VENTI (ἄνεμοι)
Pur divinizzati dai Greci fin dai primi tempi, i V. conservarono sempre le loro caratteristiche di forze della natura e, di conseguenza, non arrivarono mai ad essere completamente personificati.
Secondo Omero (Od., x, 1 ss.) loro padre e signore è Eolo che li tiene chiusi in un otre di cuoio, tradizione raccolta anche da Virgilio e da altri poeti. Sono imparentati con le Arpie (v.) che Omero assimila alle ϑύελλα (i turbini). I v. del mattino sono chiamati Aurae (v.). Secondo Esiodo (Theog., 869 ss.) i v. dannosi discendono da Tifone, gli altri invece da Astreo ed Eos (376 ss.). Inoltre per ogni altro singolo vento esistono numerose altre genealogie. Il loro numero è incerto; i più famosi sono Borea, il v. del N e Zefiro (v.), il v. dell'O, ricordati già nell'Iliade; nell'Odissea invece compaiono Euro (il v. dell'E) e Noto (il v. del S). Aristotele conosce il nome di 11 v., Strabone di 6 e secondo la graduazione della rosa dei v. possono essere citati quattro, otto o financo 32 nomi di v. (scrittori latini della tarda antichità). Nei rilievi della Torre dei Venti di Atene (v.) compaiono, oltre ai 4 v. omerici, Skiros come v. di N-O, Lips come v. di S-O, per il N-E Kaikias e per l'E Apeliotes (Euro è qui il v. di S-E). In una lastra marmorea della via Appia sono ricordati 12 nomi di v.; diversi per numero e per nome sono i v. delle Rose del Vaticano, di Gaeta, della Vigna Cassini e di quella particolarmente grande rinvenuta a Dugga. I più comuni nomi latini dei v. (secondo Plinio, Nat. hist., xviii, 333) sono: Aquilone (Borea), Subsolano (Apeliotes), Volturno (Euro), Austro (Noto), Africo (Lips), Favonio (Zefiro), Coro (Kaikias), Settentrione (Skiron).
Ben presto si cercò di scongiurare i v. con la magìa; del pari antico è il culto loro tributato singolarmente o nel loro insieme. Inizialmente i riti consistevano in sacrifici umani (Herod., ii, 119), più tardi si offrivano loro pecore nere o bianche oppure galli; sul Taigeto si bruciò un cavallo le cui ceneri furono disperse al vento. A Delfi fu consacrato ai v. un altare nel bosco sacro di Θυία, ad Atene i v. erano venerati tutti insieme; al solo Zefiro era dedicato un altare presso il santuario dei Fitalidi; da Pergamo proviene un'epigrafe dedicata ai venti. Il culto di età romana è testimoniato dagli altari trovati ad Anzio: l'ara Ventorum, l'ara Neptuni e l'ara Tranquillitati (C.I.L., x, 6642-44); prima di attaccare la flotta di Sesto Pompeo, Augusto fece un sacrificio in onore di queste tre divinità. Anche in Numidia, a Nîmes e a Carnuntum sono stati rinvenuti altari romani dei venti. Nella Grecia stessa il v. maggiormente caratterizzato fu Borea, il violento e gelido v. del N che si pensava originario della Tracia e che già Achille invocava. Ad Atene gli fu dedicato in seguito sulle rive dell'Ilisso un santuario fondato probabilmente da Temistocle. Mentre come forza della natura era immaginato impetuoso e potentemente attivo - recava neve e gelo ma cacciava anche le nubi riportando il sereno ed il sole - quale personaggio mitologico compariva solo come rapitore di Orizia (v.), una leggenda ricorrente nelle arti figurative, con la quale generava poi i Boreadi. Anche nelle rappresentazioni figurate compare come il v. maggiormente caratterizzato. In un primo tempo venne immaginato, al pari di numerosi altri v., con sembianze equine, più tardi invece compare soltanto (si vedano le numerose raffigurazioni dell'inseguimento e del ratto