VELENI (fr. poisons, vénins; sp. venenos; ted. Gifte; ingl. poisons, venoms)
In senso esteso, si comprendono tra i veleni quelle sostanze che, per la composizione chimica, o per la dose, o per le condizioni in cui vengono somministrate o assorbite, sono capaci di produrre negli organismi animali azioni lentamente o rapidamente dannose o alterazioni di struttura o disturbi funzionali incompatibili col normale funzionamento degli organismi stessi.
Da tale definizione risulta che la tossicità di una sostanza non è assoluta, ma è relativa a particolari condizioni, che sono necessarie perché un veleno possa esplicare la sua azione e che sono dipendenti o dalla sostanza stessa (costituzione chimica, proprietà fisiche, dose, forme di somministrazione, ecc.), o dall'organismo a cui viene somministrata (età, sesso, razza, condizioni fisiologiche e patologiche, idiosincrasia, assuefazione, vie d'introduzione) o dal comportamento della sostanza nell'organismo e anche da fatti climatologici e ambientali.
Si comprende quindi la varietà delle intossicazioni (v.: avvelenamento; tossicologia) e come non si possa indicare con esattezza il limite tra veleno e alimento, tra veleno e medicamento, tra veleno e tossina, talvolta differenziati solo dalla dose (es. alcool, glicerina, zafferano).
Il meccanismo intimo dell'azione tossica è molto complesso e non del tutto noto. In linea molto generale, si può dire che tra i veleni penetrati nell'organismo e venuti a contatto con i diversi elementi di esso (cellule, vasi, tessuti, organi) e più specialmente col sangue e con quegli organi di elezione, verso i quali esistono speciali cause di selettività fisica o di attrazione chimica (gruppi aptofori di Ehrlich), avvengono fenomeni fisici (soluzioni, osmosi, adsorbimento, coagulazioni) e reazioni chimiche (disidratazioni, idrolisi, salificazioni, condensazioni, ossidazioni, alogenazioni, formazione di metalloproteine), che modificano le proprietà fisiche o la composizione chimica dei costituenti i liquidi tissurali o degli elementi cellulari (membrana, protoplasma e suoi componenti), per modo da rompere l'equilibrio biochimico (isotonico, isoionico, acido-basico, colloidale, ormonico, enzimatico, radioattivo) e da determinare l'inerzia o l'alterazione o la morte dei varî elementî biologici aggrediti, e successivamente la lesione anatomica o la perturbazione funzionale dei tessuti e degli organi relativi. Se allo squilibrio o all'alterazione prodottisi non si oppongano tempestivamente, per reazione spontanea o in seguito a intervento esterno, fattori di compenso o di contrasto (neutralizzazione, soluzioni-tampone, contravveleni meccanici, chimici o antidoti, farmacologici o antagonisti, fermenti protettori, eliminazione del veleno o sua trasformazione in prodotti insolubili), insorgono disturbi più o meno gravi, e si avranno i quadri dei diversi avvelenamenti, che saranno differenti a seconda degli organi maggiormente lesi.
Classificazione dei veleni. - I veleni possono essere classificati secondo varî criterî.
Si possono anzitutto dividere in endogeni ed esogeni. I primi si formano nell'interno dell'organismo in svariate condizioni fisiologiche e patologiche, determinano le intossicazioni endogene o autointossicazioni, di cui si occupa la patologia e la clinica (v. avvelenamento; autointossicazione) e sono in generale poco noti nella loro costituzione chimica. I secondi penetrano nell'organismo dall'esterno e determinano le svariate intossicazioni esogene, di cui si occupa più particolarmente la tossicologia. Delle classificazioni relative ai veleni esogeni, tralasciando quelle che considerano lo stato fisico dei veleni (gas, liquidi, solidi) o la loro origine (animale, vegetale, minerale, industriale), indicheremo le classificazioni chimica, analitica, fisiologica e biochimica.
Classificazione chimica. - In relazione alla costituzione chimica i veleni si dividono in:
A) Veleni ìnorganici. - 1. Metalloidi e loro composti, es. fluoro e acido fluoridrico, cloro e acido cloridrico, ipocloriti; idrogeno solforato, anidride solforosa, acido solforico; ammoniaca, ac. nitrico, vapori nitrosi; fosforo bianco, idrogeno fosforato, fosfuro di zinco; idrogeno arsenicale, anidride arseniosa, arseniti e arseniati metallici; ossido di carbonio, fosgene, solfuro di carbonio; 2. metalli e loro composti: i metalli liberi non sono in generale direttamente velenosi, lo sono invece gl'idrati e alcuni sali dei metalli alcalini e alcalino-terrosi, es. idrato di sodio, di potassio, di bario; cloruro di bario; nonché la maggior parte dei sali solubili dei metalli pesanti, particolarmente di rame, argento, mercurio, piombo. Si possono comprendere tra i veleni metallici anche alcuni derivati organo-metallici, es. piombotetraetile.
