VENEZIA
Città lagunare tra le foci del Piave e del Brenta, fondata dalle popolazioni del retroterra (Vèneti) fuggite in seguito alle invasioni barbariche (e in particolare quelle dei Longobardi). Le origini di V., e cioè la sorte delle lagune tra Grado e Chioggia, dal sec. VI alla metà dell'VIII, presentano ancora punti non chiariti e contradditori, soprattutto a causa delle intenzionali alterazioni introdotte dalle cronache veneziane. Sviluppatasi su di un complesso di cento isole, ebbe il suo centro nella Civitas Rivoalti (Rialto-S. Marco-Arsenale); dapprima alle dipendenze di Bisanzio, affermò nel IX sec. la propria autonomia.
Poiché la storia di V. e del suo sviluppo topografico esce dai limiti cronologici di questa Enciclopedia, verranno qui esaminati solo i più importanti monumenti antichi in essa raccolti nel corso dei secoli.
1. - Basilica di S. Marco: a) I Cavalli. - Ad ornamento della facciata, sopra il portale, si trovano i quattro ben noti cavalli di bronzo dorato, portati a V. da Costantinopoli nel 1204. Nel 1797 furono fatti asportare da Napoleone e collocati a Parigi, dapprima su quattro pilastri e, in seguito, sull'arco trionfale all'entrata delle Tuileries; nel 1815 furono restituiti a V. e reintegrati nel posto originario. Un tempo erano falerati trionfalmente (come dimostrano i disegni dello Zanetti); sono più grandi del vero e furono concepiti per una veduta frontale. I due centrali, secondo lo schema solito, volgevano la testa verso il centro, insistendo sulla gamba interna; i due esterni si volgevano all'esterno. Ogni cavallo (Kluge) è stato fuso in dieci pezzi, con una lavorazione ottima anche nei particolari cesellati. Si notano restauri in bronzo e in piombo, antichi e moderni, questi ultimi specie negli zoccoli. Erano coperti di oro a foglie spesse, ed è stata riconosciuta anche un'antica ridoratura. Sulla base delle fonti storiche costantinopolitane, sono stati identificati con i cavalli della quadriga bronzea, attribuita a Lisippo, che si trovava a Costantinopoli sopra le carceri dell'Ippodromo. Secondo alcune fonti sarebbe stata trasportata da Chio sotto Teodosio II; secondo altre, la quadriga sarebbe stata donata da Corinto a Roma, che a sua volta ne fece dono a Bisanzio; oppure sarebbe opera di età neroniana, trasferita da Roma sotto Costantino. Stilisticamente e iconograficamente sembra però di poter escludere una datazione in età romana (tenendo conto che le code sono di restauro). Secondo una recente ipotesi (Crome) i cavalli troverebbero un confronto molto convincente in quelli del sarcofago cosiddetto di Alessandro, datato al 312: in tal modo verrebbe esclusa la provenienza da Chio, che in tale epoca non aveva né l'occasione né la possibilità di finanziare una dedica così importante; i cavalli apparterrebbero invece alla quadriga dei Rodî a Delfi, eretta presso il tripode di Platea e trasportata insieme a questo a Costantinopoli da Costantino.
b) Pezzi varî. - Numerosi pezzi di spoglio, di alcuni dei quali tuttavia è spesso messa in discussione l'appartenenza all'età antica, furono usati nella Basilica di S. Marco come elementi decorativi o come parti integranti delle architetture, specialmente capitelli e lastre ornamentali. Probabilmente antico è, dei due rilievi della facciata O con fatiche di Ercole, quello con il cinghiale. Di arte paleocristiana, da un coperchio di sarcofago, i rilievi della tomba del Doge Marino Morosini. Tra i pezzi più discussi sono le quattro colonne del ciborio di S. Marco, decorate a zone, con le storie di Maria, della Natività e della Passione, forse portate a V. nel 1204. Furono certamente eseguite da maestranze diverse, più raffinate le due anteriori, databili al V sec. circa, più rozze le due posteriori (che vengono avvicinate all'architrave sul portale N di S. Marco, opera di assai dubbia cronologia): resta aperto il problema se debbano considerarsi copie del XIII sec. solo queste due ultime colonne (Morey, Volbach) o tutte e quattro (Lucchesi-Belli). I due pilastri esterni, davanti all'angolo S-O di S. Marco, furono portati, sembra, da S. Giovanni d'Acri nel 1258, e vengono attribuiti ad artisti siriaci del VI sec. d. C.
