VENTO
Cause del vento. - Le cause principali che dànno origine ai venti sono tre: squilibrî termici fra le varie parti della atmosfera, rotazione della terra e instabilità verticale dell'atmosfera. Le prime due cause dànno luogo alla cosiddetta "circolazione generale dell'atmosfera"; in più, dalla prima e dalla terza derivano i varî tipi di vento di origine locale.
Oltre a queste cause principali, occorre poi tenere presente che dall'incontro e dalla reazione tra correnti aeree possono provenire moti oscillatorî (anche con periodi estremamente lunghi: per es., uno o due giorni) o vorticosi. Gran parte dei venti delle nostre regioni proviene da questa causa (v. appresso).
Venti provenienti dagli squilibrî termici fra le varie parti dell'atmosfera. - Quando nell'atmosfera vi sono differenze di temperatura in senso orizzontale, l'aria calda tende a sollevarsi e quella fredda a prenderne il posto, dando così origine a un vento. Questa causa può agire su sccale estremamente svariate: dalla piccola circolazione che si forma quando si apre la finestra in una camera con temperatura diversa dall'esterno, fino alla circolazione generale dell'atmosfera, per la quale l'aria fredda delle regioni polari tende ad andare a prendere il posto dell'aria calda della zona torrida.
La teoria matematica di questo tipo di movimento dell'aria è stata fatta da Vilhelm Bjerknes. Egli considera nel fluido in esame, in particolare nell'atmosfera: le isobare (linee o superficie di uguale pressione) e le isostere (linee o superficie di uguale densità). Nel caso più semplice nel quale l'atmosfera è in quiete e non si hanno differenze di pressione o di temperatura in senso orizzontale, sia le superficie isobariche sia le superficie isosteriche sono piani orizzontali (perché sia la pressione, sia la densità vanno diminuendo continuamente con il crescere dell'altezza).
Stando così le cose non vi è alcuna ragione perché nascano dei venti e il gradiente verticale di temperatura, purché resti entro certi limiti, non ha alcuna influenza.
Se l'atmosfera non è in quiete, ma permane la mancanza di gradiente termico orizzontale, le superficie isobare e isostere non sono più piani orizzontali ma superficie variamente deformate; permane però sempre il parallelismo tra le superficie isobare e quelle isostere. Invece con un gradiente orizzontale di temperatura le isobare e le isostere non sono più parallele e dalle loro intersezioni nasce un sistema di tubi, detti tubi isobari-isosteri: ebbene, Bjerknes ha dimostrato che l'accelerazione della circolazione del fluido lungo una certa linea è proporzionale al numero di tubi unitarî isobari-isosteri abbracciati dalla linea in esame. Supposto che a un certo istante l'atmosfera sia in quiete, questa accelerazione causerà un vento che permarrà fino a quando il rivolgimento dell'aria da essa prodotto non avrà portato a una scomparsa dei gradienti orizzontali di temperatura, ovvero, se questi gradienti sono mantenuti da una causa estranea, il vento continuerà a crescere fino a quando l'azione frenante degli attriti, i quali aumentano con il crescere della velocità della circolazione, non compenserà l'accelerazione sopra detta.
Questo teorema risolve in modo esauriente i problemi relativi ai venti causati da effetto termico; la sua importanza proviene dal fatto che è legge generale dell'idrodinamica che, quando un fluido perfetto è in movimento irrotazionale, questo movimento permanga quali che siano le forze agenti sul fluido. Si è invece visto come anche in un fluido perfetto possano sorgere ex novo anche moti vorticosi; questa possibilità sembrava esclusa da un'interpretazione troppo restrittiva delle leggi dell'idrodinamica classica.
Proviene in gran parte da questa causa la circolazione generale atmosferica, che ha come principale sorgente d'energia appunto la differenza di temperatura tra equatore e poli. Una circolazione atmosferica del tipo di quella che può prevedersi dal teorema di Bjerknes si ha effettivamente tra circa 40° N. e 40° S.; al difuori di questa zona altri fattori perturbano notevolmente la circolazione generale atmosferica, come vedremo più avanti.
Da tale causa provengono anche varie circolazioni locali. Infatti l'influenza che si esercita su vasta scala per le differenze di temperatura fra equatore e poli si manifesta in scala più ridotta tutte le volte che una certa zona della superficie terrestre è più calda o più fredda delle zone circostanti. Le principali cause dello squilibrio di temperatura sono due:
1. il differente coefficiente di assorbimento del suolo per la radiazione solare, per effetto del quale le varie zone hanno una diversa temperatura media;
2. la diversa capacità calorifica del suolo nelle varie località, la quale fa sì che le oscillazioni di temperatura, pur centrate sulla stessa media, diano luogo a oscillazioni termiche di diversa ampiezza, e quindi a squilibrî termici nei periodi estremi; questa causa darà quindi origine a venti che invertiranno periodicamente le loro direzioni.
Pur non dovendosi trascurare la prima causa, è certo che nella grande maggioranza dei casi predomina la seconda.
È poi importante avvertire che se l'effetto in questione si esercita su zona molto vasta, l'azione del moto di rotazione della terra tenderà a causare una circolazione intorno alla zona a temperatura diversa: ciclonica se la zona è calda, anticiclonica se la zona è fredda.
