VERGIOLESI
– Famiglia pistoiese attiva dal XII al XVI secolo. Il primo membro conosciuto è tale Guido, i cui eredi risultavano nel 1137 possessori di un pezzo di terra posto a Pacciana, nella pianura a sud di Pistoia. Furono comunque i figli di Guido, Ferletto e Uguccione, a comparire – assieme al probabile cugino Guido – con una certa frequenza nei documenti dei decenni successivi.
Titolari del castello di Vergiole (dal quale si cognominarono: alla primitiva forma de Vergiole, attestata ancora fino alla metà del XIII secolo, subentrò quindi la forma Vergiolenses, con le relative varianti grafiche), castrum situato a una manciata di chilometri da Pistoia sulle colline a nord-ovest della città sulla cui popolazione vantavano pieni diritti signorili; proprietari di una consistente base fondiaria, non limitata al solo centro eponimo e alle zone confinanti, ma comprendente anche beni nella pianura irrigua prossima alla città; proprietari di mulini; imparentati con alcune delle principali famiglie piccolo-signorili del territorio, i Vergiolesi non risultano essere stati in prima linea nelle prime vicende politico-istituzionali della città di Pistoia. In compenso i documenti ce li restituiscono impegnati grosso modo a partire dagli anni Sessanta del XII secolo in una complessa operazione di ridefinizione della loro signoria (attraverso la manomissione di servi e coloni, e la contrattazione dei contenuti del proprio dominatus con la popolazione soggetta), secondo un costume largamente attestato nella Toscana del periodo (e non solo). Non emerge a riguardo l’esistenza di pressioni o contrasti con l’ambiente cittadino, ma possiamo comunque ipotizzare che i rapporti fra questo e la famiglia fossero relativamente stretti.
Il primo esponente della casata che appare pienamente coinvolto nel gioco politico-sociale cittadino fu messer Orlandetto di Gualduccio, che a partire dal 1222 compare fra i consiglieri del Comune ed è attestato quale consul militum in un documento del 1225. All’epoca, la famiglia doveva ormai essersi pienamente integrata nello spazio politico e sociale pistoiese: organizzati in un’ampia consorteria, che aveva diviso fra i vari rami in quote-parti il grosso del patrimonio avito, i Vergiolesi possedevano un nucleo ampio e compatto di abitazioni con una torre comune e altre torri private nella cappella (parrocchia) di S. Giusto, nel quartiere di Porta S. Andrea. Saldamente inseriti nella militia, di cui tennero le parti nel corso del conflitto che fra gli anni Venti e gli anni Trenta del secolo oppose il Populus pistoiese ai vecchi detentori del potere politico cittadino, i Vergiolesi riuscirono anche a far intraprendere la carriera ecclesiastica – con risultati eccellenti – ad alcuni dei propri membri. Si tratta innanzitutto (anche se l’appartenenza al lignaggio rimane al rango di ipotesi, seppure quasi certa) di Filippo, conosciuto come Filippo da Pistoia, che dopo aver tentato la via della negromanzia a Toledo e quindi aver studiato teologia a Parigi, secondo il racconto del cronista Salimbene de Adam che lo conobbe personalmente, divenne vescovo di Ferrara nel 1239, e quindi vescovo eletto di Firenze e arcivescovo di Ravenna. Nominato legato pontificio per la Lombardia e la Marca Trevigiana da Alessandro IV nel 1255, egli guidò le forze fedeli alla Chiesa nella crociata contro Ezzelino da Romano, dispiegando nel lungo e aspro conflitto – e confermando anche successivamente fino alla morte avvenuta nel settembre del 1270 – notevoli doti di condottiero militare e capo politico. Anche Guidaloste (v. la voce in questo Dizionario) intraprese la carriera ecclesiastica, dapprima come canonico della cattedrale pistoiese e quindi dal 1252 e fino alla morte fra il 1285 e il 1286 in qualità di vescovo di Pistoia. Uomo di chiesa amico degli ordini mendicanti e attento alle esperienze religiose femminili, capace giurista, fu tuttavia coinvolto fra il 1279 e il 1282 in una serie di contrasti con le autorità cittadine che portarono all’adozione da parte di queste ultime di alcune norme contro il clero. Concesse ai propri parenti il controllo dell’importante castello appenninico della Sambuca, che essi conservarono fino ai primi del XIV secolo.
Con gli anni Ottanta del Duecento si stavano del resto addensando sullo spazio politico pistoiese le nubi della divisione che, originatasi all’interno della potente famiglia dei Cancellieri, avrebbe lacerato in maniera profonda la società cittadina, polarizzandola nelle due fazioni dei bianchi e dei neri.