di Orizia) come un uomo alato, dalle vesti corte, per lo più con la chioma incolta e la barba ispida. Una volta è raffigurato con due teste (Berlino, vaso del Pittore di Berlino). A prescindere dalle raffigurazioni del mito di Orizia, Borea è rappresentato assai di rado; si ricordino un vaso cabirico su cui compare Ulisse che solca velocemente il mare con alle spalle Borea dalle guance turgide che sta soffiando (accanto ad entrambi i personaggi sono scritti i nomi), di cui si scorge però la sola testa con i capelli corti e la barba ispida. Borea è invece raffigurato per intero con le corte vesti, la barba, i capelli ricciuti ed in mano una conchiglia marina, sulla "Torre dei Venti" di Atene, assieme a sette dei suoi fratelli. Anche sui monumenti romani è raffigurato - per lo più a mezzo busto e sempre con la barba - insieme agli altri venti. In un mosaico di Orano compare invece con le sembianze di un giovanetto ignudo e sbarbato dalle grandi ali che trasporta Latona ad Ortigia, un mito raffigurato assai di rado (Hygin., Fab., 140). Pausania (v, 19, 1) afferma che sull'arca di Kypselos Borea era raffigurato con due code di serpente in luogo delle gambe, ma lo avrà probabilmente confuso con Tifone; e sempre Tifone sarà il personaggio alato dal corpo serpentiforme raffigurato su un vaso calcidese di Monaco.
Gli altri v. rivestono nella mitologia soltanto funzioni subordinate. Possono comparire come figure secondarie nelle gigantomachie, si veda quella di una oinochòe di Canosa in cui la testa di un v. è raffigurata presso Zeus combattente; nel grande fregio di Pergamo furono rappresentati come cavalli alati seguendo il tipo più antico della loro iconografia. Per altro, secondo la loro natura, i v. vengono raffigurati con o senza barba (quelli che soffiano da S o da O), cosicché quando se ne rappresentano quattro, due sono in genere barbati e due imberbi (mosaici di Ostia, Palermo, Tourmont). Per lo più dei v. sono raffigurati solo le teste o i busti e quasi sempre di profilo, raramente di fronte (mosaico di Tourmont). Anche in un bronzo di Angleur compare il busto di un v. dalla testa barbata e le ali sulle tempie, simile a una testa marmorea da Palestrina ora a Gottinga; anche in altre raffigurazioni i v. sono riconoscibili dalle teste alate di questo tipo. Data la scarsità dei monumenti è pressocché impossibile stabilire uno sviluppo del tipo iconografico, tuttavia sembra che la raffigurazione a figura intera sia la più antica. In questo caso i v. hanno le ali sul dorso o anche ai piedi e vestono in genere un corto chitone, come già in un vaso a figure nere di Naucrati. Una eccezione è costituita da un'ara di Carnuntum su cui i v. sono raffigurati ignudi e senz'ali; due in sembianza di giovanetti gli altri due di uomini maturi, tutti però senza barba. Sulla Torre dei Venti di Atene del I sec. a. C., Apeliotes, Noto, Lips e Zefiro sono sbarbati, Borea, Kaikias, Euro e Sidron con la barba, tutti hanno corte vesti e grandi ali; mentre nelle altre rappresentazioni mancano gli attributi o particolari segni distintivi, qui i v. sono singolarmente caratterizzati: Zefiro porta fiori nel sinus della veste, Noto, apportatore di piogge, regge una brocca d'acqua, Kaikias uno scudo pieno di grandine e ghiaccioli. Nella scena principale della Tazza Farnese (v.) i v. sono raffigurati librati in volo ma senza ali, con sottili vesti svolazzanti, il loro volto ha una leggera espressione satiresca; è probabile che