Secondo quanto ci suggerirebbe l'intuizione, se in una certa zona, per una maggior temperatura dell'aria o per altre cause, si ha un minimo barometrico, l'aria delle zone circostanti dovrebbe precipitarsi a colmarlo; sembrerebbe si dovessero avere venti normali alle isobare, diretti dalle zone di alta pressione verso quelle di bassa; invece guardando le carte del vento si osserva che questo ha una speciale tendenza ad andare parallelamente alle isobare e, se non fosse per l'influenza dell'attrito sul suolo, tale parallelismo sarebbe ancora più accentuato.
Possiamo renderci conto della causa di questo fatto pensando che quando questo avviene la depressione si colma immediatamente e può mantenersi solo se ha origine un sistema vorticoso nel quale la forza centrifuga fa equilibrio all'azione deviante dovuta al gradiente barometrico e alla rotazione terrestre.
Queste considerazioni possono applicarsi ai grandi continenti e ai grandi oceani, poiché la terra è d'inverno più fredda e d'estate più calda dei mari circostanti. La circolazione che ne deriva non è però riconoscibile a prima vista sulle carte dei venti perché soverchiata da altri elementi della circolazione generale atmosferica. Tra gli effetti termici d'origine continentale il più evidente è la formazione nell'inverno di un anticiclone stabile centrato sull'Eurasia (anticiclone siberiano), e come l'Eurasia è il più grande dei continenti, così l'anticiclone siberiano è eccezionale come intensità e dimensioni: in esso la pressione media raggiunge i 1035 mb. (777 mm.; v. fig. 9).
Scendendo a una scala minore, fenomeni analoghi si manifestano nelle zone terrestri e marittime di minore estensione: con il diminuire delle dimensioni gli effetti dovuti alle variazioni annue passano come importanza dietro a quelli dovuti alle variazioni diurne, e i venti con direzione radiale acquistano una maggiore importanza in confronto alle circolazioni.
A questi ultimi venti, e generalmente a tutti quelli che cambiano di direzione con periodo diurno, si dà il nome di brezze (v. brezza). Si ha così la brezza di terra che la mattina, quando il mare è caldo e la terra è fredda, soffia dalla terra verso il mare. La brezza di mare invece la sera, quando il mare è freddo e la terra è calda, spira dal mare verso la terra. Queste brezze in alcuni luoghi ricevono nomi speciali: così, per es., il "ponentino" di Roma è una brezza di sia di mare. Per quanto la differenza di capacità termica fra terra e mare sia di gran lunga la più importante causa produttrice di brezze, non ne è però la causa esclusiva e vi sono varie altre possibili cause. Basti citare le brezze di monte e di valle dovute al differente equilibrio termico fra le zone elevate e le zone sottostanti delle regioni collinose o montuose.
Su scala ancora minore basta il differente coefficiente di assorbimento termico e la diversa capacità calorifica dei varî tipi del suolo: prati, boschi, terreno fabbricato, laghetti, ghiacciai, ecc., per dare origine a venti e a correnti discendenti e ascendenti tutt'altro che trascurabili. Questi movimenti hanno ricevuto in passato una limitata attenzione, ma la loro importanza è oggi assai aumentata, in quanto i venti ascendenti possono essere utilizzati per il volo a vela (v. volo: Il volo a vela); inoltre la loro considerazione è di pariicolare importanza nel determinare il comportamento delle nubi aggressive o fumogene nella guerra chimica. Queste correnti sono poi particolarmente avvertite dai navigatori dei palloni liberi o frenati.
Effetto della rotazione della Terra. - Il principio della conservazione dei momenti c'indica che una massa d'aria, quando si avvicina o allontana dall'asse terrestre, tende a conservare il proprio momento rispetto a detto asse. Questo avvicinamento o allontanamento avviene ogni volta che l'aria si muove nella direzione del meridiano (si ha un vento con componente nord-sud). In questo caso per effetto della conservazione del momento ogni vento che abbia una componente nord-sud è deviato verso destra nel nostro emisfero e verso sinistra nell'emisfero sud.
Per i venti più deboli e soprattutto per i venti che non percorrono un cammino assai esteso, l'effetto di questa azione è assai piccolo e la sua manifestazione più tangibile consiste nel fatto che esso determina la direzione prevalente di rotazione dei vortici aerei, la quale (per i vortici ciclonici) è appunto nel senso delle lancette dell'orologio nell'emisfero sud e in quello contrario nell'emisfero nord. Per i vortici più piccoli questa è una semplice indicazione di preferenza, invece per quelli grandi (cicloni e depressioni) la legge è assoluta e non si conoscono esempî di cicloni che abbiano il senso di rotazione invertito. I vortici anticiclonici girano in senso contrario.
Infine la tendenza alla equidistribuzione dei momenti porta a una tendenza delle varie parti dell'atmosfera a rotare più o meno rapidamente della terra solida, secondo la loro distanza dall'asse polare (v. appresso).
Effetto dell'instabilità dell'atmosfera. - Se il gradiente termico dell'atmosfera supera il gradiente adiabatico (v. troposfera), l'atmosfera perde la sua stabilità e l'aria degli strati sottostanti tende a prendere il posto di quella degli strati superiori. Questo rivolgimento può dare origine a circolazioni locali e a correnti verticali di notevole intensità, alle quali sono in particolare dovute le formazionì nuvolose del tipo dei cumuli o cumuli nembi.