Già esponenti di rilievo della parte guelfa pistoiese (e non ghibellina, come a lungo si è sostenuto sulla base in verità degli avvenimenti di inizio Trecento), i Vergiolesi si sarebbero imposti come capifila della parte bianca, seguendone le sorti nel bene e nel male. In questo contesto emerge innanzitutto la figura di messer Bertino di Soffredi, membro del Consiglio generale cittadino nel 1279, testimone di alcuni atti del Podestà nel 1283, scelto l’anno dopo fra i savi incaricati della revisione di alcuni statuti, che secondo l’anonimo autore delle trecentesche Storie pistoresi «era il più nobile e ’l più cortese cavalieri che a quel tempo avesse in Pistoia» (Storie pistoresi. MCCC-MCCCXLVIII, a cura di S.A. Barbi, 1907-1927, 2011, p. 8) e fra i leader indiscussi della propria fazione. La sua uccisione, compiuta in un agguato da alcuni giovani esponenti della parte nera, che secondo Tolomeo da Lucca è da porsi nel 1289, fu uno dei fattori scatenanti il conflitto che per anni infiammò la società pistoiese, estendendosi, com’è noto, attraverso i sistemi di alleanza e le parentele anche a Firenze, alla Toscana tutta e a Bologna.
Alla morte di Bertino fu quindi il fratello messer Filippo a sostituirlo a capo della famiglia (che possiamo ipotizzare venisse in questa fase annoverata fra quelle magnatizie pistoiesi) e fra i capifazione bianchi. Presente già a partire dagli anni Settanta sulla scena politica e istituzionale cittadina, Filippo rivestì anche alcuni incarichi podestarili in importanti città padane (Brescia, 1291; Bologna, 1299-1300). La podesteria bolognese, in particolare (che fu seguita a distanza di un anno da quella del figlio Soffredi), sembra rientrare nell’evoluzione del conflitto ormai sovracittadino fra bianchi e neri, con Filippo che allo scoccare del nuovo secolo andava assumendo un ruolo sempre più centrale nella propria parte. Egli fu così fra i leader di Pistoia durante l’assedio che a essa posero le truppe nere fiorentine e lucchesi fra il 1305 e il 1306. Sconfitti ed esiliati i bianchi, Filippo occupò – da fuoruscito – i castelli appeninici di Piteccio e (soprattutto) della Sambuca (quest’ultimo già possesso vescovile che con ogni evidenza Guidaloste aveva concesso ai propri familiari alla metà del Duecento), da qui operando contro i neri pistoiesi.
Legata a questo soggiorno è la figura di Selvaggia, ovvero la donna cantata dal grande poeta e giurista Cino Sinibuldi da Pistoia, di parte nera, che la tradizione ha individuato con la figlia di messer Filippo andata in sposa a Focaccia di messer Bertacca Cancellieri, e quindi morta proprio durante l’esilio appenninico del padre. Mancano tuttavia chiare testimonianze documentarie che supportino l’identificazione (che pure ha nei secoli goduto di ampia fortuna). Ceduto il castello della Sambuca al governo pistoiese fra 1310 e 1311, Filippo continuò non di meno nella sua azione politica, appoggiando con convizione l’imperatore Enrico VII per il quale alcuni membri della famiglia (sicuramente Guidaloste II a Modena nel 1311; Soffredi – anche indicato come Goffredo – di Filippo a Cremona fra il 1311 e il 1312; forse Lando di Soffredi nel 1313 a Bergamo) funsero da vicari, e per il quale egli stesso compì nel 1313 (poco prima di morire) un’ambasceria a Genova.
Costretti quindi ai margini dello spazio politico cittadino dopo la prematura conclusione dell’avventura imperiale e la morte dell’anziano capofamiglia, ormai accostatisi in maniera definitiva ad alcune delle vecchie famiglie ghibelline, i Vergiolesi riacquistarono un ruolo centrale con il passaggio di Pistoia nel 1325 al dominio di Castruccio Castracani, signore di Lucca. Alla morte di questi nel 1328, i Vergiolesi furono fra le famiglie di punta della città che trattarono il reinserimento di Pistoia nell’orbita fiorentina, anche se furono proprio i contrasti con Firenze a causare nel 1332 l’esilio di un ramo della famiglia a Lucca.
