Chytilová, Věra
Regista ceca, nata a Ostrava il 2 febbraio 1929. È la più nota autrice del cinema ceco-slovacco a livello internazionale: il suo Pytel blech (1962, Un sacco di pulci), insieme a Slnko v sieti (1962, Il sole nella rete) dello slovacco Štefan Uher, aprì la stagione della nuova ondata cecoslovacca, la Nová Vlna. Grazie a un forte carattere, al suo femminismo ante litteram e alla crescente popolarità, la C. è stata l'unica, tra i cineasti del suo Paese, che, pur opponendosi al sistema politico, riuscì a girare anche sotto la dura 'normalizzazione' seguita nel 1968 alla Primavera di Praga. I suoi film, inviati ai festival internazionali come produzione di Stato, vennero però censurati in patria. Dopo il 1989, insieme ad altri registi della Nová Vlna e a giovani autori, si è dedicata a rifondare il 'cinema liberato'.
Sin dalle prime prove il cinema della C. si prefigurò come riflessione filosofica, di taglio esistenziale, incentrato sulla condizione della donna nelle contraddizioni del mondo socialista. In Strop (1961, Il soffitto) viene descritta la vita di una studentessa che lascia la scuola per tentare vanamente di diventare modella, dovendo poi tornare tra i banchi prima di occupare il posto che la società le ha preparato. Con Pytel blech, un compatto mediometraggio, dal montaggio corto, sulla vita di un'operaia in un'industria tessile, inaugurò la Nová Vlna, analizzando la solitudine, i difficili rapporti gerarchici, la delusione nei confronti della vita, i limiti della 'via socialista'. In O něčem jiném (1963, Qualcosa d'altro), di cui fu assistente alla regia il giovanissimo Jíří Menzel, la C. raggiunse la maturità di uno stile che univa un tema esistenziale (la vuota ripetività della vita di due donne) a una forma inconsueta di cinéma vérité (racconto ellittico, in parallelo, ricorso al dettaglio, camera mobile, uso del tema dello specchio). La vita è ricerca o mancanza di 'qualcosa d'altro' anche in Sedmikrásky (1966, Le margheritine), dove la gioia di vivere, la bellezza, la gioventù sembrano non soddisfare più nessuno. Il film, scritto da Ester Krumbachová, ‒ vicenda volutamente slegata di due seducenti ragazze nella Praga degli anni Sessanta, tra rock socialista, bagni nella Moldava e finti adescamenti ai danni di uomini di mezza età ‒ ruota sull'insensatezza dell'esistenza, riuscendo, sul piano formale, come una delle migliori traduzioni cinematografiche delle contemporanee poetiche dell'assurdo, tra E. Ionesco, S. Beckett, H. Pinter e V. Havel. Significativi nel film gli esperimenti di Jaroslav Kučera (tra i più grandi operatori europei e marito della C.) sul colore, e le soluzioni di montaggio. La lettura filosofica della C. (sempre coadiuvata dalla Krumbachová) ribadisce l'impossibilità del desiderio e il fallimento dell'esistenza con il successivo Ovoce stromů rajských jíme (1970, Mangiamo i frutti degli alberi del Paradiso). A metà degli anni Settanta diresse Hra o jablko (1976; Il gioco della mela, premiato al Festival di Chicago nel 1977) film nel quale viene messo in satira, insieme al dongiovanni di turno (Jíří Menzel), il sistema ospedaliero del Paese, riflesso di una situazione sociale sempre più asfissiante. Panelstory (1981, Storie di case prefabbricate) è invece la tagliente parodia della moderna vita della neoperiferia popolare delle metropoli socialiste, glorificata da strutture edilizie invivibili. Il cortometraggio Praha, neklidné srdce Evropy (1987, Praga cuore inquieto d'Europa, una coproduzione RAI) le offrì un'altra possibilità di lavorare sul montaggio, sul colore e sull'accelerazione, presentando la città attraverso la sua 'inquieta' storia, osservata da punti di vista inconsueti anche per gli stessi praghesi. La disgrazia naturale di un trenino locale tra le montagne innevate è il tema di Kalamita (1982, Calamità): il piccolo convoglio sommerso dalla neve con i pochi passeggeri che temono per la loro vita e, infine, l'uscita a fatica nel desolato paesaggio invernale, è un'allusione fin troppo chiara e polemica al regime, tanto che il film fu censurato. Dopo Šašek a královna (1988, Il buffone e la regina), dal serrato montaggio parallelo, la C. ha girato Mí Pražané mi rozumějí (1991, I miei praghesi mi capiscono), primo cortometraggio post-regime, dove si ritorna a un montaggio rapido ed ellittico con camera a spalla e sono riconoscibili gli esperimenti sul colore di Jaroslav Brabéc. Il film, che racconta un viaggio a Praga compiuto da W.A. Mozart, alla ricerca di tranquillità, amori e ispirazione, è un sentito omaggio al musicista. La sete di denaro e di arricchimento veloce, che la libertà del periodo successivo al 1989 ha ingenerato in tutti gli strati sociali, è presa di mira in Dědictví aneb Kurvahošigutntag (1992, L'eredità ovvero kurvahošigutn-tag); il film, anch'esso dal montaggio sincopato, pur tornando a uno spiazzante stile surreale, spesso risolve la narrazione nella gag. Nel 1998, Pasti, pasti, pastičky (Trappole e trappoline, presentato a Venezia) racconta, tra cronaca e assurdo, la vendetta di una donna violentata da due uomini.
Nová Vlna. Cinema cecoslovacco degli anni '60, a cura di R. Turigliatto, Torino, 1994, pp. 112-16, pp. 249-56 e passim; Le cinéma tchèque et slovaque, éd. J.L. Passek, E. Hepnerová-Zaoralová, Paris 1996, p. 189.