c) Carmagnola. - Sulla balaustra della terrazza dei cavalli, lato E, si trova una testa in porfido tradizionalmente detta Carmagnola: si veda sotto questo esponente (vol. ii, p. 353).
d) Tetrarchi. - All'angolo esterno del Tesoro, verso il Palazzo Ducale, si trovano quattro figure di porfido, per le quali si veda la voce tetrarchi.
e) Tesoro. - Anche nel Tesoro di S. Marco sono conservati alcuni pezzi eccezionali; la cosiddetta Sedia di S. Marco, forse reliquiario, a causa degli sportelli sui fianchi, di alabastro, fu donata da Eraclio I al Patriarca di Grado. Decorata dell'albero della vita e dei simboli degli Evangelisti (v. vol. iii, fig. 672) è considerata opera del VI sec., di provenienza orientale, siriaca o, più probabilmente, egiziana. Un piccolo ciborio di marmo greco, con quattro colonne corinzie su basi quadrate, sostenenti una cupola, assegnato al V-VI sec., è il più antico del genere. Nel Tesoro sono conservati anche un vaso diatretum con scene di caccia del IV sec.; una situla di vetro con decorazione incisa di un corteo bacchico, del V sec.; uno sköphos di onice; un vaso "murrino" del I sec. d. C., trasformato in calice e decorato di smalti all'epoca dell'imperatore Romano II (959-963) e un altro calice ricavato, sempre all'epoca di Romano II, da una sardonica sfaccettata antica (v. vetro).
2. - La statua del S. Teodoro si trova nella piazzetta S. Marco, su di una colonna di granito egiziano, una delle tre portate dall'Oriente nel 1172. Rappresenta una figura maschile loricata e aureolata che calpesta un mostro dal corpo di coccodrillo e il muso di cane; regge con la destra lo scudo e con la sinistra levata si appoggia alla lancia. Sulla base di testimonianze storiche (Sansovino), si sa che la statua fu collocata sulla colonna nel 1329, ma essa risulta composta di parti diverse per materiale, origine e stile: la testa e il torso, nonostante la diversa provenienza e il notevole stacco cronologico, sono ambedue di marmo pario; le braccia, le gambe e il drago sono di marmo a venature grigiastre, mentre lo scudo è in pietra d'Istria; l'asta e la lancia sono in legno rivestito di lamina di rame e l'aureola è di ferro ramato. Le membra con lo scudo e il drago rivelano una stretta parentela stilistica con l'ambiente della scultura veneta della prima metà del XIV sec., e sono certamente opera del modesto artefice che dovette adattare e organizzare pezzi tanto diversi. Il torso e la testa invece appartennero certamente a statue antiche. Il torso è coperto di corazza decorata da teste barbute di Ammone, da una testa di Gorgone alla sommità e, al centro, da un trofeo sorgente da un cespo di acanto, allestito da due vittorie; è databile, con una certa probabilità, ad età adrianea. La testa, più piccola del torso, ha una capigliatura riccamente lavorata, ritoccata sembra, col trapano, cinta da una doppia corona di quercia; tra le foglie vi sono fori che dovevano reggere una corona radiata di metallo; le superfici sono molto corrose. La morbidezza del modellato e la ricchezza plastica fanno propendere per una origine asiatica della testa. Essa è stata ipoteticamente identificata col ritratto di Mitridate VI Eupatore (v.), re del Ponto (121-63 a. C.), sulla base di un ritratto monetale su tetradracma di Ariarate IX di Cappadocia, battuto nell'89 a. C.