Questo passaggio si rivelò foriero di importanti sviluppi per le sorti del lignaggio nel corso del XIV secolo: incapaci di rientrare stabilmente in patria in pratica fino alla fine degli anni Quaranta, alcuni esponenti del lignaggio trovarono impiego come uomini d’arme o come ufficiali e funzionari tanto in Toscana quanto nell’Italia padana (sul finire del secolo un ramo si stabilì definitivamente a Padova). Anche dopo essere rientrati a Pistoia e aver ripreso la frequentazione degli ambienti istituzionali pistoiesi (nella città delle ‘parti’ a metà Trecento i Vergiolesi sarebbero stati legati alla parte panciatica, contrapposta a quella dei Cancellieri) essi continuarono a prestare i propri servigi ai centri vicini, riuscendo a mettere insieme carriere di tutto rispetto. È il caso in particolare di messer Francesco (non vi è certezza del patronimico), ufficiale nella Milano viscontea di metà Trecento, corrispondente di Francesco Petrarca (da non confondersi con l’immaginario messer Francesco Vergiolesi protagonista della quinta novella della terza giornata del Decameron); di ser Tancredi di Goccio di messer Tancredi, corrispondente di Coluccio Salutati, che fino al 1380 svolse una nutrita serie di incarichi in quel di Pisa; del fratello di questi, Giovanni, anch’egli operante a Pisa, che nel 1370 riuscì a sventare un attacco alla città portato dalle milizie di Giovanni Acuto; e del cugino Giovanni di Bertino, attivo fra Pisa e Lucca, che per la città del Volto Santo fu anche ambasciatore presso l’imperatore Venceslao IV di Lussemburgo nel 1381 (da segnalare, per altri motivi, è anche la cugina di Goccio, Lippa di Lapo di Giovanni, sposa di un Bellasti e quindi di un Rossi, che nel suo testamento del 1386 commissionò gli affreschi della sala del capitolo della chiesa di S. Francesco a Pistoia).
Con il Quattrocento, le fortune del lignaggio iniziarono gradualmente ad arrestarsi: se da un lato pare che alcuni membri della famiglia mantenessero aperta con qualche fortuna la via della carriera militare (così Giovanni di Tancredi, che secondo la tradizione erudita sarebbe stato un condottiero al soldo, fra gli altri, di papa Pio II: M. Salvi, Delle historie di Pistoia..., 1656-1662, 1978, II, p. 379), nel complesso il peso politico dei Vergiolesi andò gradualmente scemando, sia fuori sia in Pistoia. Pur conservando intatto il proprio status, che in epoca granducale venne sancito dalla concessione del cavalierato di S. Stefano a Bello di Benedetto (con la morte del quale nel 1580 si interruppe uno dei rami familiari), e potendo comunque vantare personaggi capaci di segnalarsi non solo in ambito politico (degno di nota il canonico della cattedrale Francesco, abile amanuense, che nel 1566 fece restaurare un prezioso codice attualmente conservato presso l’Archivio Capitolare di Pistoia), essi non giocarono più nelle vicende pistoiesi un ruolo paragonabile a quello svolto fra XII e XIV secolo.
La famiglia si estinse definitivamente nel 1669 con la morte dell’ultimo discendente, Filippo di ser Francesco.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Pistoia, Priorista Franchi, 23, cc. 105r-129r; Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Pistoia, S. Lorenzo, 1228 maggio 7; M. Salvi, Delle historie di Pistoia e fazioni d’Italia, I-III, Roma 1656-1662, rist. anast. Bologna 1978, passim; Storie pistoresi. MCCC-MCCCXLVIII, a cura di S.A. Barbi, Città di Castello 1907-1927, rist. anast. Pistoia 2011, ad ind.; Liber Censuum comunis Pistorii, a cura di Q. Santoli, Pistoia 1915, rist. anast. Firenze 2005, ad ind.; R. Piattoli, Le sette più antiche pergamene della Abbazia Vallombrosana di S. Maria di Pacciana (1129-1150), in Archivio storico pratese, XLIV (1968), pp. 92-107.
L. Chiappelli, Studi storici pistoiesi, I. I pistoiesi andati come rettori in altri Comuni fino al secolo XVI. II. Disegno della più antica storia di Pistoia, Pistoia 1919, pp. 34-43; S. Francesco. La chiesa e il convento in Pistoia, a cura di L. Gai, Pisa 1993, ad ind.; G. Zanella, Filippo da Pistoia, in Dizionario biografico degli Italiani, XLVII, Roma 1997, s.v.; Storia di Pistoia. II. L’età del libero Comune. Dall’inizio del XII alla metà del XIV secolo, a cura di G. Cherubini, Firenze 1998, ad ind.; I manoscritti medievali della Provincia di Pistoia, a cura di G. Murano - G. Savino - S. Zamponi, Firenze 1998, p. 55; W.J. Connell, La città dei crucci. Fazioni e clientele in uno stato repubblicano del ’400, Firenze 2000, p. 252; Storia di Pistoia. III. Dentro lo stato fiorentino. Dalla metà del XIV alla fine del XVIII secolo, a cura di G. Pinto, Firenze 2000, ad indicem; V. Pacca, Un ignoto corrispondente di Petrarca: Francesco Vergiolesi, in Nuova rivista di letteratura italiana, IV (2001), pp. 151-206; S. Carrai - P. Maffei, Sinibuldi Cino, in Dizionario biografico degli Italiani, XCII, Roma 2018, s.v.