modali, verbi
I verbi modali (tradizionalmente detti verbi servili) sono quei verbi che fanno parte dell’ampia classe dei verbi ausiliari (➔ ausiliari, verbi) e che, collegandosi direttamente a un verbo all’infinito, conferiscono all’azione espressa dal predicato una specifica ➔ modalità.
La denominazione comune (ormai accantonata) di verbi servili serviva a sottolineare la funzione di servizio (l’espressione della modalità) che essi assolvono nei confronti del verbo all’infinito (sull’argomento, cfr. Simone & Amacker 1977).
Nel sintagma formato da verbo modale + altro verbo all’infinito, il verbo modale costituisce l’elemento reggente, mentre il verbo all’infinito, pur esprimendo il significato principale del predicato verbale, è l’elemento retto.
Sul numero e sulle peculiarità dei verbi modali non c’è pieno accordo. In questa voce (seguendo le considerazioni di Serianni 1988: 334-335 e di Dardano & Trifone 1997: 300), si considerano soltanto dovere, potere e volere, che esprimono, rispettivamente, la modalità della necessità, della possibilità, della volontà. Solo tali verbi, infatti, presentano le seguenti tre caratteristiche:
(a) reggono direttamente un infinito;
(b) hanno lo stesso soggetto dell’infinito;
(c) se sono accompagnati da un pronome atono (➔ clitici), quest’ultimo può trovarsi tanto prima del verbo modale (in posizione proclitica; ➔ parole proclitiche) quanto dopo l’infinito (in posizione enclitica; ➔ parole enclitiche).
Si considerino tre testi:
(1) Al pian terreno, dove s’eran già fatte le ripartizioni, c’erano dei bambini delle prime inferiori che non volevano entrare in classe e s’impuntavano come somarelli (De Amicis 1996: 104)
(2) Non vive ei forse sotterra, quando
gli sarà muta l’armonia del giorno,
se può destarla con soavi cure
nella mente dei suoi?
(Foscolo 1994-1995: 23-24)
(3) Che! tu andavi in cerca d’amici ... quali amici! ... che non t’avrebber potuto aiutare, neppur volendo! (Manzoni 1995: 65)
In (1) si nota la semplice combinazione di verbo modale + infinito (non volevano entrare): l’infinito si collega al verbo reggente direttamente, senza l’interposizione di preposizione; il soggetto di volevano (dei bambini delle prime inferiori) è lo stesso di entrare. Diverso il caso degli infiniti legati direttamente a verbi di percezione (sento cantare Maria), in cui il soggetto (sottinteso) di sento (io) è diverso da quello di cantare (Maria) (➔ percezione, verbi di).
I testi (2) e (3) illustrano poi la terza caratteristica dei verbi modali, vale a dire la posizione di un pronome atono, che può trovarsi prima del verbo modale (non t’avrebber potuto aiutare) oppure dopo l’infinito (se può destarla). Ovviamente anche in questi due casi, come in (a), il soggetto del verbo modale coincide con quello dell’infinito, in (2) ei, in (3) amici.
Lo stretto legame che caratterizza, a livello sintattico, i tre verbi può essere osservato, in diacronia, anche a livello morfologico. Nella loro evoluzione dal latino all’italiano, infatti, si può notare una tendenza dei verbi latini possum «potere» e volo «volere» a convergere formalmente con debeo «dovere», che segue regolarmente il paradigma di seconda classe.
Nel latino volgare possum e volo rimodellano l’infectum sul perfectum e vanno ad immettersi così nella seconda coniugazione. Si cominci dall’infinito:
(4) debui : debēre = potui : potēre = volui : volēre
Dall’infinito regolarizzato si sviluppano il ➔ futuro e il ➔ condizionale:
(5) potēre habeo > potrò; potēre habui > potrei
(6) volēre habeo > vorrò; volēre habui > vorrei
L’imperfetto indicativo di possum (potĕram, potĕras, ecc.) scompare e viene sostituito dalla forma regolarizzata potē-bat > poteva. Il presente indicativo e il presente congiuntivo di potere (7) da un lato continuano le forme latine nella radice (con casi di allomorfia), dall’altro regolarizzano le desinenze sulla base dei verbi di seconda coniugazione (➔ coniugazione verbale); lo stesso anche per volere (8):
(7) possum > posso; possim > (che io) possa
potes > puoi; possis > (che tu) possa
potest > può; possit > (che egli) possa
possumus > possiamo; possimus > possiamo
potestis > potete; possitis > possiate
possunt > possono; possint > possano
(8) volo > *voleo > voglio; velim > *voleam > (che io) voglia
vis > *voles > vuoi; velis > *voleas > (che tu) voglia
vult > *volet > vuole; velit > *voleat > (che egli) voglia
volumus > *volēmus > vogliamo; velimus > *voleamus > vogliamo
vultis > *volētis > voléte; velitis > *voleatis > vogliate
volunt > vogliono; velint > *voleant > vogliano
Da queste considerazioni si scorgono gli stretti legami morfologici tra questi due verbi modali, legami non solo riscontrabili a livello di morfemi grammaticali (desinenze), ma anche nei morfemi lessicali (radici). Si ha, infatti, «un parallelismo quasi perfetto» nella «distribuzione delle varianti del lessema» (Tekavčić 1972: 473-474), al presente indicativo e congiuntivo, all’imperfetto indicativo e congiuntivo, all’infinito e al gerundio, al futuro e al condizionale.