Questo processo è rinforzato del fatto che, iniziatasi la condensazione, il calore di condensazione liberato aumenta la temperatura dell'aria ascendente e tende quindi a prolungarne l'ascesa (v.: meteorologia: Circolazioni particolari, XXIII, p. 83). In condizioni favorevoli il movimento ascendente può raggiungere tali proporzioni da dare luogo per il richiamo d'aria da esso causato alle trombe o addirittura ai cicloni tropicali (v. ciclone; tifone; tornado).
Venti di origine secondaria. - Quando una corrente aerea rasenta il suolo, ovvero quando si ha una superficie di separazione tra due correnti aeree aventi velocità o direzioni differenti, si forma nello strato più vicino al suolo o alla superficie di discontinuità, una zona di movimenti vorticosi dell'aria. I fenomeni vorticosi che si manifestano all'incontro di due correnti aeree possono presentarsi come fenomeni di turbolenza o di microturbolenza, e in questo caso hanno un'importanza limitata. Ma possono anche svolgersi su una scala assai più vasta: il calcolo mostra che mentre oscillazioni di piccola lunghezza d'onda e di breve periodo hanno tendenza a smorzarsi (almeno con le comuni caratteristiche delle superfici di discontinuità dell'atmosfera), invece onde della lunghezza di migliaia di chilometri e del periodo di qualche giorno hanno tendenza ad approfondirsi e possono quindi dare origine a fenomeni di grande portata. Effettivamente si osserva che queste onde dànno luogo a perturbazioni cicloniche di grande estensione, che sono appunto quelle che determinano il cattivo tempo delle nostre regioni (v. meteorologia).
Circolazione generale dell'atmosfera: circolazione calcolata. - A un primo esame appare chiaro che le prime due cause di origine dei venti sopra esaminate si dividono nettamente il campo. La differenza dí temperatura fra equatore e poli porta come conseguenza naturale uno spostamento di aria fredda e pesante dai poli verso l'equatore, movimenti ascendenti nella zona equatoriale e una corrente di ritorno agli strati elevati, la quale, unitamente a movimenti discendenti nelle regioni polari, chiuderebbe il circuito (fig. 2). Insomma una circolazione puramente meridiana, detta così perché per effetto di essa una particella di aria che a un certo momento si trova su un certo piano meridiano resta sempre sul piano stesso. La circolazione reale osservata corrisponde abbastanza bene con quella osservata nelle zone a bassa latitudine.
Per contro l'influenza della rotazione terrestre dà origine ai venti con componente zonale (lungo i paralleli). Per rendersi conto dei suoi effetti si potrebbe considerarne singolarmente l'azione deviante su tutti i singoli venti aventi circolazione nord-sud. Questo sarebbe alquanto complesso, ma si può ottenere più semplicemente il risultato desiderato tenendo conto che, se questa sola forza fosse in giuoco, lo stato di equilibrio di una massa gassosa in rotazione si avrebbe quando le velocità angolari fossero inversamente proporzionali alle distanze dell'asse di rotazione. Si dovrebbe avere quindi un moto di rotazione dell'aria più lento nelle parti equatoriali e più rapido alle alte latitudini: è importante notare che questo stato di equilibrio resta il medesimo qualunque sia l'intensità dei venti che spirano in direzione meridiana; anche in assenza dei venti tale equilibrio sarebbe egualmente ottenuto con il trasporto dei momenti effettuato attraverso l'agitazione molecolare dell'aria.
Poiché però il movimento della terra solida (massimo all'equatore e nullo ai poli) ha un andamento assolutamente diverso e poiché gli strati inferiori dell'aria vengono trascinati dalla crosta terrestre nella sua rotazione, così l'equidistribuzione dei momenti manifesta la sua azione con una tendenza dell'aria verso la posizione di equilibrio; si avrà così che all'equatore l'atmosfera roterà meno rapidamente della terra solida, mentre roterà più rapidamente a latitudine elevata e questo effetto sarà tanto più accentuato quanto più ci si eleverà in altezza. Effettivamente i dati osservati nella troposfera mostrano una buona concordanza con quanto abbiamo detto: si veda, per es., la fig. 1 dovuta allo Show: in essa è nettissimo lo scalamento dell'atmosfera nel senso previsto nella zona torrida e in quella temperata. Vedremo più avanti i motivi per i qualì la concordanza non si mantiene nelle regioni polari.
Circolazione generale reale. - L'esame dei fatti mostra un accordo solo parziale tra le previsioni fatte e la realtà. Precisamente: la circolazione trovata, anziché estendersi tra l'equatore e i poli, si estende solo dall'equatore fino a circa 30-40° N. e S.; la tendenza all'equipartizione dei momenti, ben visibile nella zona torrida e in quella temperata non prosegue in quella polare.
Inoltre i risultati ottenuti se chiarivano alcuni punti della circolazione generale dell'atmosfera erano però del tutto insufficienti a spiegarne numerose caratteristiche e a ottenere dati quantitativi attendibili.
I più recenti progressi hanno indicato le cause principali di queste discrepanze: esistenza di circolazioni cellulari oltreché meridiane ed esistenza di superficie di discontinuità.
