VELLEIO Patercolo (Velleius Patercŭlus)
Storico latino. Di lui non conosciamo con sicurezza il prenome. Visse a un dipresso fra il 19 a. C. e il 31 d. C. Le notizie che possediamo sulla famiglia e sulla persona stessa di lui, ci derivano esclusivamente dall'unica opera che di lui abbiamo. Fu oriundo campano, e di stirpe onorevole, poiché il suo antenato materno, Minazio Magio, in compenso della fedeltà e dell'aiuto prestato ai Romani nella guerra sociale, aveva avuto in dono la cittadinanza romana per sé e la carica di pretore per due figli (II, 16, 2-3); e il suo nonno paterno, il padre, lo zio paterno e il fratello esercitarono importanti uffici militari. Velleio stesso militò come tribuno sotto Gaio Cesare, e di poi come praefectus equitum, come questore e come pretore sotto Tiberio, che ebbe sempre per lui affettuosa benevolenza. Dal 14 al 30 d. C. non abbiamo più notizia alcuna sulla vita di Velleio; quindi è logico supporre che durante questi sedici anni Velleio attendesse alla raccolta dei materiali per comporre non solo i due libri di storie che possediamo, ma anche un'opera storica di più vasta mole, che si doveva estendere dalle guerre civili fra Cesare e Pompeo ai tempi suoi, cui accenna in II, 48, 5; 96, 3 e 114, 4; 99, 35; 119,1.
L'opera di Velleio, scritta nel 30 d. C., consta di due libri di storie, dedicati al conterraneo M. Vinicio (Vellei Paterculi ad M. Vinicium libri duo), il quale, fino dal 29, era stato designato console. Sono due libri lacunosi; e il primo è acefalo. Il I libro, che consta di 18 capitoli, va dai mitici accenni sulle fondazioni di città per opera di eroi reduci dalla guerra troiana, alla distruzione di Cartagine e di Corinto (146 a. C.); il II libro, di 131 capitoli, prende le mosse dai tempi che seguono la distruzione di Cartagine, e giunge sino al consolato di Vinicio.
L'epitome velleiana, in cui lo scrittore, conforme al metodo degli annalisti, tratta più brevemente ciò che concerne i tempi remoti, non è arida, ma costituisce una sintetica storia della civiltà, poiché in essa hanno il loro posto alcuni quadri d'ambiente, un'interessante sinossi della colonizzazione romana, frequenti accenni alle opere pubbliche, e specialmente notizie letterarie che costituiscono la parte più originale della storiografia velleiana. Dal punto di vista artistico sono degni di segnalazione figure di personaggi maschili e femminili, ritratti comparativi, e alcune descrizioni vive e colorite. Tiene poi un posto eminente negli scritti del nostro autore lo spirito militare, che è perfettamente consono alle qualità che il nostro storico ha ereditate dagli avi e alla vita da lui condotta.
Politicamente V. è avverso all'imperialismo universale di Roma, favorevole invece allo stato romano italico. Spirito eminentemente conservatore, desidera uno stato senza turbamenti, ed è ostile a qualsiasi attività innovatrice, fino a giustificare anche l'uccisione sommaria degli agitatori delle masse. Non ha determinate tendenze filosofiche; crede al fato, e al suo influsso benefico, o avverso, sulle vicende umane.
Due fonti soltanto sono citate da Velleio: Catone e Ortensio. Ma egli stesso fa allusioni vaghe a pluralità di fonti a cui attinse; e di queste fanno parte quasi certamente i lavori cronologici e genealogici di Attico, di cui vediamo un chiaro riflesso nei ritratti dei personaggi velleiani. Per i capitoli1-8 del libro I si suppone che la fonte sia Trogo; e per la storia romana sono credute fonti Livio, l'Index rerum a se gestarum di Augusto; per gli ultimi 30 capitoli pare che V. si sia valso delle sue conoscenze personali. Non mancano poi influssi letterarî ciceroniani e sallustiani. In alcuni luoghi dell'epitome velleiana sono contenuti cenni, spesso con tinta polemica, ai principî critici seguiti dall'autore.
Attende ancora una soluzione definitiva la questione cronologica, soluzione già da tempo promessa dallo Stegmann (praef., p. VI). Ora l'ha tentata il Kasten, che si basa su un passo velleiano I, 8, 4, secondo il quale Roma fu fondata nel 751 a. C., cioè 781 anni prima del consolato di Vinicio, che fu nel 30 d. C. Ma il regolare la cronologia velleiana sul 781 non pare dia sicuro affidamento, poiché tale data non ci è offerta dall'edizione principe, ma risulta da correzione del Laurent, correzione non accolta da autorevoli editori.
