VENTURA da San Floriano
VENTURA da San Floriano. – Figlio di un Gerardo, nacque attorno al 1190 in Valpolicella presso Verona (S. Floriano è una delle pievi di quel territorio) o in città ove il padre (talvolta appellato dominus nella documentazione; morto nel 1246 o poco prima) forse si trasferì verso la fine del XII secolo, in una fase nella quale l’inurbamento dalle colline alla città di Verona fu intenso.
È infatti talvolta detto «de Pigna», la contrada del centro urbano nella quale risiedette. Un suo fratello, Giovanni a sua volta definito ‘della Pigna’, fu «magister» (o «professor») «gramatice» e tenne scuola, dapprima nella contrada di Muronuovo e poi (almeno dal 1242) in detta contrada; fu autore di un’importante Grammatica completa seu summa grammatice (Verona, Biblioteca capitolare, ms. CCXLVII). Negli anni Trenta e Quaranta Giovanni compare alcune volte come testimone ai documenti rogati dal fratello; morì probabilmente nel 1258.
Ventura conseguì la qualifica di notaio nel secondo decennio del XIII secolo, quando Federico II era ancora re di Germania e non imperatore. Nel 1220 godeva già di un certo prestigio: in tale data presenziò, nel palazzo del Comune di Verona, a un importante arbitrato del giudice comunale fra il monastero di S. Giorgio in Braida e la comunità a esso soggetta di Sabbion; con lo stesso ente fu in relazione nel 1224. Un paio di anni dopo (1226) compare un «dominus Ventura [...] qui regit scolas ad S. Andream» (Moschetti, 1990, p. XLI) che è con ogni probabilità da identificare nel nostro.
Come testimone o rogatario, Ventura è attestato con una certa regolarità nella documentazione veronese del trentennio successivo: nel 1229 (definito «magister Ventura causidicus notarius»), nel 1231 (due volte), nel 1238 (roga il testamento di Alberico arciprete di Cerea), nel 1239 (redige un documento del monastero di S. Giorgio in Braida e nel palazzo del Comune, identificato questa volta come «frater magistri Iohannis», presenzia a un atto amministrativo importante), nel 1240 (due volte), nel 1242 (in casa del giurista Iacopo di Ardizzone da Broilo, il futuro autore della Summa feudorum), nel 1246 (due volte), nel 1247 e nel 1249. In quest’ultima occasione (18 gennaio), definito ancora come magister, è teste a un importante provvedimento preso dal podestà e da uno dei consoli della Domus mercatorum, la potente associazione che coordinava le corporazioni veronesi; ciò prova il pieno inserimento di Ventura nell’establishment al potere durante il ventennio di predominio di Ezzelino III da Romano.
La maggior parte di questi documenti riguardano però uomini e donne provenienti dalla Valpolicella o beni ubicati in quel territorio. È evidente che nella società urbana, nella quale Ventura appare bene inserito, restava vivo e operante il network di relazioni familiari e personali generatosi nell’ambiente rurale.
Nel 1254 «magister Ventura notarius», insieme con il figlio Giovanni, compare nella lista dei cives della contrada Pigna che giurarono, come tutti i maschi adulti residenti a Verona, un accordo stretto fra il Comune di Verona (di fatto, Ezzelino III) e il Comune di Cremona (di fatto, Uberto Pallavicino). Di per sé questa scelta è poco probante rispetto all’atteggiamento politico di Ventura; più significativo del suo sostanziale consenso al regime vigente, o della sua accettazione di esso, è invece il fatto che il 18 luglio 1257 egli abbia rogato il testamento del miles Avogaro Aleardi da Castello, strenuo sostenitore di Ezzelino III.
In data imprecisata, ma molto probabilmente agli inizi degli anni Quaranta, Ventura cominciò a mettere insieme – a vantaggio dei suoi colleghi notai veronesi («sociorum utilitati [...] duxi fideliter conferendos») – un formulario notarile da lui denominato cartularium, comprendente sia una serie di contractus (ovvero veri e propri facsimili, redatti come d’uso adottando una onomastica convenzionale e senza data topica e cronica) sia l’illustrazione di atti procedurali del processo, gli uni e gli altri corredati frequentemente di notule doctrinales. In un buon numero di questi testi sopravvivono comunque riferimenti a persone concrete, in particolare a funzionari e podestà del Comune di Verona; sulla base di questi dati (peraltro problematici, perché non sempre identici nei due manoscritti di seguito citati) e in particolare dei frequenti riferimenti a Enrico da Egna, podestà di Verona tra il 1241 e il 1247, l’editore del cartularium (Moschetti, 1990) ha collocato persuasivamente la parte sostanziale del lavoro di Ventura fra il 1241 e il 1244. L’autore proseguì poi l’opera sua negli anni immediatamente successivi, probabilmente sino al 1250 circa. È verosimile – lo dimostra un riferimento a Corrado IV (morto nel 1254) – che il testo abbia circolato e sia stato aggiornato già negli anni immediatamente successivi.