Cominciamo prima col considerare l'influenza di queste ultime: facciamo dapprima l'ipotesi che a una certa latitudine, lungo tutto un parallelo, si elevi un diaframma che separi interamente le porzioni dell'atmosfera poste dalla parte dell'equatore da quelle poste dalla parte del polo. Ne verrà di conseguenza che, sia il processo di distribuzione dei momenti, sia le circolazioni tendenti a uniformare la temperatura, potranno svilupparsi solo nelle zone comprese tra i diaframmi. Ora le superficie di discontinuità esistenti nell'atmosfera (v. meteorologia) producono un risultato assai similc a quello di un diaframma e limitano effettivamente, tal quale farebbe un diaframma materiale, sia la equidistribuzione dei momenti, sia le varie circolazioni d'origine termica.
Una superficie di discontinuità particolarmente importante a questo riguardo è il fronte polare che sta praticamente in permanenza tra 40° e 60° sia nord, sia sud. La sua presenza spiega il fatto già rilevato che il moto dell'aria delle regioni polari non segue il moto, accelerato rispetto alla superficie terrestre, dell'aria della zona temperata. Analogamente la circolazione termica si arresta prima dei 45°.
Dobbiamo poi tenere presente che la circolazione destinata ad equilibrare la temperatura tra poli ed equatore può avvenire non solo nel modo comunemente considerato (fig. 2, circolazione meridiana) ma anche nel modo indicato dalla fig. 3 (circolazione zonale) e fig. 4 (circolazione cellulare), ed effettivamente i dati osservati mostrano che la circolazione reale è formata dalla sovrapposizione della circolazione cellulare (fig. 4) alla circolazione meridiana. La circolazione zonale pare invece presentare un contributo assai inferiore a quello delle altre forme. Le figure 5 e 6 mostrano le traiettorie schematiche dell'aria in questa circolazione combinata (per semplicità di disegno le traiettorie sono state rappresentate, nelle figure, come linee chiuse benché questo in genere naturalmente non avvenga).
Distribuzione del vento nella superficie terrestre. - Le figure 7 e 8 ci indicano la distribuzione media dei venti durante i due mesi caratteristici dell'anno: gennaio e luglio. In esse sono riportati i venti solo sui mari, perché nelle stazioni terrestri l'importanza delle perturbazioni locali è in genere talmente forte da mascherare il più delle volte la tendenza generale del vento.
Per avere dati attendibili sulla direzione media generale del vento indipendentemente dalle perturbazioni locali è molte volte preferibile dedurre il vento dalle carte delle pressioni (figg. 9-10) attraverso le note relazioni tra pressione e vento (v. meteorologia) e tenendo conto che il vento ha tendenza a essere parallelo alle isobare. I dati così ottenuti rischecchiano l'andamento generale del vento meglio che non i dati dedotti da osservazioni di singole stazioni.
Dal semplice esame di queste due figure possiamo distinguere diverse zone. Colpisce anzitutto la nostra attenzione la zona tra 25° N. e 25° S. nella quale si hanno in gran prevalenza venti forti diretti verso l'equatore (più esattamente verso l'equatore termico) ma deviate verso E. per effetto della rotazione della Terra, venti che sono notevoli per la loro costanza. Per la loro costanza questi venti sono stati chiamati alisei (v.).
Tra le due fasce di alisei sta la zona delle calme equatoriali, che corrisponde (v. sopra) alla zona dei forti movimenti ascendenti di aria. Sia da quanto abbiamo detto prima sulle cause della circolazione atmosferica nella zona tropicale, sia dal confronto delle due carte riportate, appare che la zona delle calme equatoriali si sposta durante l'anno, e precisamente si può dire che, grosso modo, segue gli spostamenti dell'equatore termico. Quindi nella zona compresa tra le posizioni estreme di detto equatore, il vento cambierà di direzione due volte l'anno, secondo che esso sarà a nord o a sud della località, e i periodi di vento saranno intramezzati da due periodi di calma corrispondenti al suo passaggio sulle località.
Questi venti si chiamano monsoni (v.). Così per es., in Somalia si ha il monsone di NE. da novembre a marzo, quello dl SE. da maggio a settembre e in aprile e ottobre si hanno due periodi di relativa calma. Sono in regime monsonico l'India, la Cina, l'Indocina, la Guinea e la parte equatoriale dell'America.
Abbiamo visto che all'equatore prevalgono venti con componente est e verso i 45° venti con componente ovest, mentre verso i 20°-30° si ha un certo bilanciamento delle due correnti. Questa distribuzione di venti, per le relazioni tra pressione e vento, porta, come si può controllare con il calcolo, a due zone di bassa pressione, rispettivamente all'equatore e a 50°, mentre a 20°-30° si deve avere una zona di alta pressione. Tale zona però non si mantiene uniforme, ma si scinde in diversi anticicloni, chiaramente visibili sulle carte dell'atmosfera sud. Per effetto di essi la circolazione avviene nella stessa zona anche in senso cellulare oltreché in quello meridiano e tale circolazione è chiaramente visibile sulla carta dei venti dell'emisfero sud. Un'analoga circolazione si ritiene avvenga nell'emisfero nord, ma essa è poco visibile date le forti perturbazioni dovute alla varia distribuzione delle terre e dei mari.