3. - Il leone della Piazzetta, innalzato, come il S. Teodoro, su di una colonna di granito egiziano con capitello medievale, raffigura un leone alato in bronzo (forse un tempo dorato), con ricca criniera, che avanza con le fauci spalancate. La più antica menzione è del 1293, quando però si parla già di restauri; e poiché la colonna sulla quale si trova fu portata a V. nel 1172, tra queste due date (metà del XIII sec. circa) va posta la collocazione del leone. Fu asportato da Napoleone che lo collocò a Parigi nella Place des Invalides, e tornò a V. nel 1815; in questa occasione cadde, si ruppe in molti pezzi e fu restaurato dallo scultore Bartolomeo Ferrari, il quale lo ricompose con orditure di ferro e borchie a testa quadrata. Fu rimosso nel 1892 per una completa ispezione da G. Boni e poi non fu più toccato fino al 1940, quando fu posto al sicuro in occasione della seconda guerra mondiale. Le integrazioni del Ferrari (coda, ali, parte delle zampe e un ciuffo sulla testa), sono chiaramente riconoscibili; il libro sotto le zampe fu rifatto in piombo; ma la figura, specie la testa il petto e i fianchi, è sostanzialmente originale e in buone condizioni. Un serio elemento di dubbio è costituito dalle ali: le attuali si devono senz'altro al restauro del Ferrari, che ha sostituito quelle medievali, ma non è certo se la bestia fosse originariamente alata, prima di essere trasformata nel simbolo di S. Marco. Fu creduto romanico, assiro, indiano, cinese e sassanide un punto fermo è dato dal fatto che esso è certo anteriore alla metà del XIII sec. (la più bassa data possibile); ma per ragioni stilistiche e tecniche non può certo essere considerato opera medievale italiana; c'è ragione di credere invece che, come altre antichità veneziane, provenga da Costantinopoli o dal Levante. Ogni tentativo di definire l'ambiente storico e geografico in cui questa scultura in bronzo è stata realizzata si presenta molto problematico, e soprattutto deve fare i conti con una evidente e notevole diversità stilistica tra la testa e il corpo, pure tecnicamente fusi insieme. La testa con i due lunghi baffi striati, le sopracciglia muscolose e rotonde, la criniera a linee serpeggianti, disposte regolarmente, secondo una stilizzata convenzione decorativa, con una ricerca di effetto "pauroso", ha una innegabile impronta "orientale", per la quale tuttavia non si è riusciti a trovare nessuno specifico termine di confronto. Il corpo invece, un po' rigido e privo di una sua coerente articolazione, con larghi piani in cui sono identificati plasticamente i particolari naturalistici (come le vene), ha una intensa ma rude vitalità interna, priva di accademismi, e sembra potersi collocare piuttosto entro la tradizione classica mediterranea. Anzi, entro questa orbita, in un'epoca di passaggio, che presenta i segni di uno sviluppato arcaismo, sarebbe senz'altro da assegnare, se si potesse prescindere dalla testa. Da quest'ultimo punto di vista però, l'esame stilistico del bronzo nel suo complesso, potrebbe portare a valutare anche il contrasto tra la testa, più stilizzata e meno viva, e il corpo rigido e vitale, più come effetto di immaturità (nel senso classico), che non di eclettismo. E proprio l'Oriente immediatamente ad E del mondo classico, quasi parte integrante di esso, del VII-VI sec. a. C., ha potuto ipoteticamente essere considerato l'ambiente adatto alla creazione di una scultura del genere (Ward Perkins). Seria obiezione è comunque, per questa come per altre ipotesi, la mancanza di stretti paralleli, perché tutti i confronti che vengono addotti offrono solo spunti di somiglianza, ma non precisi riscontri. Un'altra grossa difficoltà è data poi dalle dimensioni della scultura, anch'esse senza paralleli.
