venture capital
Mezzi finanziari investiti nel capitale proprio di società non quotate, di nuova attivazione o dotate di progetti ad alto potenziale di sviluppo. I fornitori delle risorse, detti v. capitalists, possono essere capitalisti individuali, talora chiamati angel (➔), società private, finanziarie pubbliche di sviluppo territoriale, a scala nazionale o regionale, o fondi comuni di investimento chiusi.
Scopo immediato dell’investimento è mettere a disposizione di un inventore, di un imprenditore o di un manager dotato di un progetto innovativo (potenzialmente ad alto rendimento) le risorse finanziarie necessarie al suo sviluppo, in una fase in cui né il sistema bancario, né il sistema delle borse sono propensi a intervenire vista l’alta incertezza dell’operazione. L’iniziativa si realizza mediante la sottoscrizione di un pacchetto azionario di minoranza (spesso accompagnato da un finanziamento convertibile a basso tasso di interesse) e dalla sigla di un accordo fra v. capitalist e imprenditore innovatore (o manager), corredato da patti parasociali molto precisi che regolamentano diritti e obblighi delle parti in causa. Oltre ai mezzi finanziari, il v. capitalist fornisce competenze e sostegno nelle relazioni con le istituzioni e i mercati finanziari, con gli enti territoriali, con le agenzie di sviluppo, e ove occorra anche supporto amministrativo-contabile e promozionale per colmare le lacune del nuovo imprenditore o comunque per consentirgli di concentrarsi interamente sullo sviluppo del progetto senza altre preoccupazioni. Singole figure a cavallo tra v. capitalist e consulenti, sono i business angels, i quali intervengono più spesso nella fase detta seed, cioè nella primissima fase sperimentale, in cui le esigenze finanziarie sono molto contenute rispetto a quelle consulenziali.
L’investimento mira a conseguire un congruo guadagno (una plusvalenza) dalla smobilizzazione dell’investimento realizzabile al momento in cui si raggiunge l’obiettivo di sviluppo, in un arco temporale compreso fra i 2 e i 4 anni dall’operazione iniziale. Si tratta di iniziative singolarmente ad alto rischio, e dunque a elevata probabilità di perdita di parte significativa dell’investimento, compensata dagli elevatissimi profitti ottenuti nei casi di successo. Lo smobilizzo avviene per collocamento delle quote azionarie (IPO, Initial Public Offerings) su un mercato di borsa, o per cessione delle quote a un fondo comune di investimento operante su società che hanno già raggiunto la fase dello sviluppo o per acquisizione (merger & acquisition) delle quote stesse da parte di grandi società interessate a impadronirsi delle nuove tecnologie o delle quote di nuovi mercati controllati dall’impresa. ● Per estensione si considerano iniziative di v. c. anche quelle destinate a sostenere operazioni straordinarie di rilancio di società fallite, o di radicale ristrutturazione dell’assetto proprietario o funzionale di un’impresa; spesso esse si realizzano con un’alleanza fra v. capitalist e uno o più manager. Tratti comuni a tutte le attività di v. c. sono la durata temporale, che è a priori limitata al breve-medio periodo, e l’obiettivo di far crescere in tale lasso di tempo l’impresa rendendola appetibile ad altri potenziali finanziatori (sia azionari sia bancari).
Il v. c. ha svolto un ruolo importante nello sviluppo, nel corso degli anni 1990, di nuove aziende nei settori dell’informatica e di internet, soprattutto negli Stati Uniti. Molte delle più note società nel campo della information technology sono sorte proprio grazie a interventi di v. c. (per es., Google, Tiscali). In Italia, l’organizzazione di categoria è l’AIFI (Associazione italiana del private equity e venture capital), nata nel 1986 con lo scopo di coordinare gli organismi attivi sul mercato dell’investimento in capitale di rischio. Tra essi vi sono banche, nazionali e internazionali, società finanziarie regionali e di partecipazione, società di gestione dei fondi chiusi italiani, società pubbliche per lo sviluppo di progetti imprenditoriali. A fine 2011 in Italia sono state raccolte complessivamente risorse per oltre 2 miliardi di euro (−29% rispetto al 2010). Esse provengono nel 79% dei casi da operatori italiani e per il restante 21% dall’estero. L’evoluzione degli operatori associati e l’origine dei capitali raccolti per tipologia di fonte sono riportate, rispettivamente, nelle figure 1 e 2.