risalgano ai più antichi prototipi greci. Nella scena dei Lestrigoni nelle pitture dei paesaggi dell'Odissea al Vaticano si scorgono in alto a sinistra, librate nell'aria, tre figure vestite ed alate (in origine erano forse quattro) che soffiano in lunghi corni; sono i v. lasciati sconsideratamente uscire dall'otre che risospingono indietro le navi di Odisseo. Nel modello più antico di questa scena dovevano comparire numerosissimi v., ma di esso non resta altra traccia nelle arti figurative. L'importanza attribuita all'episodio è testimoniata però anche dalla comparsa della testa di un dio dei v. in un rilievo della statua dell'Odissea ad Atene; dalla sua bocca si vede uscire, a rappresentare la violenza dell'elemento, una nuvola di fumo, una caratteristica frequente anche in altre teste di v., cui si aggiungono anche semplici linee dritte che escono dalla bocca, come su uno specchio etrusco che raffigura Helios (?) a cavallo. Altro caratteristico attributo sono le conchiglie marine che spesso i v. portano alle labbra. Ad esempio soffiano in lunghi corni a forma di conchiglia le divinità dei v. per lo più raffigurate come putti sui sarcofagi di Fetonte, e il dio del v. sul sarcofago di Prometeo a Napoli. Corni non meglio caratterizzati sono invece quelli di due giovani divinità dei v., alate, su un rilievo di Palazzo Colonna (ora rotto in più parti) che originariamente raffigurava una figura femminile fiancheggiata da due divinità. Una delle due teste infantili bifronti di terracotta trovate a Soings soffia in una corta tromba dall'ampia campana; la testa proviene da una tomba e fa pensare, al pari dei già citati sarcofagi, ad una connessione dei v. con il culto dei morti che potrebbe risalire ai Greci qualora si pensi che le anime dei morti potevano venir concepite come dèmoni del v.; per l'età romana le testimonianze sono numerose: stele sepolcrali (Aquincum, Wabelsdorf, Carnuntum) e sarcofagi (Laterano); anche le teste angolari dei coperchi dei sarcofagi possono talora essere identificate come raffigurazioni di Venti. Su una tomba di Sistoron compaiono, accanto a due maschere teatrali, due teste di divinità dei V. con le bocche spalancate, e agli angoli del rilievo di Eracle sul monumento sepolcrale di Igei, quattro busti di divinità dei Venti. Se in questo caso, come anche su stele, essi hanno solo una funzione decorativo-allegorica, possono talora prendere parte attiva all'apoteosi, rappresentati a figura intera, con le ali sulle spalle o ai lati della testa, con un corto manto, con o senza barba (dittico tardoantico, Londra, British Museum). Si è pensato a un dio del v. anche per la figura alata che rapisce Ganimede, in uno stucco della Basilica sotterranea di Roma; nell'Inno omerico ad Afrodite infatti Ganimede è rapito dai Venti.
La parte che i v. hanno nella religione di Mithra è ugualmente attestata dalle arti figurative: le loro teste alate, dalle turgide gote, simili a quelle delle stele funerarie, compaiono in alcuni rilievi con Mithra tauroctono (il più noto è quello del mitreo presso Heddernheim a Wiesbaden); nel mitreo di Mackwiller è stata trovata la maschera di un vento. Anche Aion, connesso al culto di Mithra, compare assieme ai v.: un rilievo di Modena con Aion e lo zodiaco ha agli angoli 4 teste di v. viste di profilo, quelle di sinistra barbate, quelle di destra senza barba. In un rilievo di Palazzo Colonna lo stesso Aion è raffigurato nell'atto di soffiare per ravvivare il fuoco.