Il verbo dovere, pur derivando dal verbo regolare latino di seconda coniugazione debeo, presenta alcune irregolarità, dovute a vari fenomeni verificatisi nel passaggio dal latino all’italiano:
(a) l’apertura della /b/ intervocalica in /v/;
(b) la sostituzione nella radice di /e/ con /o/ in posizione atona protonica (fenomeno detto labializzazione, dovuto alla natura della consonante seguente; ➔ protonica, posizione. I due fenomeni (a) e (b) possono essere esemplificati nell’imperfetto indicativo debēbat > doveva;
(c) lo sviluppo di /e/ in ➔ iato in semivocale /j/ che provoca l’allungamento della consonante /b/, impedendone l’apertura in /v/: debeo > it. ant. debio > debbo e cong. debeamus > dobbiamo (dove si riscontra anche la sostituzione di /e/ con /o/ in protonia), forma che viene poi estesa alla prima persona plurale del presente indicativo; nella lingua antica, sul modello di habeo > aggio, si avevano le forme deggio, deggiono, deggia.
Il participio passato debitu, che è continuato in italiano solo in alcune espressioni (come a tempo debito), viene normalmente sostituito da *debutu > dovuto, un participio in -utu che hanno preso anche potere e volere (possum e volo non avevano, infatti, il participio perfetto).
Come si è detto (§ 1), una caratteristica dei tre verbi sopra esaminati, quando si legano a un infinito, è la libertà di posizione dei pronomi atoni (Lepschy & Lepschy 1981: 111-112; Berretta: 1985). Questi possono essere o appoggiati come proclitici al verbo reggente o come enclitici posposti all’infinito:
(9) voglio parlargli → gli voglio parlare
(10) devo cercarla → la devo cercare
(11) posso andarci → ci posso andare
Bisogna precisare che anticamente, salvo rare eccezioni, era possibile solo la costruzione con risalita del clitico (o dei clitici). In presenza di un sintagma pronominale, questo può essere collocato sia in proclisi sia in enclisi, ma non deve mai essere scisso:
(12) a. devo comunicarglielo → glielo devo comunicare
b. *lo devo comunicargli
c. *gli devo comunicarlo
Se il verbo modale regge due infiniti si avranno tre possibilità: il clitico può trovarsi in posizione iniziale (lo devo poter fare), in enclisi al primo infinito (devo poterlo fare), in enclisi al secondo infinito (devo poter farlo).
La relativa libertà riguardo alla posizione dei clitici con i verbi modali si registra anche a proposito dell’uso degli ausiliari nelle forme composte (Serianni 1988: 333; ➔ ausiliari, verbi). In genere si tende ad usare lo stesso ausiliare dell’infinito (D’Achille 2003: 116), ma, se il verbo retto è intransitivo, il modale può anche essere costruito con il suo normale ausiliare avere (ma tale costruzione veniva considerata errata in passato; Telve 2007: 214).
(13) ho letto → ho dovuto leggere
(14) sono partito → sono dovuto partire → ho dovuto partire
Se c’è un pronome atono, però, dovranno essere distinte due possibilità: se il clitico è anteposto, l’ausiliare richiesto sarà sempre quello del verbo retto: non ci sono potuto andare (*non ci ho potuto andare); se il clitico è posposto all’infinito, la scelta dell’ausiliare sarà invece libera: non sono potuto andarci e non ho potuto andarci.
Vengono spesso annoverati tra i verbi modali anche solere, sapere, preferire, osare, desiderare, ma, a un’attenta considerazione, si può osservare come essi non abbiano tutte le peculiarità sintattiche menzionate riguardo ai verbi potere, dovere, volere.
Ad es., i verbi solere, preferire, osare, desiderare non ammettono la libertà di posizione dei clitici:
(15) *ci sono solito andare → sono solito andarci
(16) *mi preferisco mangiare una mela → preferisco mangiarmi una mela
(17) *non gli oso telefonare → non oso telefonargli
Il verbo sapere è parzialmente modale, perché solo nell’accezione di «esser capace», «essere in grado» condivide le tre peculiarità (§ 1) dei verbi modali (saprò aspettarti, ti saprò aspettare), ma nell’accezione di «conoscere», «riconoscere», non ha più la reggenza diretta dell’infinito (so di aver sbagliato; ➔ psicologici, verbi).
De Amicis, Edmondo (1996), Cuore, in Id., Opere scelte, a cura di F. Portinari & G. Baldissone, Milano, Mondadori.
Foscolo, Ugo (1994-1995), Dei Sepolcri, in Id., Opere, a cura di F. Gavazzeni, F. Longoni & M.M. Lombardi, Torino, Einaudi-Gallimard, 2 voll., vol. 1° (Poesie e tragedie).
Manzoni, Alessandro (1995), I Promessi sposi. Storia della colonna infame, a cura di A. Stella & C. Repossi, Torino, Einaudi-Gallimard.
Berretta, Monica (1985), I pronomi clitici nell’italiano parlato, in Gesprochenes Italienisch in Geschichte und Gegenwart, hrsg. von G. Holtus & E. Radtke, Tübingen, Narr, pp. 185-223.
D’Achille, Paolo (2003), L’italiano contemporaneo, Bologna, il Mulino.
Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (1997), La nuova grammatica della lingua italiana, Bologna, Zanichelli.
Lepschy, Anna L. & Lepschy, Giulio C. (1981), La lingua italiana. Storia, varietà dell’uso, grammatica, Milano, Bompiani.
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.
Simone, Raffaele & Amacker, René (1977), Verbi modali in italiano, «Italian linguistics» 3, pp. 7-12.
Tekavčić, Pavao (1972), Grammatica storica dell’italiano, Bologna, il Mulino, 3 voll., vol. 2º (Morfosintassi).
Telve, Stefano (2007), Essere o avere? Sull’alternanza degli ausiliari coi modali potuto, voluto (e dovuto) davanti a infiniti inaccusativi in italiano antico e moderno, in Studi linguistici per Luca Serianni, a cura di V. Della Valle & P. Trifone, Roma, Salerno Editrice, pp. 313-325.