VENEZIA e ISTRIA
. Nell'ordinamento augusteo, è la X regione d'Italia. Delle undici regioni in cui l'imperatore Augusto divise l'Italia dopo che, soppressa nel 42 a. C. la provincia della Gallia Cisalpina, i termini orientali d'Italia erano stati da lui allargati fino alle Alpi e al Formione (l'odierno fiume Risano a mezzogiorno di Trieste) e in seguito furono estesi all'Istria e fissati al fiume Arsa sul Carnaro, la regione decima, Venetia et Histria, venne a confinare a levante con l'Illirico e la Pannonia e a tramontana con questa, il Norico e la Rezia, mentre a ponente essa era finitima alla regione undecima, Transpadana, e a mezzogiorno, lungo il Po, all'Emilia.
Già entro questi confini, la decima superava per ampiezza di territorio le altre regioni augustee. È però accertato che nei primi tempi del governo d'Augusto, in nesso con le operazioni belliche, da lui condotte contro i popoli alpini e delle quali rimane memoria nelle iscrizioni dell'Arco di Susa, del Trofeo della Turbia e del Monumento Ancirano, la decima regione aveva varcato la cinta delle Alpi Giulie giungendo sino a Emona (Lubiana) e che al di là dell'Arsa essa comprendeva la Giapidia e la Liburnia. Così si spiega che Plinio, il quale nella sua descrizione dell'Italia si serve dei registri di Augusto, nomina tra i suoi abitanti non solo i Galli, i Veneti, i Carni e gli Istri, ma anche i loro vicini orientali, i Giapidi e i Liburni, enumerandone le città che dice espressamente trovarsi entro la decima regione.
Con queste notizie concorda il fatto che le città costiere e insulari tra l'Arsa e il Golfo di Zara (sinus Iadestinus), da Fianona che diede il nome al sinus Flanaticus (Carnaro) e da Albona a Ossero, e quelle dell'interno, da Nauporto ed Emona (Lubiana) a Nedino e Asseria, sono tutte ascritte alla tribù Claudia.
Alla tribù Claudia appartennero anche le comunità situate nella seconda zona della penetrazione romana: Asolo, Concordia, Treviso, Gemona e Tricesimo, Zuglio di Carnia, Berua nell'Anaunia devono più o meno direttamente la loro costituzione al programma svolto da Augusto per assicurare l'ampia cerchia dei limiti alpini e la porta orientale d'Italia con fortificazioni, strade e sistemazioni di città e borgate. Del resto anche durante l'impero, mentre Nauporto ed Emona fecero sempre parte dell'Italia, l'Istria e la Liburnia furono assai spesso accomunate sotto un medesimo procuratore: così del tempo di Severo Alessandro si conoscono due procuratores alimentorum per Transpadum, Histriam, Liburniam. Liburnia era detto comunemente il paese tra l'Arsa e Zara, che non si considerava come parte della Dalmazia.
La decima regione dunque, a differenza delle altre che rappresentavano un'unità etnica, comprendeva popolazioni diverse, cioè la parte orientale del territorio occupato dai Galli Cenomani (mentre la parte occidentale fu assegnata alla regione undecima) con il capoluogo Brescia e le maggiori città, Verona, Trento, Mantova, Cremona; i Veneti, tra il Po e la Livenza, con il grande centro di Padova e le città di Vicenza, Este, Altino, Adria, Oderzo, Ceneda, Belluno, Feltre; i Carni, tra la Livenza e il Risano, con Concordia, Aquileia, Tergeste, Cividale, Gemona, Zuglio, Longatico, Nauporto e Lubiana; gli Istri con Pola, Parenzo, Nesazio e forse anche Cittanova (Aemonia) e Pedena; infine i Giapidi e i Liburni, con Albona, Fianona, Tarsatica (Fiume), le isole del Carnaro e le località dell'interno che fanno corona a Zara.
