VENETI (lat. Veneti; gr. Οὐένετοι, ‛Ενετοί, 'Ενετοί)
Il nome di Veneti indica le popolazioni indoeuropee diverse dalle italiche e dalle celtiche, stabilite nella pianura veneta e ivi rimaste fino al momento della conquista romana: esso rappresenta perciò una notevole restrizione rispetto al valore etimologico di "abitanti delle Tre Venezie".
Fin dall'antichità erano noti popoli dal nome identico o affine: gli ‛Ενετοί, in Paflagonia, i Galli Veneti sulle coste atlantiche della Gallia a nord della Loira, gli Slavi Veneti sul corso medio e inferiore della Vistola; esistevano inoltre i Galli Venelli (derivato evidente di Veneti) e i Venetulani, antichissimo popolo del Lazio. Ricondurre tutti questi nomi a un singolo popolo indoeuropeo, ad esempio all'illirico, è impossibile. Non ci sono che due possibilità: o Veneti è una parola indoeuropea con un significato paragonabile a quello di āryās, cioè i "nobili", o è una parola preindoeuropea, della quale cercheremo il significato nella sfera di "forestieri", "nuovi venuti" e simili. Sarà allora possibile fare anche confronti più estesi, per esempio con i Venostes dell'odierno Alto Adige.
Le notizie degli antichi sono concordi nel ritenere i Veneti per immigrati. Secondo Erodoto (I, 196) si ritenevano essi stessi venuti dall'Asia ed egli correttamente li definisce come Illiri. Secondo Livio (I,1) loro capo sarebbe stato Antenore; nel Veneto si sarebbero sostituiti agli Euganei scacciati. Secondo Pobibio (II, 17) la loro lingua era diversa da quella dei Celti. Erano dediti al commercio, fra l'altro a quello dell'ambra (Plinio, Nat. Hist., XXXVII, 11). Avevano secondo Scimno (386) 50 città. Di queste conosciamo: Patavium (Padova), Altinum, Adria, Ateste (Este), Tarvisium (Treviso), Vicetia (Vicenza), Opitergium (Oderzo), Feltria e Bellunum. I confini dei Veneti propriamente detti (senza i Carnî di origine probabilmente celtica) erano l'Adige, le Prealpi venete e carniche e il corso della Liquentia (Livenza).
Con la battaglia di Talamone (225 a. C.) i Romani ebbero per la prima volta la strada aperta verso la Gallia Cisalpina, dove stabilirono colonie in territorio gallico a Piacenza e Cremona. Dopo la II guerra punica, poco dopo Bononia (189 a. C.), Parma e Mutina (185), fondarono una colonia al di là del territorio veneto, ad Aquileia (183-181). I rapporti fra Veneti e Romani non cessarono però mai di essere amichevoli e più volte i Romani assunsero la difesa dei Veneti contro i Galli (Livio, XXXIX, 22, a. 186). Dopo la guerra sociale le città venete furono trattate secondo la lex Pompeia de Gallia citeriore (89 a. C.), che le assimilava a colonie di diritto latino: le prime città che ebbero tali diritti furono Ateste Patavium e Vicetia. Con l'ordinamento augusteo i Veneti furono staccati dalla Gallia cisalpina, per costituire la X regione con il territorio dei Carnî e degli Histri.
È interessante notare che il confine fra dialetti veneti e dialetti ladini moderni corrisponde assai bene al confine dei Veneti antichi.
Archeologia. - I trovamenti archeologici portano alle considerazioni precedenti alcuni contributi: a) la civiltà veneta, archeologicamente considerata, si inizia in un tempo assai più arcaico, ancora prima della fine del secondo millennio; b) il suo sviluppo è coerente e tranquillo fino alla conquista romana; c) a differenza di quanto appare dalla tradizione, gli abitanti precedenti non sono respinti o distrutti: infatti, di fronte alle necropoli "venete" di incinerati si conservano per un certo tempo i resti delle capanne rotonde proprie degli abitanti precedenti che convenzionalmente chiamiamo Euganei; e soprattutto nelle stesse necropoli venete si osservano talvolta, inumati accanto alle ceneri dei loro signori, resti di indigeni ridotti in servitù. Naturalmente rimane incerto se questa civiltà "veneta" sia stata fin dal principio esclusivamente veneta o non piuttosto umbra (v. umbri), perché data la comune origine e la possibilità che il cammino di Umbri e Veneti verso l'Italia sia stato press'a poco lo stesso, non è detto che le due nazionalità siano separate da differenze archeologiche riconoscibili. Le tracce di palafitte ad Arquà Petrarca sono del resto un indizio che anche in territorio veneto dovrebbero aver soggiornato rappresentanti della nazionalità "italica".
