vento
Il fenomeno del v., oggi ritenuto uno spostamento di masse d'aria per differenza di temperatura e pressione atmosferica tra località diverse, ai tempi di D. era attribuito non all'aria in quanto tale, ma all'espandersi in essa di vapori costituiti dalle esalazioni secche provenienti dalla terra.
Una teoria, ampiamente ripresa, sull'origine dei v. era data da Aristotele (Meteor. II 4-6), secondo cui le esalazioni secche dovute al caldo insito nella terra e al riscaldamento di essa da parte del sole, esalavano nell'aria ammassandosi gradualmente e muovendosi e spirando per effetto della rotazione celeste, che si riteneva recasse con sé tutta la massa dell'aria. In alcuni casi le esalazioni secche rimaste imprigionate nelle nubi, ove non dessero luogo a fulmine o tuono (v.), venivano espulse e proiettate sotto forma di v. impetuosi.
In tal senso il v. non s'identificava immediatamente con l'aria ma, piuttosto, con le esalazioni secche presenti in essa, mentre le esalazioni umide davano origine a pioggia, neve, ecc. (v. anche ARIA). Inoltre, ove non riuscissero a esalare gradualmente dalla terra, tali esalazioni secche o v., turbinando nelle cavità terrene, erano ritenute all'origine dei terremoti (Aristot. Meteor. II 7-8). In ogni caso il v. era considerato come una delle manifestazioni dello " spiritus " (πνεῦμα), in quanto forza attiva diffusa nel cosmo, e all'origine di una serie di eventi meteorici. In tal senso la spiegazione naturale veniva a innestarsi sulla tradizione poetica e mitologica, che faceva dei v. vere divinità, quali Borea per il v. di nord, Noto per il v. di sud, Zefiro per il v. primaverile di ponente, ecc. Ancora, la figurazione biblica del v. come linguaggio naturale di Dio, finiva per fare del v. il ‛ segno ' di una volontà sovraordinata alla natura e per essa esercitantesi.
D. più volte usa del v. come fenomeno all'origine di eventi meteorici che hanno il carattere di teofanie. Tale è il caso di If III 133, dove il v. secco che esala dalla terra lagrimosa, per il contrasto tra vapor secco e umido, balena in luce vermiglia mentre, rinchiuso nelle cavità terrene, aveva causato il terremoto della buia campagna di Acheronte (vv. 130-131). Ancora, in Pg XXI 56 a un vento che 'n terra si nasconda viene attribuito il verificarsi del terremoto (cfr. per tutto Aristotele Meteor. Il 8 ss.). Nella bufera infernal di If V, che conduce via gli spiriti con la sua rapina e li molesta voltando e percotendo (vv. 31-33) si esprime, come segno della terribile e inarrestabile violenza d'amore di cui si serve per contrapasso l'onnipotenza divina, la violenza trascinatrice del tifone (cfr. Aristotele Meteor. III 1, 370b 3 ss.), che rotea e sconvolge il loco dei lussuriosi come fa mar per tempesta, / se da contrari venti è combattuto (v. 30). A tale vortice sono in preda Paolo e Francesca tanto da parer sì al vento esser leggieri (v. 75), ormai soggetti alla sua ineluttabile volontà naturale (Sì tosto come il vento a noi li piega, / mossi la voce..., v. 79; e cfr. il v. 96 e XI 71). Analoga è la potenza, tutta positiva, dell'arrivo del Messo celeste in If IX, paragonata a quella d'un vento / impetüoso per li avversi ardori (v. 67), cioè di un v. vorticoso causato dallo scontrarsi di vapori caldi e secchi, e che nel contesto assume i caratteri della forza irresistibile dello " spiritus " che possiede la terra.
In If XIII 42, la voce di Pier della Vigna che, tramutato in arbusto, insieme geme e stilla, è paragonata al suono che proviene da uno stizzo verde ch'arso sia / da l'un de' capi, che da l'altro geme / e cigola per vento che va via (anche al v. 92; sul fumo emesso dai " viridia ligna " quando bruciano, cfr. Arist. Meteor. II 4, 361a 17-20). All'opposto, come spirare benefico che accresce il fuoco-amore, sta l'esempio del carbone ravvivato dallo spirar d'i venti (Pd XVI 28). Ancora in una metafora per le pene infernali, il cadere delle falde dei vapori infuocati sul sabbione del terzo girone viene paragonato, con studiata antifrasi, al lento cadere di neve in alpe sanza vento (If XIV 30; cfr. Arist. Meteor. I 12, 348a 3 e 22). In Pg V 113 la bufera rievocata da Bonconte da Montefeltro è originata dal raccogliersi di vapori (fummo) e del v. per effetto delle potenze demoniache (cfr. Tommaso Sum. theol. I 112 2). In Pd VIII 22 si trova l'esempio dei v. festini che erompono dalla fredda nube e che D. considera o visibili o no; probabilmente D. ha presente la trattazione di Aristotele (Meteor. III 371a 2-3 ss.), che distingue tifone e uragano (ambedue originati dal prorompere di vapori dalle nubi) perché il primo non presenta colore e il secondo sì.
