VENUSTAS
Termine che gli scrittori latini riferiscono spesso all'arte per indicare una leggiadra e aggraziata bellezza, di carattere più femminile che maschile.
Cicerone (De off., i, 36) dice infatti che due sono 1 generi di bellezza: la v. e la dignitas e che la prima è muliebre, la seconda virile. Egli stesso (in Verr., ii, iv, 3, 5) adopera questo termine per definire due statuette bronzee di Canefore, e una capretta a Thermai scite facta et venusta (2, 87) ed è uno dei termini più usati per opere d'arte in pittura e scultura. Parrasio era celebrato per aver per primo dato alle sue figure venustatem oris (Plin., Nat. hist., xxxv, 67) e Nikophanes è detto pictor elegans et concinnus, ita ut venustate ei pauci comparentur (Plin., Nat. hist., xxxv, iii). La venusta species è un concetto peripatetico e stoico che passa nel linguaggio critico romano e si ritrova ad esempio in Vitruvio (li, 2, 3), dove è considerata uno degli aspetti dell'euritmia architettonica unita alla composizione ben ritmata dei varî elementi.
Bibl.: F. W. Schlikker, Hellenistische Vorstellungen von der Schoenheit des Bauewerkes näch Vitruv, Berlino 1940, pp. 73 ss.; 79; 126; G. Becatti, Arte e gusto negli scrittori latini, Firenze 1951, pp. 80; 100; 129; H. Jucker, Vom Verhältnis der Römer zur bildenden Kunst der Griechen, Basilea 1950, pp. 153-154.