Il centro archeologico dei Veneti è Este (v.; Este prende il nome dall'Adige, "Ates-te, Ates-is"), che in quel tempo passava nei suoi pressi e dalle navi poteva essere risalito dalla foce fino alla città. La sua origine doveva essere antichissima, risalire a tempi, in cui solo appoggiandosi ai colli Euganei, era possibile fissarsi in quelle regioni acquitrinose. La civiltà veneta di Este (v. ferro, civiltà del) viene comunemente divisa in quattro periodi: il I corrisponde all'ultimo periodo delle terramare o agli albori della civiltà villanoviana, occupa i primi secoli dopo il mille ed è caratterizzato da sepolcreti con i recipienti posti nella nuda terra, poveri di corredo funebre; il II mostra miglior protezione dei recipienti, maggior corredo e una certa quantità di oggetti di provenienza balcanica e greca, e dura fino al 500 a. C. circa; il III corrisponde al fiorire di Adria, attesta un commercio assai attivo con gli Etruschi ed è caratterizzato dai notevoli esempî di "situle"; il IV mostra un certo declino, corrisponde alla civiltà del ferro della Bologna gallica e dura fino alla conquista romana.
Lingua.
Alfabeto ed iscrizioni. - L'alfabeto veneto per la forma generale delle lettere (S-74???= t; S-75???= z; S-76???= h ecc.) e per il loro uso (S-77??? S-76??? = f; ϕ, χ, ϑ eventualmente anche per b, g, d, assordite e aspirabili nell'etrusco) è sicuramente un alfabeto nord-etrusco o retico, mentre il segno dell'O è ripreso dal greco. Il segno S-78??? in origine era certo un i bilateralmente interpunto, ma pare che nelle grafie locali si venisse confondendo col segno S-79???, probabile semplificazione di un ◫ coricato di forma picena e usato col valore dí h in determinate sedi; p. es. nel gruppo S-77??? S-78??? per S-77??? S-76???, e innanzi a consonante, e cioè in sedi dove aveva valore puramente grafico o esprimeva la quantità della vocale precedente. Viene però adoperato anche in fine di dittongo: ai, ei, oi, forse a indicare un i aperto, cfr. lat. ae, oe per ai, oi. Errata è qui la trascrizione con -ah, -eh, -oh, perché troviamo forme equivalenti scritte con -ai, -ei, -oi. Le iscrizioni, più di 200, comprendono anche alcuni abecedarî e sillabarî. I luoghi principali di trovamento sono Este, Padova, Vicenza, Valle del Piave, Trieste e, oltre le Alpi, Gurina e Würmlach.
La natura indoeuropea del veneto è indicata, oltre che dalle parole basi e dalla struttura dei nomi proprî, dai pronomi e dai verbi delle iscrizioni dedicatorie e delle firme dei vasi, dalle forme grammaticali dei nomi e dei verbi. Il carattere centum, oltre che dalla conservazione completa della terna vocalica a, e, o, è dimostrato dalla continuazione con velare k, g, gh, delle rispettive palatali indoeuropee, giacché la scrittura con ϕ, χ di b e g non può indicare spirantizzazione e dipende da cause interamente grafiche, come dimostra la trascrizione latina con b, g degli stessi nomi. Esempî del trattamento delle palatali sono 1. ekupeϑaris, nome proprio o qualifica di persona, un composto del tipo germanico ehu-skalk "mozzo dei cavalli", da ide. eku̯os, pannon. Ecco e un petar(-i-s) corrispondente al -piter di lat. acci-piter da *acu-peter, cfr. gr. ὠκυ-πέτης; 2. kluϑiiaris da ide. æloutiaris, a. ind. åruti-, lat. in-clutus, clueo, a. irl. clú "fama, gloria", il che spiega la conservazione del k nell'illir. Ves-klevesis = εὐ-κλεής, nel messap. klaohizis, klohizis da *klou(u̯)esi-s, alban. èuhem "mi chiamo" con k velare, che in un cospicuo numero di esempî pare che albanese, lituano e slavo (e già prima il traco-armeno-frigio e l'illirico) abbiano ereditato dal sostrato centum della loro area protostorica; 3. n. pr. Verkonzarna, composto che nel primo membro pare che abbia ide. u̯ergon, gr. ἔργον, germ. Werk. - Il pronome ven. eχo "ego" e me-χo, calcato su e-χo, corrispondono a gr. ἐγώ, ἐμέ-γε, got. ik, mik con un -ø indoeuropeo; ven. selboi selboi rammenta l'a. a. ted. der selb selbo. Voci e forme verbali indoeuropee sono nelle dediche e nelle firme ven. zoto "dedit", quasi un gr. *ἔ-δο-το con d in z; zonasto "donavit" da *donas-to, forma aoristica sigmatica da un denom. *donāi̯ō, forse di origine italica; vhaχs-to "fecit", pare da una base italica, cfr. lat. facio, faxo, essendo dubbia la continuazione di dh- iniziale con f- nel veneto. All'interno di parola ide. dh dà ven. d, interdentalizzato z, in lo.u.zera "Libera" cfr. Ludrianus, nomi di divinità, tutte e due quasi certamente venete, da ide. leudh-, gr. ἐ-λεύ-ϑερος, ital. luvfr-, lōfer-.