L'obiettività di V. non si può sempre stabilire con certezza: è logico ammetterla riguardo ad avvenimenti lontani, mentre più difficile riesce determinarla rispetto a fatti contemporanei e personali. Riguardo a Tiberio si può credere che V. sia sincero, e ammiri nell'imperatore, con devozione profonda di soldato e con gratitudine di uomo, il generale vincitore di tante battaglie, il milite fra i militi, e ad un tempo il benefattore dei suoi sudditi. E tanto più è da credere all'obiettività di V., in quanto, nel 30 d. C., quando questi scriveva, Tiberio non aveva ancora manifestato le peggiori qualità del suo carattere.
Tutt'altro che spregevoli sono i due libri di V. dal punto di vista stilistico, sebbene egli, conforme il carattere della storiografia retorica, non sia rifuggito da mezzi ornamentali (allitterazioni, parallelismi, antitesi, metafore abbaglianti, clausole ritmiche). E se l'architettura del periodo è ineguale e talvolta irregolare, giacché, di fronte alle strutture più semplici, bruscamente spezzate, ne compaiono altre intricatissime per il susseguirsi di numerose dipendenti, formanti spesso ampie parentesi, ciò non esclude che non vi siano anche periodi ben conformati.
Certi difetti poi, come la frequente prolissità, il disordine di alcune parti, confessato dallo stesso autore, e le frequenti ripetizioni sono scusabili con la festinatio, alla quale l'autore allude in parecchi luoghi, specialmente in I, 16, 1.
Quanto ai costrutti, mentre V. si attenne in generale all'età classica, spesso se ne allontanò, e usò per primo strutture e locuzioni, che furono poi usate da scrittori posteriori.
Quanto alla lingua seguì specialmente gli scrittori dell'età aurea: tolse vocaboli da poeti, soprattutto da Virgilio, Orazio e Ovidio; da storici, come Sallustio e Livio. Tuttavia usò in modo particolare certi pronomi e congiunzioni; ad alcune parole attribuì un significato diverso; altre introdusse per la prima volta; e particolari norme seguì nella collocazione dei vocaboli.
L'opera di V. Patercolo, dimenticata per lunghi secoli, ritornò alla luce nel 1515, quando fu scoperta da Beato Renano, in un codice antichissimo dell'abazia di Murbach, in Alsazia. Un amanuense del Renano, Alberto Burer, collazionò accuratamente il codice di Murbach con un esemplare dell'editio princeps, pubblicata dal Renano a Basilea nel 1520, e notò in appendice le lezioni discrepanti. Nel 1516, Bonifazio Amerbach, discepolo del Renano, trasse una copia del codice Murbacense, la quale si conserva nella biblioteca universitaria di Basilea, sotto la segnatura A. N. II. 38. Ora, dato che il codice di Murbach da secoli è andato perduto, rimane come fondamento del testo velleiano, l'Editio princeps con l'appendice del Burer, e specialmente l'apografo dell'Amerbach: ma sì l'una che l'altro ci sono pervenuti in condizioni tali, da non permettere al critico più acuto di sanare con sicurezza tutti i passi corrotti e lacunosi.
Edizioni: J. C. Orelli, Lipsia 1835; Fr. Haase, 2ª ed., ivi 1858; C. Halm, ivi 1876; R. Ellis, Oxford 1898; E. Bolaffi, Torino 1930; Hainsselin-Watelet, Parigi 1932; C. Stegmann, Lipsia 1933. Cfr. recensione di E. Bolaffi, in Riv. fil. class., n. s., XI, p. 502 segg.
Bibl.: M. Schanz, Gesch. der röm. Litteratur, II, ii, 3ª ed., Monaco 1913, p. 253 segg., ivi e nelle ediz. sopra citate ampia bibliografia. Inoltre, per la critica del testo, L. Castiglioni, Alcune osservazioni a V. P., in Rend. Acc. Naz. Lincei, s. 6ª, VII (1931), pp. 268-73. - Per la cronologia, H. Kasten, in Philol. Wochenschr., LIV (1934), pp. 667-71. - Per lo stile e per la lingua, E. Bolaffi, De Vell. serm., ecc., Pesaro 1925. - Per quel che riguarda la parte artistico-letteraria, vedasi E. Bolaffi, Alcuni aspetti dell'opera di V. P., in annuario R. Ist. Tec. "Pier Crescenzi" di Bologna, 1933-1934, Bologna 1935.