4. - I leoni dell'Arsenale. Davanti alle porte dell'Arsenale, sono sistemati quattro leoni, due dei quali (a sinistra e a destra della porta), come ricorda l'iscrizione sullo zoccolo, furono inviati da Francesco Morosini dopo la riconquista di Atene nel 1687; mentre gli altri due, portati a V. nel 1692, sempre dalla Grecia, sarebbero stati collocati nel 1716, anno della liberazione di Corfù.
Il più antico dei quattro è quello alla destra della porta d'ingresso. È di marmo nassio, acefalo e completato da una brutta testa barocca; siede sulle zampe posteriori, col corpo quasi orizzontale, reso con piani molto rigidi; non pare sia stato molto rilavorato, ma piuttosto corroso dalle intemperie. Il paragone più immediato e convincente è con i leoni dell'agorà degli Italiani a Delo, datati entro la metà del VII sec. a. C., al gruppo dei quali deve appartenere anche questo leone. La testa originaria, sul modello di quelli di Delo, doveva essere piccola e appuntita con le fauci aperte. Di diversa origine ed epoca il leone alla sinistra dell'ingresso proviene, secondo l'iscrizione che l'accompagna, dal Pireo, e presenta sul corpo due iscrizioni in caratteri runici, ricordo dei mercenarî scandinavi (Varangi), che nel 1040, al servizio di Bisanzio, furono mandati a domare una insurrezione ad Atene. Il leone è del tipo seduto sulle zampe posteriori ed eretto sulle anteriori. Si riallaccia stilisticamente e tipologicamente al leone di Cheronea, innalzato dai Tebani nel 338 e a quello di Amphipolis, anch'esso di carattere funerario e della fine del IV sec. a. C. I restauri sembrano essersi limitati alla parte del muso rifatta già all'epoca del Morosini; nella stessa epoca forse subì qualche rilavorazione, ma il corpo, come attestano le iscrizioni runiche, è sostanzialmente autentico.
Degli altri due leoni, uno, all'estrema destra del canale, è un modesto lavoro di marmo imettio con la testa chiaramente di restauro; l'altro, a destra della porta dell'Arsenale, è dello schema accovacciato, che ha riscontri nel IV sec. a. C. Una iscrizione lo dice portato dal Morosini insieme al primo dei leoni presi in esame; ha la testa di restauro.
5. - Museo Archeologico. Il nucleo originale del Museo Archeologico di V. risale a due lasciti della famiglia Grimani: uno del Cardinal Domenico (doge nel 1521-23), che formò la sua raccolta in gran parte con materiale proveniente da una vigna di sua proprietà a Roma, e della quale oggi sembrano essere rimasti solo cinque pezzi; l'altro del nipote Giovanni, morto nel 1593, che si procurò dovunque le sue antichità, tra cui il celebre complesso di originali greci. (Una parte della raccolta passò a Vienna).
La raccolta rimase fino ad età napoleonica nella Biblioteca del Sansovino, accresciuta da altri lasciti; fu in seguito trasferita nelle sale maggiori del Palazzo Ducale, e infine riunita nell'appartamento del Doge. Accolse nel 1900 la raccolta del museo di Udine. Più tardi la sezione classica fu staccata da quella medievale; alcuni pezzi archeologici furono posti a decorare la Ca' d'Oro e quattro statue imperiali, provenienti da Nona, in Dalmazia, furono portate a Zara. Risistemato nel 1948, dopo l'interruzione dovuta alla guerra, ha aperto nel 1953 anche una sezione alto-medievale.