Chiaramente indoeuropea è la formazione dei nomi proprî: ne abbiamo in -o-s, -i̯o-s, -ā, -i̯ā, -i-s; tor, -on, -ont-s, -kos, u̯os.
Lo stato dell'interpretazione delle iscrizioni non ci permette di assodare il valore sintattico di alcune forme, e quindi la funzione grammaticale di alcune desinenze; ma una valutazione più sicura delle formule onomastiche ci metterebbe in grado di identificare un genitivo sg. in -oí (= illiro-messap. -aihi da -oī) nei temi in -o, su cui pare calcato il genitivo sg. in -aí dei temi in -ā; ma come nel latino, nel greco, ecc, qui potrebbe trattarsi di sostituzione del dativo al genitivo possessivo. Anche nei temi in -i e in quelli consonantici il dativo o locativo sg. in -eí pare che abbia assunto eventualmente la funzione di genitivo: Pauli 230, Cordenons 129 vanteí vhouχontioí "Vantis Fougontii ego"; Pa. 259, Co. 142 pleteí veiχnoí karanmnioí ekupeϑaris eχo "Pletis Vic(i)ni Caranmnii f. Ecupetaris ego"; Pa. 261, Co. 141 puponeí eχo rakoí ekupeϑaris "Pomponis ego Raeci f. Ecupetaris"; Pa. 21, Co. 31 meχo zonasto śahnateí rehtiaí poraí eχetoreí aimoí kelouzerobos "me donavit sanctae Rectiae virgini Hectoris Aimi f. Cluzerobus", cfr. l'altra meχo zonasto eχetor xximoi "Hector Xximi f.". La perduta iscrizione in alfabeto latino di Canevoi Co. 157 a enoni.ontei.appioi.sselboi sselboi.andetic.obos ecupetaris ora dovrebbe dunque esser tradotta "Vennoni Vantis Appii f. ipsius Andeticobus Ecupetaris (posuit)", cfr. ven. n. pers. Atlantedobo. Per i gen. sg. in -aí scelgo Pa. 34, Co. 20 vhuχia vhremaístnaí zoto Rehtiaí "Fugia Fremaistna dedit Rectiae (deae); cfr. Pa. 307, Co. 32 a verkonzarna nerikaí n. Inoltre il veneto possiede una desinenza di accusativo sg. in -an per i temi in -ā ed in -on per i temi in -o. I temi in -u presentano -uś al genitivo sg.; -un all'accusativo sg.
Per un popolo stabilito in margine o entro un'area retica ad ovest, entro a un'area prima umbra e poi etrusca presso le foci del Po, non può sorprendere l'immistione di parole retiche, umbre ed etrusche nel proprio dialetto. Oltre ai già notati donare e facere, parole umbre sembrano Formio fl. sotto Tergeste; Rehtia, u. rehte "recte", mentre al veneto pare che appartengano Liquentia fl., Aquileia, Piquentum (Histria). Etrusche sembrano le parole śahnat- "sanctus", etr. sacni- "sacer", e aisu- "dio, sacro in iscrizioni come Pa. 288, Co. 166 atto zonasto aísuś "Atto donavit deo (gen. dedic.)"; Pa. 287, Co. 167 [zonas]to aísus. Il Sommer pensa a ide. ansu-, āsu-, ted. Ase "dio", a. isl. ïss, ma ciò non spiegherebbe il dittongo -aí.
Bibl.: H. Nissen, Italische Landeskunde, Berlino 1883-1902, I, pp. 488-493; II, pp. 211-225; G. Ghirardini, I Veneti prima della storia, in Annuario di Padova, 1900-1901; C. Pauli, Altitalische Forschungen, III: Die Veneter u. ihre schriftdenkmäler, Lipsia 1891; F. Cordenons, Le iscrizioni venete euganee, Padova 1912; R. S. Conway, Prae-italic Dialects, I, Londra e Cambridge Mass. 1933; O. Danielsson, Zu den venetischen und lepontischen Inschriften, Upsala 1909; F. Sommer, Zur venetischen Sprache u. Schrift, in Indog. Forschungen, XLII (1914), pp. 90-132; Fr. Ribezzo, Contributi alla lettura ed interpretazione delle iscrizioni venete, in Riv. indo-greco-ital., VII (1924), pp. 269-74; XVII (1933), p. 116 segg.; P. Kretschmer, Einleitung in d. Geschichte d. griech. Sprache, Gottinga 1896; H. Krahe, Die alten balkanillyrischen geographischen Namen, Heidelberg 1925; G. Herbig, in Reallexikon d. Vorgeschichte, XIV, s. v. Veneter; E. Vetter, Die Herkunft d. ven. Punktiersystems, in Glotta, XXIV (1935), p. 114 segg.; H. Pedersen, Venet. ekupeϑaris, in Germanen u. Indogermanen, II, Heidelberg 1936, p. 579 segg. (poco persuasivo).