Il cartularium di Ventura è tràdito da due manoscritti della seconda metà del Duecento (all’incirca coevi, anche sulla base di un confronto paleografico): quello conservato alla Biblioteca Marciana di Venezia (ms. Cl. V lat., 44) reca l’intestazione (che sembra della stessa mano che redige il manoscritto) «incipit cartularius», l’altro della Biblioteca comunale di Verona (ms. 1323, mutilo di un intero quaternione) inizia invece ex abrupto e in modo dimesso, definendo la compilazione «presentes contractus». Le differenze tra i due testimoni non sono irrilevanti; nel complesso, il manoscritto marciano è più completo e più ordinato.
La raccolta di Ventura è conosciuta sin dai primi del Novecento, quando Hans von Voltelini, Enrico Besta (che coltivò il progetto di pubblicarlo) e Benvenuto Pitzorno ne estrassero e pubblicarono alcuni specimina. Resta ancora valido nell’insieme il giudizio di Besta, secondo il quale questo testo non è redatto sulla falsariga dei modelli già esistenti (il Magliabechiano, il formulario di Ranieri da Perugia, quello di Bencivenni da Norcia) dai quali anzi «è del tutto o quasi indipendente» (Besta, 1904-1905, p. 1163). Lo prova tra l’altro la definizione stessa (cartularium, non formularium) e la disposizione della materia, che parte dalla materia matrimoniale per passare poi agli atti redatti a titolo oneroso, a quelli a titolo gratuito, agli atti societari e così via; «le formule rivelano una tradizione notarile nettamente individuata a confronto della bolognese» (ibid., p. 1168). I modelli sono dunque derivati ‘artigianalmente’ dalla quotidiana attività dell’autore e quella di Ventura è tra le compilazioni duecentesche che «portano [...] più profonde le impronte del particolarismo locale» (ibid., p. 1171). Frequentissimi sono infatti nell’opera i riferimenti al Liber iuris civilis del Comune di Verona (1228) e alle sue aggiunte immediate, e molto stretti, di conseguenza, anche i rapporti con le imbreviature trentino-tirolesi di Oberto da Piacenza di Jacob Haas, illustrate ai primi del Novecento dalla «penna maestra di von Voltelini»: così Besta (1904-1905, p. 1172), che pure si era opposto (1903) a un’ipotesi dello studioso tirolese a proposito dei rapporti fra il testo di Ventura e talune formule adottate in area alpina.
Guiscardo Moschetti dedicò lunghi studi a Ventura da San Floriano e al suo testo (la sua edizione uscì postuma nel 1990). Egli ricostruì una biografia ben documentata dell’autore e riuscì a collocare cronologicamente la parte sostanziale del lavoro di redazione. Inoltre, in un commento amplissimo e un po’ dispersivo, analizzò a fondo le notulae iuris di Ventura, ricercandone il retroterra dottrinale, ed evidenziò un reticolo fittissimo di relazioni e di riscontri (talvolta congetturali, ma spesso azzeccati e indubitabilmente dimostrati) tra le scelte del colto notaio e la documentazione notarile veronese della prima metà del Duecento. Ventura sembra aver avuto tra le mani tanto i testi della Glossa, quanto soprattutto gli ordines iudiciarii di Ranieri da Perugia e di Tancredi; conobbe inoltre la Summa feudorum di Ardizzone da Broilo, che proprio allora il suo concittadino, contemporaneo e vicino di casa veniva compilando.
Ventura morì fra il luglio del 1257 e il novembre del 1258, quando il testamento del fratello Giovanni «magister gramatice filius condam domini Gerardi de Sancto Floriano», rogato «in carcere Sancti Nazarii» (in un contesto di dura repressione da parte del vacillante regime di Ezzelino III; cfr. Moschetti, 1990, p. LXXXVIII), lo ricorda come defunto.