B) Veleni organici: 1. Idrocarburi e loro derivati, es. acetilene, cloroformio, tetracloruro di carbonio, petrolio, benzolo, nitrobenzolo; 2. Alcoli, eteri, tioalcoli, tioeteri, es. alcool metilico, alcool etilico, etere solforico, iprite; 3. aldeidi, chetoni, solfoni, es. aldeide formica, cloralio, sulfonal; 4. fenoli, es. fenolo, cresoli, creosoto, acido picrico; 5. acidi, sali, esteri, es. acido cianidrico e cianuri, ac. ossalico, aspirina, nitroglicerina; 6. ammine e ptomaine, es. putrescina, muscarina, novocaina, anilina, adrenalina, acetanilide, fenacetina; 7. composti organo-arsenicali, es. arsine, acido cacodilico e cacodilati, arrenal, salvarsan; 8. composti a nuclei isociclici condensati, es. naftalina, fenantrene, antracene e loro derivati, santonina; 9. composti idrobenzenici e terpenici, es. cantaridina, trementina, canfora; 10. azoli e azine, es. antipirina, veronal, luminal; 11. alcaloidi, es. gruppo del pirrolo: atropina, cocaina, ecc.; gruppo della piridina e della piperidina: es. sparteina, nicotina; gruppo dell'indolo: es. eserina; gruppo della chinolina: es. chinina, stricnina; gruppo dell'isochinolina: es. morfina, codeina, papaverina, idrastina; gruppo della gliossalina: es. pilocarpina, istamina; gruppo della purina: es. caffeina, teobromina; 12. glucosidi, es. digitalina, strofantina, saponina, amigdalina, solanina; 13. resine e sostanze vescicatorie, es. gialappa, scammonea; 14. enzimi, tossine vegetali, animali e patologiche.
Classificazione analitica. - In questa classificazione i veleni vengono raggruppati secondo i caratteri di volatilità, di solubilità o di comportamento chimico, che sono applicati nell'analisi tossicologica. Si hanno così: 1. veleni gassosi, es. cloro, ossido di carbonio, gas illuminante; 2. veleni volatili al vapor d'acqua, in ambiente acido, es. bromo, fosforo, acido cianidrico e cianuri, etere, essenze; 3. veleni organici non volatili, ma separabili per soluzione o per dialisi, es. alcaloidi, glucosidi, sulfonal; 4. veleni metallici o metalloidici (rintracciabili dopo la distruzione delle sostanze organiche), es. anidride arseniosa, sali di argento, rame, bario; 5. veleni acidi, basici, o salini, non compresi nei gruppi precedenti, es. acido fluoridrico e fluoruri, ac. nitrico, solforico; basi forti; sali insolubili: solfato di bario.
Classificazione fisiologica. - Dal punto di vista dell'azione fisiologica, i veleni si possono classificare a seconda dell'organo sul quale esercitano esclusivamente o prevalentemente la loro azione, e a seconda delle manifestazioni di questa. Diamo qui le linee fondamentali di una classificazione, che segue entrambi detti criterî (Rabuteau, Mascherpa), avvertendo che le classificazioni fisiologiche dei veleni non possono essere assolute, dato che l'azione di molti veleni non è unica, perché spesso all'azione primitiva di un veleno seguono azioni secondarie, talvolta difficilmente separabili dalla prima, e data l'interdipendenza delle varie funzioni dell'organismo. Inoltre uno stesso veleno può provocare manifestazioni diverse e talora opposte nelle diverse specie animali. 1. Veleni irritanti e corrosivi. Irritano o trasformano profondamente l'albumina vivente, per semplice contatto, prima ancora di essere assorbiti, determinando azioni locali sulla cute e sulle mucose, es. acidi e basi forti, catrame, cantaride, sostanze aggressive belliche lacrimogene e starnutatorie. 2. Veleni ematici. Hanno azione sul sangue e si suddividono in veleni globulari e veleni del plasma. I primi agiscono sugli elementi figurati, specialmente sui globuli rossi, o detemiinando la fuoruscita dell'emoglobina (veleni emolitici, es. alcali, idrogeno arsenicale, bromo, alcool, etere, cloroformio, veleni dei serpenti, delle api, dei ragni; saponine, solanina, fallina), o l'agglutinamento (es. tossialbumine: abrina, ricina) o modificazioni chimiche dell'emoglobina (es. ossido di carbonio, fluoro, cloro, idrogeno solforato, ossidi di azoto, ac. cianidrico). Altri veleni agiscono sui globuli bianchi e sulle piastrine: es. cocaina, chinina, cloroformîo, piridina. I veleni del plasma agiscono più spesso sui globuli e sul plasma: es. fosforo, la maggior parte dei sali metallici a dosi piccole e continuate, veleno del cobra. 