A questa circolazione cellulare va riferito un fatto che ha una importanza pratica non trascurabile. Questo avviene nelle zone intermedie tra due anticicloni, nelle quali per effetto della circolazione anticiclonica, nella parte est di ogni anticiclone si deve avere un vento di componente nord (nel nostro emisfero) mentre nella parte ovest deve aversi un vento con componente sud. La superficie di separazione tra le zone nelle quali dominano i due venti opposti è in genere una superficie di poco inclinata sull'orizzonte (fig. 5). Un osservatore situato nel punto P osserverebbe allora al suolo dei venti di nord ed elevandosi in quota osserverebbe invece dei venti di sud. Questo avviene esattamente per esempio a Teneriffa (Canarie), luogo nel quale furono appunto eseguite alcune tra le più antiche osservazioni dei venti in quota nelle regioni tropicali. I venti osservati al suolo non differiscono dai comuni alisei, quelli osservati in quota (la superficie di separazione si trova a circa 1000 metri d'altezza mentre il Picco di Teneriffa si trova a circa 3700) vennero chiamati controalisei e si ritenne in un primo tempo che su tutta la zona torrida vi fosse una corrente di controalisei avente un andamento su per giù analogo a quello mostrato dalla osservazione di Teneriffa, che costituisse la corrente di ritorno degli alisei, ipotesi che però non venne confermata dalle osservazìoni fatte in altre stazioni. Le moderne ricerche hanno definitivamente chiarita la questione mostrando che i controalisei non sono la corrente di ritorno della circolazione generale atmosferica, ma un fenomeno particolare che si ha solo nelle zone di frontiera fra due anticicloni tropicali contigui. La corrente generale di ritorno si trova inflitti a un'altezza assai maggiore.
Venti nelle zone temperate. - Nella parte più prossima all'equatore di ogni zona temperata si deve avere una zona di venti di ovest. Nell'emisfero sud tale zona è poi nettamente visibile a circa 40° di lat.; l'effetto analogo a nord è mascherato dall'influenza perturbante dei continenti.
Allontanandosi ulteriormente dall'equatore s'incontrano i fronti polari che costituiscono una netta separazione tra l'aria polare e la tropicale. Data questa separazione, l'aria polare equilibra la propria velocità di rotazione su quella della terra sottostante; il vento lungo i paralleli dovrebbe allora essere in media nullo sull'insieme della calotta polare e per effetto della legge della distribuzione dei momenti dovrebbe avere una componente ovest alle più alte latitudini e invece una componente est nei pressi del fronte polare, componente che effettivamente si osserva. Si ha così una forte discontinuità della componente meridiana del vento ai due lati del fronte polare e questa discontinuità insieme con quella pure assai forte che si ha nella temperatura, concorre a produrre il fronte polare.
Poiché però, come abbiamo detto sopra, il fronte polare non è stabile, esso dà origine a un sistema di perturbazioni in continua evoluzione delle quali fanno parte i fronti freddi e caldi, i cicloni, le depressioni, i sistemi nuvolosi, ecc., insomma la grande maggioranza dei fenomeni meteorologici delle nostre regioni. In particolare dobbiamo tener conto dei venti connessi con i cicloni collegati con il fronte polare.
Meno precise sono le nostre conoscenze a N. del fronte polare e ciò sia per la scarsezza dei dati, sia per il fatto che al disopra di detto fronte si trovano varî altri fronti (fronte artico, e fronti secondarî), la cui posizione è variabile di giorno in giorno, in modo che risulta assai difficile uno studio teorico a priori. Si può tuttavia dire grosso modo che al disopra del fronte polare si ha un limitato riaggiustamento delle velocità del vento in relazione alla legge della distribuzione dei momenti, riaggiustamento che avviene però in misura minore di quello che si ha tra zona torrida e zone temperate.
Variazioni annue e diurne del vento. - La variazione annua del vento è determinata dalle varie cause - che abbiamo già passato in rassegna- per le varie specie di venti. Poiché queste cause portano a effetti assai diversi e possono combinarsi fra loro in modi assai svariati, così la variazione annua del vento nelle varie località del globo è caratterizzata da una grande varietà di aspetti.
In qualche caso essa è abbastanza semplice: come per esempio nelle località dominate dai monsoni: vento costante in una determinata direzione in estate, costante in una direzione pressoché opposta nell'inverno, fasi di transizione in primavera e autunno. Nella maggior parte delle località però l'andamento è assai più complesso e in genere anziché parlare della variazione annua della direzione del vento ci si esprime dicendo che in inverno predominano i tali venti, in primavera i tali altri e così via.
Il vento presenta anche una variazione diurna la quale è pure assai mutevole da luogo a luogo e particolarmente influenzata dalle condizioni locali.
Variazione del vento con l'altezza. - In questa variazione dobbiamo distinguere due effetti completamente diversi:
1. Dall'esame già fatto della circolazione generale risulta che la velocità (e la direzione) delle correnti aeree varia col variare della quota.
2. Se consideriamo la più bassa delle varie correnti, il suo attrito sul suolo darà luogo a una progressiva diminuzione della sua velocità man mano che ci si approssima al suolo. Particolarmente importante è poi il sapere come si comporta il vento negli strati più aderenti al suolo (altezza di qualche metro o qualche decina di metri), perché gli anemometri degli osservatorî meteorologici sono attualmente posti ad altezze assai diverse, ed è necessaria un'esatta conoscenza della variazione del vento in quota per rendere confrontabili i dati.