Monumenti considerati. - Torre dei Venti: E.A.A., I, p. 850, fig. 1096; vi sono raffigurati tutti i v.; Dict. Ant., V, p. 720, fig. 7380. Vaso a Berlino: J. D. Beazley, Red.-fig.2, pp. 208, 150. Vaso cabirico: E.A.A., II, p. 238, fig. 360. Mosaico di Orano: Jahrbuch, V, 1890, tav. 4-6. Vasi calcidesi: ibid., tav. 25. Oinochòe di Canosa: I Hall. Winckelmannsprogramm, tav. 1. Fregio di Pergamo: H. Kähler, Der Grosse Fries von Pergamon, Berlino 1948, p. 39. Mosaici in Ostia: F. Cumont, Recherches sur le symb. fun. des Rom., p. 152, fig. 23. Mosaici di Palermo: Berytus, VII, 1942, tav. V. Mosaici a Tourmont: Gallia, XIX, 1961, p. 249, fig. 1. Monumenti connessi al culto dei morti: F. Cumont, in Rev. Arch., XIII, 1939, p. 26 ss. Testa da Angleur: ibid., p. 35, fig. 4. Testa a Gottinga: Jahrbuch, XXV, 1910, tav. 23. Vaso di Naucrati: Dict. Ant., III, 1, figg. 4309. Ara di Carnuntum: F. Cumont, Textes et monum. de Mithra, I, Bruxelles 1896, fig. 432-433. Tazza Farnese: Mon. Piot, L, 1958, p. 87, fig. 1. Paesaggi dell'Odissea: B. Nogara, Le Nozze Aldobrandine, Milano 1907, tav. 9. Statua dell'Odissea ad Atene: Ephem. Arch., 1892, p. 241. Specchio etrusco: E. Gerhard; Etrusk. Spiegel, I, tav. 72. Sarcofagi di Fetonte e di Prometeo: C. Robert, Sarkophagsrel., III, 3, tavv. CX e CXVIII. Rilievo nel Palazzo Colonna: Arch. Zeitung, VIII, 1876, tav. 4. Tomba a Sistoron: Gallia, VII, 1949, p. 84. Monumento sepolcrale di Igel: H. Dragendorff-E. Krüger, Das Grabmal von Igel, Treviri 1924, fig. 42. Dittico a Londra: Rev. Arch., XIII, 1939, tav. II. Basilica Sotterranea: E.A.A., III, p. 790, fig. 979. Rilievi con Mithra: Wiesbaden: E. A. A., V, p. 116, fig. 149. Altri esemplari in Vermaseren: Corpus Inscriptionum et Monumentorum Religionis Mithriacae, II, figg. 337, 342. Maschera di Mackwiller: Comptes Rendus Acad. des Insc. Belles Lettres, 1955, p. 408, fig. 3. Rilievo di Modena: I. Vermaseren, Corpus, I, fig. 197. Rilievo con Aion nel Palazzo Colonna: id., ibid., I, fig. 109.
Bibl.: Steuding, in Roscher, VI, 1924-37, p. 511 ss. Lantier, in Dict. Ant., V, 715 ss.; H. Steinmetz, in Jahrbuch, XXV, 1910, p. 33 ss.; J. Six, in Bull. Ant. Beschav., I, 1926, p. 3 ss.; F. Cumont, in Rev. Arch., XIII, 1939, p. 26 ss.; F. Cumont, in Pisciculi (Doelger-Festschrift), Münster 1939, p. 70 ss.; id., Recherches sur le symb. fun. des Rom., Parigi 1942, pp. 107, 151 ss.; C. Bonner, in Harvard Theolog. Rewiew, 1942, p. 87 ss.; K. Nielsen, in Classica et Mediaevalia, VII, 1945, p. i ss.; R. Strömberg, The Aeolus episode and Greek wind magic, 1950; G. M. A. Hanfman, The Season Sarcophagus in Dumbarton Oaks, Cambridge (Mass.) 1951, p. 252 s.; J. F. Masselink, De grieks-romeinse windroos, Utrecht 1956; L. Stella, Mitologia Greca, Torino 1956, p. 298 ss.; S. J. Lauria, in Minos, V, 1957, p. 41 ss.; H. Stern, in Gallia, XIX, 1961, p. 248 ss.