Il museo è ordinato cronologicamente e comprende il gruppo degli originali greci, quattro statue femminili acefale, databili tra la metà e la fine del V sec. a. C.; una serie di rilievi funerarî della seconda metà del V sec. a. C.; una replica della Sosandra (v. kalamis); una replica dell'Apollo Liceo; una testa di Atena scopadea; una testa di Meleagro-Ammone; numerosi i pezzi di arte ellenistica e neoattica; il gruppo dei tre Galati copie del "piccolo donario" di Attalo, di arte pergamena; diverse basi triangolari per candelabri; l'Ara Grimani, con scene erotiche; cariatidi arcaistiche; un ekateion neo-attico; due teste greco-egizie in basalto del III-II sec. a. C.; una serie di ritratti romani, alcuni eccellenti; il ritratto di Pompeo, replica claudia, molto restaurata; il cosiddetto Vitellio (un ritratto dell'età di Adriano del quale esistono moltissime copie moderne, v. vitellio), la statua colossale di Agrippa in aspetto di Nettuno e varie teste di imperatori.
Dalla raccolta Correr proviene la statuetta di imperator in bronzo, che doveva essere seduto sulla "sella castrense", e una statua acefala in marmo pario, forse dall'Eretteo. È conservato nel museo anche il cammeo Zulian con la testa di Giove Egioco; si trova qui riunita anche una raccolta di monete e di epigrafi greche e latine; una raccolta di bronzetti paleoveneti; e una piccola raccolta di antichità egizie e assiro-babilonesi.
Bibl.: G. Brusin, Di uno scavo recente nell'Arsenale di V. e della sua interpretazione, in Atti R. Istit. Veneto di Scienze Lettere e Arti, 1939-40, (estr.); G. P. Bognetti, Il contributo della Archeologia alla critica delle più antiche leggende su V., in Beiträge zur Kunstgeschichte u. Archäologie des frühmittelalters, Graz-Colonia 1962, p. 131 ss. Sulle antichità in generale: F. Sansovino, V., città nobilissima e singolare, Venezia 1584; G. Zanetti, Delle antiche statue greche e romane che nell'antisala della libreria di S. Marco e in altri luoghi pubblici di V. si trovano, Venezia 1743. In particolare per i cavalli di S. Marco: L. Cicognara, Dei quattro cavalli riposti sul pronao della Basilica di S. Marco, Venezia 1815; A. W. Schlegel, Lettres aux editeurs de la Bibliothèque Italienne sur les chevaux de Venise, Firenze 1816; A. Mustoxidi, Lettera sui cavalli della Basilica di S. Marco, Padova 1916; G. A. Dandolo, Sui quattro cavalli della Basilica di S. Marco, Padova 1916; G. A. Dandolo, Sui quattro cavalli della Basilica di S. Marco, Venezia 1817; X. Haydon, Comparaison entre la tête d'un des chevaux de Venise et la tête du cheval d'Elgin du Parthenon, Londra 1818; A. Michaelis, in Journal Hellenic Studies, III, 1882, p. 236; A. Dall'Acqua-Giusti, in La Basilica di S. Marco in Venezia, a cura di C. Boito, Venezia 1888, pp. 423-427; L. V. Schlözer, Die Rosse von S. Marco, in Röm. Mitt., XXVIII, 1913, pp. 129 ss.; K. Kluge-K. Lehmann-Hartleben, Grossbronzen der römischen Kaiserzeit, Berlino-Lipsia 1927, pp. 78 ss.; J. F. Crome, Die goldenen Pferde von S. Marco und der goldene Wagen der Rhodier, in Bull. Corr. Hell., LXXXVII, 1963, pp. 209 ss.; B. Forlati Tamaro, in Rendic. Pont. Acc. Archeologia, XXXVII, 1964-65 (1966), pp. 83 ss. Per i pezzi antichi nella Basilica di S. Marco: E. Lucchesi-Palli, Die Passions-und-Endszenen Christi auf der Ciboriumsäule von S. Marco in Venedig, Praga 1942; C. Anti, La tomba del doge Marino Morosini nell'atrio di S. Marco, in Arte Veneta, VIII, 1954, pp. 17-21; O. Demus, Die Reliefikonen der Westfassade von S. Marco, in Jahrb. Oesterreich. Byzant. Gesellschaft, III, 1954, pp. 87-107; W. F. Bolbach-M. Hirmer, Arte Paleocristiana, Firenze 1958, pp. 73-74; H. Buchwald, The carved stone ornament of the high Middle ages in S. Marco, in Jahrbuch Oesterr. Byzant. Geselslchaft, 1962-63, pp. 169 ss. Per il tesoro di S. Marco: A. Pasini, in La Basilica di S. Marco, Venezia 1885; C. Albizzati, Quattro vasi romani nel tesoro di S. Marco a Venezia, in Memorie Pontificia Acc. Arch., I, 1923, pp. 38 ss.; A. Grabar, La "Sedia di S. Marco" à Venise, in Cahiers Archéologiques, VII, 1954, pp. 19-34; F. Forlati, The Treasury of St. Mark's Venice, in The Connoisseur, CLIV, 1943, pp. 3-14; è in preparazione, a cura della Fondazione Cini, un catalogo scientifico di tutto il materiale del tesoro.
