VENTOTENE (A. T., 24-25-26 bis)
Une delle Isole Pontine, la seconda per superficie (1,3 kmq.) situata a circa eguale distanza tra Ischia e Ponza, 50 km. a SSO. di Gaeta. Insieme con la vicina isoletta di Santo Stefano rappresenta la parte terminale di un grande cono vulcanico, costituito in prevalenza da rocce di tipo basico (basalti e andesiti). L'isola, di forma allungata con un'ampiezza massima di 850 m. e una lunghezza di km. 2,7, risulta formata da un piano inclinato culminante a SO. nel Monte dell'Arco (139 m.). Nell'estremità nord-orientàle dell'isola sorge il paese omonimo, il cui porto comunica col mare aperto per mezzo di uno stretto canale. La popolazione, che complessivamente conta 1239 ab., è dedita soprattutto alla coltivazione della vite, che dà un prodotto pregiato. Si coltivano anche alberi da frutta (fichi soprattutto) e legumi.
Nel comune di Ventotene rientra l'isola di Santo Stefano. Servizî regolari di navigazione uniscono Ventotene a Napoli, a Gaeta e alle altre isole pontine.
Storia. - L'isola fu nota nell'antichità con il nome di Pandataria Παυδαταρία, Πανδαρέρια, Πανδατωρία, anche Pandaria, Pandotira, Pontopieri, Bentilem e Partenope nelle carte medievali e nei portolani. Per la sua vicinanza al continente, la posizione e la fertilità del suolo l'isola servì certamente di punto d'appoggio alle prime colonizzazioni greche dell'età storica; ipotesi questa suffragata anche dal nome greco con il quale essa fu sempre designata. Mancano però notizie del periodo storico più antico.
Pandataria dovette ben presto divenire, come Ischia, colonia romana, forse dal 326, e tale rimase fino all'età imperiale. Molto più tardi la sua menzione è fatta da storici e geografi, ma vi è discordanza di dati sulla sua esatta ubicazione. Al tempo di Augusto era già un possedimento della casa imperiale, nel quale sin dal 12 d. C., quando con la lex Iulia fu trasformata in sede di relegazione per i membri della casa imperiale, vi furono confinate successivamente Giulia di Augusto, Agrippina di Germanico e Ottavia di Nerone. Ottavia, ventenne, vi fu fatta svenare dai sicarî di Nerone. Più tardi Pandataria accolse in esilio Flavia Domitilla.
Tutta l'isola era un solo predio imperiale racchiudente una grandiosa villa, i cui sparsi ruderi, noti da tempo, emergono ancora oggi con le mutile fabbriche di reticolato e laterizî: la villa ripete nelle linee generali la disposizione e la struttura di altre ville marittime. L'edificio era congiunto a una banchina di approdo da una scala scavata nel tufo dalla quale si accedeva a un grande vestibolo. Da questo si diramava una comoda rampa che, sviluppandosi in curva, metteva in comunicazione con le varie parti della villa: un peristilio di marmo lunense con triclinî; esedre e un completo impianto di bagno; un'esedra in forma di piccolo odeon prospiciente un giardino; un minuscolo stadio; un'ampia terrazza sul mare (ambulatio). Verso settentrione si notano gli avanzi di un grande serbatoio semicircolare in servizio della villa. Da altri serbatoi più lontani per mezzo di una galleria sotterranea a lucernarî era distribuita l'acqua in tutte le parti dell'isola. Del quartiere anteriore di questa, atrio, cubicoli e tablino, non esistono più i resti. Infine un altro nucleo di fabbriche, riconoscibili come celle disposte intorno a una corte, è da ritenere come un avanzo di un quartiere militare separato dalla villa, destinato ad alloggiare la guarnigione di scorta all'imperiale carcere.
La zona archeologica più notevole dell'isola è costituita però dal porto, le cui opere, in buono stato di conservazione, appartengono tutte e una unica fase di costruzione e restano un esempio cospicuo di architettura marittima romana. Il porto era costituito da un piccolo bacino, munito intorno di marciapiede (crepido), da un portico e da un cantiere (navale), da un piccolo molo rinforzato da un frangi-onde, e da svariate opere accessorie per la costruzione e il raddobbo delle navi. A questo ermo rifugio approdò, con mare tempestosissimo, Caligola, quando vi venne a rilevare le ceneri della madre Agrippina.
Dopo la caduta dell'impero romano, Pandataria come le altre Isole Pontine restò in balia di sé stessa. L'imperatore d'Oriente che la tenne fino al sec. IX l'adibì a ricovero delle flotte. Organizzata in castaldia fu qualche tempo sotto la presidenza di un comito, alle dipendenze dell'ipato di Gaeta, attraverso oscure vicende, per le quali l'isola passò volta a volta in dominio del ducato di Gaeta o fu preda delle invasioni saracene e dominio privato e poi della chiesa di Gaeta; venne infine ceduta in enfiteusi al duca di Ariano, Alberico Carafa. Nel 1542 era assegnata al duca di Castro, Pier Luigi Farnese, e da questo passava in definitiva proprietà della famiglia Farnese e quindi dei Borboni di Napoli.
Bibl.: G. Tricoli, Monografia per le isole del gruppo ponziano, Napoli 1855; J. Beloch, Campanien, Breslavia 1890, p. 810; L. Jacono, Un porto duomillenario, in Atti del terzo Congresso nazionale degli studi romani, II, Roma 1933.