Passando a considerare la più generale variazione del vento con l'altezza, le principali sue caratteristiche possono essere dedotte dalle considerazioni fatte a proposito della circolazione generale atmosferica. Vediamo, per es., quello che accade nelle nostre regioni. Alle quote più basse si osserva in genere un regime di venti assai variabili, sia tra le varie località sia nella stessa località in tempi diversi, dovuto alla sovrapposizione dei venti di origine locale, diversi da luogo a luogo, con quelli prodotti dalla situazione barica sempre mutevole e dalla circolazione generale. Salendo in quota i venti locali si attenuano e assumono invece importanza prevalente quelli dovuti alla circolazione generale atmosferica. Poiché nelle nostre regioni tale circolazione porta a vento di ovest con componente nord, si nota in genere una tendenza del vento a rotare verso tale direzione. La velocità del vento mostra un graduale aumento con la quota. Al disopra della stratosfera si nota invece una netta diminuzione della velocità del vento, diminuzione che si avverte non solo nei dati medî, ma anche nella maggior parte dei singoli sondaggi (v. stratosfera; atmosfera, alta, App.).
Misura del vento. - I principali problemi che si presentano nelle misure del vento sono: misura della direzione; misura della velocità; misura della componente verticale; misura del vento in quota; trasmissione e registrazione dei dati, elaborazíone e presentazione dei dati sia momentanei sia medî.
Misura della direzione. - La misura della direzione si può fare in due modi:
1. A stima, valutando la direzione di una bandiera di tessuto o di un pennacchio di fumo. Questo metodo, per quanto primitivo, si presta particolarmente bene per la misura della direzione dei venti assai deboli. In particolare l'esame di un pennacchio di fumo (per es. il fumo di una sigaretta) permette di determinare la direzione di venti talmente deboli da non avere nessun effetto sugli altri strumenti normalmente usati. La stima del vento dall'orientamento di bandiere è di uso corrente nei campi di aviazione; in essi si usa una speciale manica a vento, che ha la proprietà di mantenersi sollevata anche con venti assai deboli e di seguire prontamente le varie oscillazioni del vento.
2. Mediante opportuno dispositivo indicatore o registratore (v. anche anemoscopio). Si usano preferibilmente bandiere metalliche formate da due lamiere formanti un angolo. Per quanto la forma da dare al dispositivo sia stata molto studiata, è stato solo possibile ottenere una sensibilità ai venti deboli e una rapidità nel seguire le oscillazioni del vento assai inferiori a quelle possibili con la manica a vento e con i pennacchi di fumo. Inoltre anche con vento costante la bandiera ha tendenza a oscillare intorno alle posizioni di equilibrio. Questi difetti sarebbero assai più gravi con bandiere semplici di lamiera. Nonostante i difetti che presenta, la banderuola metallica doppia è generalmente adottata negli osservatorî meteorologici e i suoi inconvenienti non sono considerati gravi, poiché, nella grande maggioranza dei casi, importano più i dati medî sull'andamento del vento che la storia esatta di ogni singola oscillazione.
Misura della velocità. - I dispositivi più usati possono dividersi in tre gruppi:
1. Valutazione a stima. Ancora oggi è un mezzo molto adoperato per la determinazione della forza del vento. Essa viene fatta mediante scale empiriche inventate da sir Francis Beaufort (v.) dal quale hanno preso il nome.
Questo procedimento è particolarmente adatto per essere usato a bordo delle navi nelle quali l'installazione degli anemometri offre gravi difficoltà. I dati ottenuti a stima dimostrano alla prova dei fatti di avere un grado di attendibilità alquanto superiore a quello che si potrebbe pensare.
2. Mulinellì (v. anemometro). Possono essere del tipo a palette o del tipo a coppe. I mulinelli a palette sono più sensibili, ma per il loro regolare funzionamento devono essere orientati nel letto del vento e a questo scopo sono in genere collegati con una banderuola, ovvero sono impiegati in apparecchi a mano; i mulinelli a coppe invece funzionano indifferentemente con vento di qualsiasi direzione e si prestano particolarmente all'indicazione meccanica a distanza della velocità del vento, ma sono poco sensibili ai venti deboli. In maggioranza gli anemometri attualmente in uso negli osservatorî meteorologici sono dotati di mulinello a coppe, pochi di mulinello a palette.
3. Tubi di Venturi. La loro diffusione è notevolmente aumentata in questi ultimi tempi. Essi sono solo adatti alla registrazione istantanea della velocità del vento e sono quindi in genere abbinati a un mulinello che ne dia la velocità media. La pressione data dal tubo di Venturi è proporzionale al quadrato della velocità del vento, ma è possibile, applicando dei registratori aventi un galleggiante opportunamente sagomato, avere una registrazione proporzionale alla velocità e non al suo quadrato.
4. Anemometri a filo caldo. In questi ultimi tempi sono comparsi anemometri a filo caldo con i quali è stato possibile esaminare le microstrutture dei venti, cosa resa precedentemente impossibile dalla successiva inerzia degli altri tipi di anemometri.
Tali anemometri sono basati sul seguente principio: se un filo è riscaldato elettricamente, la sua temperatura dipende fortemente dalla velocità dell'aria nella quale è immerso ed è tanto minore quanto più questa velocità è maggiore; una analoga variazione subisce la sua resistenza elettrica; quest'ultima variazione può essere resa evidente con un opportuno circuito elettrico. Usando fili molto sottili si riesce così ad avere strumenti con inerzia ridottissima.