Per il S. Teodoro: L. Sartorio, S. Teodoro, statua composita, in Arte Veneta, I, 1947, pp. 132 ss.; G. Kleiner, Bildniss und Gestalt des Mithridates, in Jahrbuch, LXVIII, 1953, p. 73 ss.
Sul leone della piazzetta: G. Boni, Il leone di S. Marco, in Archivio storico dell'Arte, V, 1892, pp. 301-320; A. Venturi, Storia dell'Arte Italiana, II, Milano 1902, p. 540 ss.; D. W. S. Hunt, An archaeological Survey of the Island of Chios, in Ann. Br. Sch. Athens, XLI, 1941, pp. 46-47; J. B. Ward Perkins, The Bronze Lion of St. Mark at Venice, in Antiquity, XXI, 1947, pp. 23-41. Sui leoni dell'Arsenale: B. Sauer, Altnaxische Marmorkunst, in Ath. Mitt., XVII, 1907, p. 39 ss.; A. de Laborde, Athènes aux XV, XVII, XVIII siècles, Parigi 1854, II, p. 240 ss.; O. Montelius, Les temps préhistoriques en Suède et dans les autres pays scandinaves, Parigi 1895; G. Q. Giglioli, I leoni dell'Arsenale di Venezia, in Archeologia Classica, IV, 1952, p. i ss.
Sul museo: A. Furtwängler, Griechische Originalstatuen in Venedig, Monaco 1892; Arndt-Amelung, Phot. Einzelaufn., Monaco 1920, nn. 2411-2646; C. Anti, Il R. Museo Archeologico nel Palazzo Reale di Venezia, Roma 1930; M. Guarducci, Le iscrizioni greche di Venezia, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, IX, 1942, p. 7-53; B. Forlati-Tamaro, L'origine della raccolta Grimani, Venezia 1942; L. Curtius, Kleobis und Biton-relief in Venedig, in Mitt. Deutsch. Archäol. Inst., IV, 1951, pp. 17-20; B. Forlati-Tamaro, Il Museo Archeologico del Palazzo Reale di Venezia, Roma 1953; id., Nuova sistemazione della raccolta d'Arte Antica del Museo Correr, in Arte Veneta, VII, 1953, p. 211; id., La replica dell'Adorante al Museo Archeologico di Venezia, in Studi in onore di Calderini e Paribeni, III, Firenze 1957, p. 156 ss.; B. M. Scarfì, Una testa scapadea di Atena nel Museo Archeologico di Venezia, in Rendiconti Pontificia Accad. di Archeologia, XXXII, 1959-60, pp. 69 ss.; B. Forlati-Tamaro, La capsella d'avorio di Samagher, in Arte Veneta, XVIII, 1964, pp. 211-212.