenza, sia dai governi nazionali che dalle istituzioni dell’UE, ed essere quindi protetta da qualsiasi forma di pressione politica.
Anche sul piano sostanziale, il Parlamento ha opportunamente sollecitato un’attenta revisione delle definizioni contenute nell’art. 13 della proposta sulla competenza “accessoria”, in modo da garantire che i poteri della Procura si estendano a reati diversi da quelli che ledono gli interessi finanziari UE solo se si verificano, cumulativamente, le seguenti condizioni: a) la specifica condotta costituisce contemporaneamente un reato che lede gli interessi finanziari dell’Unione e altri reati; b) i reati che ledono gli interessi finanziari UE sono prevalenti e gli altri sono meramente accessori; c) l’ulteriore azione e sanzione penale per gli altri reati non sarebbe più possibile se essi non fossero perseguiti e giudicati insieme ai reati che ledono gli interessi finanziari UE.
Gli strumenti investigativi, inoltre, devono essere omogenei, esattamente individuati e compatibili con i sistemi giuridici degli Stati membri in cui sono attuati, in modo da garantire che sia esclusa la possibilità di una scelta opportunistica del foro (forum shopping), mentre l’ammissibilità delle prove e la loro valutazione in conformità dell’art. 30 rappresentano elementi chiave dell’indagine penale, con la conseguenza che la relativa disciplina dovrebbe essere chiara, uniforme ovunque si estenda la competenza del p.m.e., e pienamente rispondente alle esigenze di tutela delle garanzie procedurali e dei diritti fondamentali.
Il diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo deve essere assicurato, secondo il Parlamento europeo, in qualsiasi momento, rispetto ad un’attività che il procuratore europeo è chiamato a svolgere in tutto il territorio UE: tutte le sue decisioni, quindi, devono essere soggette al controllo giurisdizionale, ed in tale
ottica le decisioni adottate prima del processo, o indipendentemente da esso, quali quelle descritte negli artt. 27, 28 e 29 in merito alla competenza, all’archiviazione o al cd. compromesso (transazione), dovrebbero essere verificate attraverso i mezzi di ricorso disponibili dinanzi agli organi giurisdizionali dell’UE.
Tutte le attività del nuovo organismo giudiziario dovranno comunque garantire un’elevata protezione dei diritti della difesa, considerando il fatto che il territorio UE potrebbe diventare un’area nella quale il p.m.e. potrebbe agire tempestivamente, senza dover ricorrere a strumenti di assistenza giudiziaria comuni: al riguardo è evidente, dunque, che il rispetto di norme minime comuni in materia di diritti della persona nei procedimenti penali che si svolgono nei vari Stati membri costituisce un elemento determinante per il corretto funzionamento della Procura europea.
Entro tale prospettiva, il rispetto del principio del ne bis in idem dovrà essere comunque assicurato, mentre l’esercizio dell’azione penale dovrà necessariamente rispettare il quadro dei principii emergente dall’art. 6 TUE, dall’art. 16 TFUE, dalla Carta dei diritti fondamentali, nonché dalla legislazione europea in tema di tutela dei dati personali, con una particolare attenzione ai diritti dell’interessato qualora i dati personali siano trasferiti a Paesi terzi o ad organizzazioni
internazionali.
Si auspica, infine, che il legislatore faccia chiarezza sul quadro delle competenze sinora attribuite a ciascuno degli organismi attualmente incaricati della tutela degli interessi finanziari dell’Unione (ad es., Eurojust e OLAF), delimitando con precisione i poteri e l’ambito delle rispettive sfere di azione.
Sono stati sottolineati in dottrina alcuni aspetti particolarmente problematici della proposta di regolamento, legati sia alla disciplina dell’ammissione probatoria presso giurisdizioni diverse da quelle all’interno delle quali la prova è stata assunta, sia alla individuazione dei criteri per determinare quale sia la giurisdizione competente3.
Riguardo al primo profilo, imporre l’ammissibilità di prove assunte in modo diverso dalle regole vigenti nell’ordinamento di destinazione sembra implicitamente sottintendere l’accettazione di un principio, quello del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie, la cui piena attuazione sembra essere tuttora avversata da non pochi Stati membri.