Misura della componente verticale. - Esistono numerosi strumenti per la misura della componente verticale del vento, quasi tutti essenzialmente composti da un mulinello con asse orizzontale. Si è però visto come le indicazioni così ottenute abbiano valore scarso o nullo, perché le correnti verticali dell'atmosfera nei pressi del suolo hanno una velocità estremamente limitata e assai inferiore a quella delle correnti verticali locali prodotte dall'incontro del vento con i corrugamenti del suolo, i fabbricati, ecc., in modo che le indicazioni dello strumento si riferiscono quasi esclusivamente a queste ultime. La velocità delle correnti verticali aumenta con la distanza dal suolo e può anche divenire di diversi metri al secondo. Velocità così elevate non sono però possibili uniformemente nello stesso senso su vaste zone e si verificano solo quando si hanno sistemi di correnti ascendenti e discendenti a breve distanza (come nel caso delle circolazioni che dànno origine ai cumuli).
Misura del vento in quota. - Vedi soprattutto aerologia. Basti qui ricordare che il metodo più pratico per queste misure consiste nell'inseguire con un teodolite un palloncino di gomma che sale liberamente nell'aria e che viene trascinato dalle varie correnti aeree esistenti in quota. La velocità ascensionale del palloncino (che può essere calcolata dalle sue caratteristiche), l'altezza e l'azimut letti sul teodolite permettono di determinare a ogni istante la posizione del palloncino, dalla quale è facile dedurre il vento alle varie quote raggiunte dal palloncino.
Trasmissione e registrazione dei dati. - Il fatto che, per avere buone indicazioni, la parte raccoglitrice dell'anemometro deve essere in posizione liberamente esposta al vento mentre la parte registratrice o indicatrice non può essere immediatamente connessa alla prima per ragioni di accessibilità, rende necessario un opportuno sistema di trasmissione delle indicazioni tra le due parti.
Tale trasmissione può essere meccanica o elettrica: con la prima si hanno aste rigide la cui rotazione trasmette le rotazioni della banderuola e del mulinello.
La trasmissione elettrica può avvenire in diversi modi: nei più usati si ha l'emissione di un segnale ogni tanti metri di vento passato (per es., 1000 o 10. o00), ovvero si ha una corrente proporzionale alla forza del vento. La direzione viene spesso segnalata con un sistema di fili (uno per direzione): in tal caso la corrente passa attraverso il filo corrispondente alla direzione che ha il vento in quel momento. Si può anche avere un solo circuito percorso da corrente di intensità variabile secondo la direzione del vento.
Con gli anemometri a tubo di Pitot la trasmissione è naturalmente pneumatica.
La registrazione della direzione non presenta difficoltà, sia che venga fatta in modo continuo, da una sola pennina, sia che si abbia una pennina per ogni direzione: la pennina, spostandosi opportunamente, indica attraverso quale filo arriva la corrente.
La registrazione della velocità può essere fatta in tre modi: a) mediante una tacca per ogni segnale emesso da un mulinello: l'addensamento o meno delle tacche indicherà la maggiore o minore velocità del vento; questo sistema è usato sugli apparecchi più semplici; b) segnando una curva che indichi il cammino percorso del vento fino all'istante in esame; tracciando senz'altro la curva istantanea delle velocità.
A prima vista il terzo metodo appare molto migliore degli altri due e sembra dare informazioni assai più complete; poiché però è difficile ottenere con esso la velocità media del vento, che è quella che importa nella maggior parte dei casi, vi è oggi la tendenza - quando si ricorre a questo tipo di registrazione - di far segnare dallo stesso strumento, sugli stessi fogli di carta, sia la velocità istantanea sia l'ammontare del cammino percorso dal vento.
Statistica del vento. - La statistica del vento si differenzia radicalmente da quella degli altri fenomeni meteorologici in quanto esso ha essenzialmente due gradi di libertà, e quindi per la sua descrizione sono necessarie due distinte coordinate. Secondo varie applicazioni per le quali vengono richiesti i dati del vento, sarebbero utili diversi metodi di statistica. Così, per es., per le applicazioni dell'ingegneria (resistenza delle costruzioni all'azione del vento) interessano i valori massimi; per la determinazione dell'evaporazione interessa la velocità media del vento indipendentemente dalla direzione; per la determinazione del trasporto di aria da una all'altra regione interessa la media vettoriale della velocità del vento; per le applicazioni aeronautiche interessa invece sia la direzione del vento sia la rapidità delle sue oscillazioni; per i calcoli dell'energia ricavabile dal vento interessa la media dei cubi delle velocità.
È assai difficile determinare un metodo di statistica del vento che risponda bene a tutti questi così diversi coefficienti, tanto più che per avere dati particolareggiati e immediatamente utilizzabili non si deve rinunciare alla confrontabilità con i dati ottenuti in passato o con quelli ottenuti attualmente nelle varie stazioni di ordine inferiore.
Il sistema attualmente adottato per la statistica dei venti dall'organizzazione meteorologica internazionale è quindi ricalcato su quello che l'organizzazione ha proposto sin dal 1879, il che garantisce la comparabilità di tutte le osservazioni regolari da allora a oggi. Per esso dai dati raccolti in ogni stazione deve essere ottenuta la frequenza dei venti per le 8 principali dírezioni (N., NE., E., SE., S., SO., O., NO.) e la velocità media del vento; il tutto per ogni mese dell'anno. La stragrande maggioranza dei dati è raccolta sotto questa forma; solo in qualche stazione di particolare importanza sono forniti dati più particolareggiati, per es. i dati diurni e orarî ovvero i valori del vento già calcolati per le varie componenti. Sono invece assai rare le medie dei quadrati e dei cubi delle velocità del vento come pure le indicazioni dei valorì massimi.
