Vedi VERIA dell'anno: 1966 - 1973 - 1997
VERIA (Βέροια, Βέρροια)
Anticamente V. più tardi Verria.
Sotto il dominio turco (cioè sino al 16 ottobre 1912), Karaferia; i Greci preferiscono il nome Verria, ora ufficialmente e comunemente di nuovo Veria. Città macedone nell'odierno distretto di ᾿Ημαϑία. Si trova sul versante orientale del Monte Vermio, presso il più meridionale dei tre passaggi obbligati del monte, dove fin dall'età preistorica si manifestò la civiltà trace. Dell'antichità di V. testimoniano le leggende macèdoni, secondo le quali fondatore fu Pheron (Φέρων, in macedone Βέρων) o Véroia, una delle tre figlie del re Véris, sorella di Mieda, la ninfa, e di Olganos.
I più antichi ritrovamenti nei dintorni della città risalgono alla prima Età del Ferro. Dalle fonti storiche, in primo luogo da Tucidide, si hanno notizie sulle imprese di guerra ateniesi nel 432 a. C. (Thucyd., i, 64, 4, in un passo molto discusso). Il luogo della città è stato identificato a circa 74 km a occidente di Salonicco. Dai resti conservati possiamo arguire l'andamento delle mura che avevano tre porte principali, corrispondenti alle tre uscite dalla città: quella S verso Piena, quella O verso la Macedonia superiore e, la più importante di tutte, quella E, verso Salonicco da una parte, verso Ege (Αἰγαί) e Pella dall'altra.
Le fondazioni e la parte più bassa delle mura sono costruite in tufo locale; presentano torri circolari databili ad epoca macedone, mentre al posteriore periodo romano va datato un rifacimento delle mura, quando in tutta fretta furono costruite ex novo torri quadrate con materiale di marmo di reimpiego.
Oltre al giro delle mura furono messi in luce casualmente in varie epoche dei sepolcri, per la maggior parte tagliati nella roccia friabile, con uno o più ambienti, talvolta con numerose cavità e loculi. Abitualmente essi sono intonacati e presentano decorazioni a colori. Appartengono all'età macedone. Hanno dato, come suppellettile, statuette di terracotta, lacrimatoi e altre ceramiche, ornamenti metallici, monete, ecc. In città, entro la cinta delle mura, in occasione dell'apertura di due nuove strade (Mitropolis e Venizelos), furono messi in luce i resti del lastricato di due strade monumentali e di canali costruiti sotto la copertura, inoltre i resti dei bordi che limitavano i marciapiedi e tubi di acquedotto sotto di essi. Appartengono al II e III sec. d. C., epoca della maggiore ricchezza della città.
Altri resti di importanti costruzioni scoperte casualmente durante gli ultimi anni, appartengono, in maggior parte, al periodo della fioritura macedone. Queste costruzioni con parti costruite in tufo locale, in opera pseudoisodomica, furono trovate principalmente al centro della città, tra le sopra citate strade Venizelos e Mitropolis e la strada chiamata Centrale (Κεντρικὴς). Da una di queste costruzioni proviene una sima in terracotta ornata di fiori e foglie di loto alternate.
I ritrovamenti sono raccolti nel museo, recentemente costruito, il quale contiene anche i materiali di scavo provenienti dalle località vicine, come l'abitato neolitico di NeaNicomedia; l'antica necropoli presso Verghina (v.), con materiale dalla prima Età del Ferro fino ad epoca ellenistica; la zona archeologica fra Naousis, Kopanos, e Leukadià, con gli importantissimi sepolcri macedoni; e i pavimenti in mosaico, molto ben conservati di età romana. Importante è anche la raccolta di sculture, delle quali alcune sono ellenistiche, come una testa di Medusa a grandezza maggiore del naturale, e altre conservano la tradizione ellenistica fino ad epoca romana.
Nel I sec. d. C. una famiglia di artisti fornisce le sue opere alla tessalica Larisa, a Leté (Λητὴ) presso Salonicco, e fino a Eidomene (Εἰδομένη), presso i confini greco-slavi. Interessante è la serie dei busti-ritratto, sugli altari sepolcrali o su stele del I sec. d. C., generalmente riadoperati come materiali da costruzione nelle mura della città. I più antichi ritrovamenti di V. furono trasportati al museo di Salonicco, principalmente le sculture e le iscrizioni, come il famoso editto dei ginnasiarchi. Un bronzetto di una bagnante, a Monaco, si crede provenga da Veria.
Bibl.: Sulla etimologia del nome, cfr. il II vol., in corso di stampa della pubblicazione di J. Kalleris, Les anciens Macédoniens, II, pp. 360, 365, 381, 448, 559; per l'interpretazione del discusso passo di Tucidide, I, 64, 4, cfr.: C. Edson, Strepsa, in Class. Philology, L, 1955, p. 169 ss.; A. W. Gomme, Hist. Comm. on Thucyd., III, 1956, p. 726 ss. Sulle altre fonti cfr. Oberhummer, in Pauly-Wissowa, III, 1899, c. 304 ss., s. v. Beroe, n. 4; per la importanza di V. in età storica cfr. C. Edson, in Harvard Class. Studies, XLV, 1934; per la famiglia di artisti da V. cfr. in Rheinisches Museum, N. S., CI, fasc. 4, 1958, p. 336 ss.; Ziva Antika, VIII, 1958, p. 295 ss.; E. A. A., III, s. v. Evandros. 2. Oltre a questi, negli ultimi anni numerosi articoli sparsi su periodici sono stati pubblicati su V. Si tratta per la maggior parte di pubblicazioni di epigrafi da parte di C. Edson e di J. M. R. Cormack, o di studî storici su base epigrafica, come quello di A. Kanatsouli, Τὸ κοινὸν τῶν Μακεδονων in Μακεδονικά, Γ, 1953-55, pp. 27 ss.; indipendentemente sono state pubblicate epigrafi da M. Andronikos, ᾿Αρκαῖαι ᾿Επιγραϕαὶ Βεροίας, Salonicco, 1950.
I ritrovamenti e gli oggetti del museo di V. sono stati pubblicati da Ph. M. Petsas nei suoi articoli e pubblicazioni in ᾿Αρχαιολογικὴ ᾿Εϕημερίς, 1961, p. i ss.; ᾿Αρχαιολογικὸν Δελτίον, XVI, 1961-62, p. 218 ss.; in Bull. Corr. Hell., Chron. des fouilles dell'anno 1954 e altrove. L'unico libro su V.: G. Chionidou, ῾Ιστορία τῆς Βεροίας, Veria 1960 è un centone privo di valore storico critico.