Ma la denominazione ufficiale di "Venezia e Istria" è giustificata dal fatto che da una parte l'antichissima civiltà venetica, alimentata dalle correnti d'oltremare - Spina e Adria furono scali di commerci ellenici fino dal sec. V a. C. - come aveva dominato gli Euganei, così era penetrata a ponente nei territorî celtici e retici e a levante in quello dei Carni, venetizzandoli forse anche linguisticamente, mentre d'altra parte l'Istria, trovandosi alla sponda opposta dell'Adriatico ed essendo stata aggiunta all'Italia ultimamente, poté mantenere il suo nome forse anche a ricordo della dura guerra istrica celebrata nei poemi di Ennio e di Ostio.
Tuttavia le singole popolazioni conservarono più o meno la memoria delle loro origini nell'onomastica, nei miti che adombrano i primitivi commerci marittimi e fluviali e nel culto di prische divinità locali: basti ricordare Antenore fondatore di Padova, gli Argonauti e Diomede alla foce del Timavo nell'agro tergestino, i Colchi fondatori di Pola e delle Isole Assirtidi nel Carnaro, i numi salutari del Timavo e dell'Apono (Abano), Saturno e altre divinità retiche nel Trentino e nel Veronese, illiriche nella parte orientale dell'Istria. Delle città di tutta la decima regione tre soltanto portano un nome latino, Concordia, Forum Iulii e Iulium Carnicum di fondazione romana; Aquileia sembra invece latinizzazione di nome preromano, forse derivato da quello di un fiume locale Aquilis ricordato dallo storico Zosimo.
È probabile che a cominciare dal tempo di Traiano, come avvenne per altre regioni e per l'Italia tutta, l'amministrazione della decima regione fosse posta temporaneamente sotto il controllo di commissarî detti curatori o giuridici o correttori: così per l'anno 284 d. C. sappiamo di un Aurelio Giuliano curatore dei Veneti. Ma quando Diocleziano nel 292 d. C. divise l'impero in quattro prefetture e la prefettura d'Italia ebbe due vicarii, il vicarius urbis residente a Roma e il vicarius Italiae a Milano, allora la regione decima, diventata provincia Venetiae et Histriae o anche Venetiarum et Histriae con la capitale Aquileia, fu sottoposta al vicario d'Italia e retta prima da un corrector e dal 363 d. C. da un consularis dell'ordine senatorio col titolo clarissimus vir o di rango equestre col titolo vir perfectissimus.
Dalle epigrafi si conosce una decina di tali governatori che ressero la regione durante tutto il sec. IV d. C. Del medesimo secolo è pure una dedica dei Veneti atque Histri a Petronio Probo prefetto del pretorio per Illyricum Italiam et Africam e alcune colonne miliarie del Veronese collocate in onore degl'imperatori Valentiniano e Valente dalla devota Venetia.
Bibl.: T. Mommsen, in corpus INscr. Lat., I, p. 118; III, p. 279 segg.; V, p. i segg.; E. Pais, in supplem. al vol. V del Corpus Inscr. Lat.; J. Marquardt, Röm. staatsverwaltung, I, p. 216 segg.; H. Nissen, italische Landeskunde, II, Berlino 1902, p. 193 segg.; J. W. Kubitschek, De Rom. tribuum orig. ac propag., Vienna 1882, pp. 80 segg. e 91 segg.; Imp. Rom. tributim discr., ivi 1889, p. 105; id., in Jahrb. f. Altertumskunde, V (1911), p. 175; R. Bartoccini, in De Ruggiero, Diz. epigr. di ant. rom., s. v. Histria; P. Sticotti, Le roccie inscritte di Monte Croce in Carnia, in Archeografo triestino, s. 3ª, III (1907), p. 161; id., "Ad Tricensium", in Mem. stor. forogiuliesi, s. 3ª, IX (1913), p. 373; Notizie e appunti, in Archeogr. triest., s. 3ª; XVII (1932), p. 385; A. Degrassi, ibid., s. 3ª, XV, p. 261; id., Inscriptiones Italiae, fasc. Parentium; A. Negrioli, in Not. degli scavi, 1924, p. 279 e 1927, p. 143.