Elaborazione dei dati del vento. - Dai dati raccolti nella forma normale che abbiamo citato si può passare al calcolo delle componenti medie N.-S. e E.-O. con la seguente formula
dove VNS è la componente nord del vento; VEO quella est; N., NE., ecc., sono le frequenze dei venti corrispondenti; u è il numero totale delle osservazioni (o il numero al quale sono riportate le frequenze); v la velocità media. La direzione media del vento può ricavarsi dall'esame delle componenti trovate; in particolare si ha:
dove ϑ è l'angolo che il vento fa con la direzione nord.
Esistono poi opportune tabelle, con le quali questi calcoli possono essere semplificati.
Bibl.: V. bibl. di meteorologia; aerologia. Tra i lavori più recenti, cfr. V. e J. Bjerknes, Solbert e Bergeron, Hydrodinamique physique, Parigi 1934.
Mitologia classica.
La forza, ora benefica ora dannosa, dei venti (ἄνεμοι, venti) fu divinizzata dagli antichi; e i venti stessi vennero personificati in figure di demoni o di veri e proprî dei. Tale concezione è già completa nei poemi omerici, dove i venti compaiono in forma umana e con nomi distinti: Borea e Zefiro nell'Iliade, Euro e Noto nell'Odissea. Tutti sono figli di Eolo, loro padre e signore al tempo stesso, e ordinariamente sono tenuti rinchiusi da lui in un otre di pelle. Di essi sono compagne le Arpie (identificate con le procelle, ϑυελλαι). Ma i venti procellosi e dannosi venivano più spesso (per es., Esiodo, Theog., 869 segg.) considerati figli di Tifeo e Tifone. I Greci attribuirono ai venti anche azione fecondatrice sulle piante e sugli animali.
Il culto reso ai venti in Grecia risentiva della somiglianza della loro figura con quella sotto la quale si solevano immaginare le anime dei morti. E quindi anche ai venti, come ai mani dei defunti, si offrirono, in origine, sacrifici umani; esempî molteplici ne restarono nelle saghe del ciclo troiano, che narravano di tali sacrifici offerti dai Greci, all'atto della loro partenza da Aulide e del loro ritorno, e da Menelao, prima di intraprendere il suo viaggio in Egitto. E non poche costumanze rituali posteriori, relative al culto dei venti, si rivelano come sopravvivenze o reminiscenze di più antichi sacrifici umani. Culti di singoli venti sono testimoniati per molte regioni della Grecia: caratteristico il rito che si svolgeva sul monte Taigeto, dove si offriva ai venti un cavallo, bruciandolo e spargendone le ceneri nell'aria; rito lustrale che ricorda assai da vicino quello romano del "cavallo d'Ottobre". In Atene i venti erano venerati collettivamente; in più, si rendevano culti separati a Zefiro e a Borea. Contro la violenza dei venti venivano pronunziati scongiuri, ad Atene, dai membri della gente sacerdotale degli Eudanemoi ("gli addormentatori dei venti"); a Corinto, dagli Anemocoitai (nome dello stesso significato).
Anche nelle religioni italiche si addivenne molto presto alla divinizzazione dei venti, che furono immaginati probabilmente in figura demonica di uccelli rapaci, prima di assumere l'aspetto definitivo di creature umane e alate. Nella religione romana, i venti e le affini Tempestates erano collegati al culto di Nettuno.
Tre are scoperte ad Anzio portano le epigrafi: ara Ventorum, ara Neptuni, ara Tranquillitatis (Corp. Inscr. Lat., X, 6642-6644); così al momento di iniziare la spedizione navale contro Sesto Pompeo, Augusto fece sacrificare ai venti e a Nettuno (Appiano, Bell. civ., V, 98); contro le procelle del mare si invocavano le Tempestates e si cercava di placarle. È noto che L. Cornelio Scipione, durante una procella che colse la sua flotta nelle acque della Corsica nel 259 a. C., votò ad esse un tempio che venne eretto in Roma, presso la Porta Capena, e il cui anniversario si festeggiava il 10 giugno.
L'arte rappresentò sempre i venti come figure umane e alate, con vesti leggiere e svolazzanti. Monumento famoso è la cosiddetta Torre dei venti di Atene, eretta nel sec. I a. C. da Andronico di Cirro, su cui sono rappresentati otto venti alati. Rappresentazioni numerose di venti ci sono conservate, su pitture parietali e vascolari, su musaici, su rilievi.
Bibl.: W. H. Roscher, Hermes der Windgott, Lipsia 1878; M. P. Nilsson, Griechische Feste, Lipsia 1906, passim; Stending, Windgötter, in Roscher, Lexikon der griech. und röm. Mithologie, VI, col. 511 segg.; Tempestates, ibid., V., col. 360 segg.; Keune, Venti, ibid., col. 181 segg.; L. Preller-H. Jordan, Römische Mithologie, I, 3ª ed., Berlino 1881, p. 329 segg.; G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2ª ed., Monaco 1912, p. 228.