Nella circostanza si menzionano tre suoi figli: Enrico, Ventura jr. e Nicolò, ma non Giovanni, che verosimilmente era scomparso fra il 1254 e il 1258. In ogni caso, erede di Ventura fu il figlio omonimo, che nel maggio del 1260 saldò alla cognata Eluritas, vedova di Giovanni, quanto le spettava per la dote. Ventura jr. seguì le orme del padre nell’attività professionale e nel 1268 compare nella matricola dei notai veronesi; anche suo figlio Marcabello fu notaio, attivo a fine Duecento.
Fonti e Bibl.: Edizione: G. Moschetti, Il cartularium veronese del magister Ventura del secolo XIII, Napoli 1990 (pp. I-CXXVI introduzione con appendice documentaria, pp. 1-270 edizione). Archivio di Stato di Cremona, Comune, Archivio segreto, perg. 2343 (1254); G. Valentinelli, Bibliotheca manuscripta ad S. Marci Venetiarum, Codices mss. Latini, III, Venetiis 1870, p. 29; G. Biadego, Catalogo descrittivo dei manoscritti della Biblioteca Comunale di Verona, Verona 1892, pp. 233 s.
E. Besta, Di alcune pretese allegazioni della «Lex romana rhaetica curiensis» in documenti veronesi e trentini del secolo decimoterzo, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, XXV (1903), pp. 292-301 (con confutazione di un articolo di H. von Voltelini a proposito delle reminiscenze retiche nella formula di rinuncia antique iurisdicionis Recie); B. Pitzorno, La legittimazione nella storia delle istituzioni familiari del medioevo, Sassari 1904, pp. 263 ss. (Appendice I, Dal formulario di V. notaio in Verona, (ante 1250)); E. Besta, Un formulario notarile veronese del secolo XIII, in Atti dell’Istituto veneziano di scienze, lettere ed arti, LXIV (1904-1905), pp. 1161-1178; L. Simeoni, Prefazione, in Gli antichi statuti delle arti veronesi secondo la revisione scaligera del 1319...., a cura di L. Simeoni, Venezia 1914, p. LXI; C. Garibotto, I maestri di grammatica a Verona (dal ’200 a tutto il ’500), Verona s.d. (ma 1921), pp. 11 s.; G. Faccioli, Della corporazione dei notai di Verona e del suo codice statutario del 1268, Verona 1966, p. 54; G. Sancassani, V. da S. F. e il suo formulario, in Il notariato veronese attraverso i secoli. Catalogo della mostra in Castelvecchio, Verona 1966, pp. 119-122; Id., Notizie genealogiche degli Scaligeri di Verona: le origini (1147-1277), in Verona e il suo territorio, III, 1, Verona scaligera. La storia, Verona 1975, p. 317; R. Avesani, La cultura veronese dal sec. IX al XII, in Storia della cultura veneta, I, Vicenza 1976, p. 270; G.M. Varanini, Il formulario notarile di V. da S. F., in Id., La Valpolicella dal Duecento al Quattrocento, Verona 1985, p. 127; G. Gardenal, Aspetti e problemi dello studio grammaticale nel Medioevo: Giovanni da Pigna, maestro veronese del sec. XIII, in Quaderni veneti, IV (1988), 7, pp. 34-36; G.M. Varanini, Monasteri e città nel Duecento: Verona e S. Zeno, in Il liber feudorum di S. Zeno di Verona (secolo XIII), a cura di F. Scartozzoni, Padova 1996, p. XLI nota; G. Gardoni - G.M. Varanini, Notai vescovili del Duecento tra curia e città (Italia centro-settentrionale), in Il notaio e la città. Essere notaio: i tempi e i luoghi (sec. XII-XV), a cura di V. Piergiovanni, Milano 2009, p. 247; A. Stella - G.M. Varanini, Scenari veronesi per la Summa feudorum di Iacopo di Ardizzone da Broilo, in Honos alit artes. Studi per il settantesimo compleanno di Mario Ascheri, a cura di P. Maffei - G.M. Varanini, I, Firenze 2014, p. 261; G.M. Varanini, Dalla nobiltà al patriziato. Un caso veronese: la famiglia Aleardi..., in «Ingenita curiositas». Studi sull’Italia del Medioevo per Giovanni Vitolo, a cura di B. Figliuolo - R. Di Meglio - A. Ambrosio, I, Battipaglia 2018, p. 76.