Altrove, su una descrizione di derivazione letteraria (Lucano Phars. IX 445-457), D. innesta i modelli della meteorologia classica (Seneca Nat. quaest. V XVIII 3; Arist. Meteor. I 10, 347b 10-11; n 4, 361a 5 ss., 5, 362a 31 ss.): in Rime C 15, il poeta parla infatti del v. di sud come vento peregrin che l'aere turba (il termine ancora al v. 24), attribuendone l'origine impetuosa all'azione del calore solare sulle regioni torride (la rena d'Etiopia). Tale v. (l'Austro o l'Euronoto), levatosi in aria, traversa il mare e reca con sé le esalazioni umide che, giunte in forma di vapor acqueo e nebbia sulle regioni fredde dell'emisfero settentrionale, ivi si convertono nelle nevi invernali (v. anche ETIOPIA; AUSTRO). Al suddetto v. e alla tramontana (nostral vento) si riferisce ancora Pg XXXI 71 e 72.
Più ampiamente, come segno di energia naturale controllabile o meno dalla virtù e prudenza umana, può travalicare nei significati della fortuna o del destino terreno. In contesti che richiamano il navigare come ‛ figura ' della vita umana e della nave come figura del potere dell'uomo, il termine ricorre in Rime LII 3 e messi in un vasel, ch'ad ogni vento / per mare andasse al voler vostro e mio (e v. Pg XXIV 3); Cv I III 5 veramente io sono stato legno sanza vela e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertade (v. VAPORARE); come segno di vana presunzione in If VII 13 e in Cv IV XXVIII 7, dove il secondare la troppa fortuna (con le vele alte correte) importa naufragio e perdizione (per lo impeto del vento rompete).
In Pg III 130 il v. connota la violenza di un'ingiusta estraniazione e abbandono, mentre in If XXVIII 89 il vento di Focara non sembra avere risvolti metaforici. In gradazione, il resistere, assecondare o cedere alla forza del v. passa a significare, sul piano dei connotati morali, l'impassibilità e costanza del saggio (Pg V 15), la giusta reverenza (Pd XXVI 86) e l'instabilità dell'animo o del retto volere (Rime LXVIII 21, Pg XII 96).
Come simbolo di ‛ vanità ', il vario e temporaneo spirare dei v. designa la fama in Pg XI 101 (fiato / di vento), visualizzata nella rosa dei v. che a seconda del lato muta nome (e muta nome perché muta lato, v. 102); il rapido svanire in Pd XXXIII 65; le fuggevoli novità dottrinali in Pd V 74 (cfr. Ecli. 5, 11, Paul. Ephes. 4, 14); il timore infondato in Cv IV XIII 11; l'illusoria varietà del linguaggio in If XXVI 87 e l'ingannevole favoleggiare in Pd XXIX 107 (cfr. Os. 8, 7, e Ierem. Proph. 22, 22). A tale complesso di significati si oppone il v. come ‛ grido di verità ', in Pd XVII 133.
Come energia positiva, il v. è associato alla figura dell'Impero in Pd XX 24, dove esso si fa flatus vocis che anima le parole dell'aquila imperiale; in Pg X 81, dove le aquile delle insegne imperiali di Traiano sono vivificate dallo spirare del v. (e cfr. Ep VI 12), e ancora in Pd III 119, dove il secondo vento di Soave designerebbe Enrico VI (v.).
Per quanto attiene la denominazione dei v., D. indica con i nomi dell'antica rosa latina i v. spiranti dalle direzioni principali, in quanto portatori delle diverse qualificazioni del tempo (v. AQUILONE; AUSTRO; BOREA; CORO; EURO; NOTO); così pure i venti schiavi di Pg XXX 87 (v. SCHIAVO).
Un v. non provocato da esalazioni o turbamenti meteorici è quello di Pg XXVIII 9, che agita la divina foresta. In quest'aura dolce, sanza mutamento (v. 7) è da riconoscere lo spirare continuo e lieve da oriente a occidente della regione superiore dell'aria, dovuto al moto di rotazione delle sfere celesti che viene comunicato a tale regione (v. ARIA).
Il v. avvertito in If XXXIII 103 e XXXIV 6, 8 e 51 è dovuto anch'esso - ma con intento opposto - non a esalazioni di vapori ma all'agitarsi delle ali di Lucifero che producono in tal modo la ghiaccia di Cocito. Ha invece significato di soffio rigeneratore il v. di Pg XXIV 148, provocato dalle ali dell'angelo della temperanza che cancella il segno del peccato (cfr. Pg I 122-123).
Altri esempi sono in Vn XXV 9 con la designazione di Eolo come segnore de li venti, in Cv IV XII 7 dove il termine traduce il " rapidis flatibus " di Boezio (Cons. phil. II m. II 1-2), e Pg XXIX 102, con riferimento a Ezech. 1, 4. Il termine ricorre inoltre in Detto 341 e Fiore XXXIII 2.