In ordine al secondo profilo, l’assenza di un ordine gerarchico tra diversi criteri, il cui contenuto direttivo dovrebbe essere meglio precisato e circoscritto (luogo del commesso delitto, quello di residenza dell’indagato o della vittima, quello di raccolta delle prove, ecc.), non sembra certo agevolare l’opera dell’interprete.
La proposta della Commissione, inoltre, non prevede una disciplina dettagliata in relazione alle modalità di assunzione delle prove e, soprattutto, non fa alcun riferimento alle prove precostituite. In relazione a quest’ultime, data la diversità delle discipline nazionali, sembra difficile che i vari ordinamenti possano accettare di riconoscere de plano le prove formate all’estero senza una più approfondita opera di armonizzazione delle reciproche legislazioni.
Sotto altro, ma connesso profilo, la proposta rinuncia ad individuare un quadro di regole probatorie comuni, rinviando all’applicazione del diritto nazionale del luogo in cui la prova è stata raccolta: la peculiarità del modello così delineato, essenzialmente connotato dalla prospettiva, più arretrata, del mutuo riconoscimento, consiste nel fatto di avere ad oggetto prove assunte dal – o per conto del – p.m.e., ma sulla base di normative diverse (quelle della lex loci). In tal modo, però, lo spazio giudiziario comune finisce per rilevare solo come spazio operativo d’indagine, e non anche come uno spazio di applicazione di regole comuni da parte di un organo giudiziario comune, prefigurando un assetto meno avanzato anche rispetto a quello che l’Unione sta perseguendo con il varo delle prime direttive in tema di armonizzazione dei diritti e delle garanzie processuali di indagati e imputati4.
Lo stesso pluralismo normativo, correlato all’applicazione della lex loci, potrebbe rendere più complessa e difficoltosa non solo la concreta gestione delle indagini, ma anche l’attività della difesa, costretta a destreggiarsi fra regole, istituti e criteri diversi e multiformi5.
Infine, la previsione convenzionale di una “azione senza giurisdizione” ha destato molte perplessità.
Con l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m.e., infatti, si conclude la “fase europea” del procedimento e inizia il momento della giurisdizione, che resta riservato all’attività dei giudici nazionali.
Si realizza in tal modo, però, una netta dissociazione fra il momento dell’azione comunitaria e quello della giurisdizione nazionale, un fenomeno che potrebbe comportare una frequente scissione fra le attribuzioni europee e quelle nazionali6.
Numerosi appaiono, in definitiva, i principii della Costituzione italiana sottoposti ad una potenziale tensione dall’istituzione del nuovo organismo europeo, parte dei quali soltanto trova un pendant nella Carta dei diritti fondamentali: basti pensare all’inviolabilità del diritto di difesa e ai principii del giusto processo, riguardo all’attività d’indagine svolta dal p.m.e. con l’utilizzazione dei suoi risultati a fini di prova, ovvero al principio di obbligatorietà dell’azione penale, riguardo ai possibili epiloghi dell’attività investigativa, nonché al principio del giudice naturale precostituito per legge, quanto ai criteri di individuazione degli organi giurisdizionali nazionali competenti7.
Un quadro problematico, dunque, che all’evidenza impone l’esigenza di scelte negoziali e attuative assai ponderate ed ampiamente condivise.
1 Alesci, T., La Procura europea per i reati lesivi di interessi finanziari: la proposta di regolamento tra luci ed ombre, in Arch. pen. web, 2014, fasc. 1, 1 s.
2 Alesci, T., op. cit., 7 s.
3 Ruggieri, F., Il pubblico ministero europeo: uno sconosciuto tra noi, in Processo penale e Giustizia, 2014, 1 s.
4 Kostoris, R., Pubblico ministero europeo e indagini nazionalizzate, in Cass. pen., 2014, 4745 s.
5 Kostoris, R., op. cit., 4747.
6 Alesci, T., op. cit., 17 s.
7 Frigo, G., Struttura della Procura europea e rapporti funzionali con le autorità nazionali di indagine, Relazione tenuta al Convegno organizzato dalla Camera penale di Torino, Il PubblicoMinistero Europeo e la tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione europea, 27 giugno 2014, 5 ss. del dattiloscritto.