3. Veleni del cuore e dei vasi: i veleni del cuore disturbano variamente l'attività cardiaca, determinando o lesioni e fatti degenerativi (esempio fosforo, arsenico, mercurio, piombo, cloroformío) o azioni inibitrici sull'apparato nervoso regolatore del cuore (es. digitale, strofantina, muscarina, nicotina, rame) o variazioni della pressione sanguigna (es. narcotici, adrenalina, stricnina). L'azione dei veleni cardiaci può estendersi ai vasi; ma alcuni veleni hanno azione diretta sui vasi stessi: es. atropina, adrenalina, alcool, segala cornuta, piombo. 4. Veleni del sistema nervoso centrale: si dividono in: a) cerebrali, es. etere, cloroformio, che producono anestesia; essenze, protossido di azoto, che producono ebbrezza; e poi benzolo, solfuro di carbonio, fenolo, morfina, atropina, nicotina, cocaina, idrogeno solforato, ipnotici della seria barbiturica; b) bulbari, se paralizzano i centri vitali del bulbo, es. veratrina, aconitina, ac. cianidrico e alcuni gas soffocanti, che paralizzano il centro del respiro, la solanina che paralizza il centro cardiaco, l'apomorfina che eccita il centro del vomito; c) midollari o spinali, es. stricnina, tebaina; d) del sistema nervoso periferico, es. piombo, mercurio, rame, alcool, nicotina, sulfonal e omologhi, benzolo, nitrobenzolo, santonina; e) delle terminazioni nervose di senso, es. cocaina e succedanei; f) delle terminazioni nervose di moto, es. cicutina, curaro e sostanze ad azione curarica. 5. Veleni muscolari e neuro-muscolari. I primi agiscono sul tessuto muscolare determinando depressioni e paralisi, es. chinina, veratrina, caffeina, sali di rame, di zinco, di cadmio, di bario. Più numerosi sono i veleni che agiscono sui muscoli in seguito ad azione sul sistema nervoso, es. digitale, atropina. Un particolare gruppo di tali veleni agisce sulle fibre muscolari uterine (abortivi: tuia, sabina, zafferano, apiolo, ecc.). 6. Veleni che hanno azione sull'apparato digerente. Agiscono di solito per estensione di un'azione tossica generale o per fatti da essa derivanti. Il fegato può soggiacere alla degenerazione grassa per azione dell'arsenico, dell'antimonio, del fosforo, del cloroformio, del solfuro di carbonio, dell'alcool; si può avere la cirrosi per avvelenamento da piombo, da alcool; l'ittero può essere provocato da fosforo, da ammine aromatiche, da funghi del genere Amanita, dal veleno dei serpenti. Si possono poi avere vomiti (per ipecacuana, tartaro emetico, sali di rame e di altri metalli pesanti), gastroenteriti (per arsenico, cobalto, nichelio), diarree (per arsenico, mercurio, fosforo, veleni drastici, ipnotici, muscarinici), stitichezza (per oppio, morfina, piombo). 7. Veleni che hanno azione sull'apparato respiratorio, sugli organi dei sensi, sulla pelle, sul tessuto osseo, sul sistema endocrino. L'apparato respiratorio e gli organi dei sensi possono essere lesi, oltreché per azione locale dei veleni gassosi o di polveri tossiche, anche per azioni indirette di veleni penetrati in circolo per altre vie, es. si hanno asfissie e soffocazionì per azione dei veleni del sangue; bronchiti e broncopolmoniti da alcool, cloro; edema polmonare da ioduri; cataratta da naftalina; daltonismo da alcool; midriasi da atropina e veleni ipnotici; miosi da morfina ed eserina, nevrite ottica retro-bulbare da alcool metilico; atrofia del nervo ottico da arsenico, chinino, tabacco; xantopsia da santonina; alterazioni varie della funzìone uditiva da chinino, cloralio e acido salicilico; parestesie e anestesie da piombo, arsenico, alcool. Sono ipertermizzanti le sostanze convulsivanti, come la stricnina e inoltre certi dinitrofenoli. Sono invece ipotermizzanti l'alcool, il cloroformio, la chinina e altri alcaloidi. Il tessuto osseo può venire alterato dai veleni che modificano il ricambio del fosforo e del calcio, come il fluoro, lo stronzio, l'ergosterina. La pelle può presentare, in alcune intossicazioni non provenienti da fatti locali, manifestazioni e lesioni, come pigmentazioni da arsenicali, eritemi da cloralio e altri ipnotici, atropina e antipirina, acne da ioduri e arsenicali. Le ghiandole sudorifere sono lese dal mercurio; le unghie e i peli dal mercurio, dall'arsenico, dal tallio. Infine molte intossicazioni, specialmente qiuelle croniche, determinano alterazioni varie del sistema endocrino.
Classificazione biochimica. - I veleni si possono classificare anche secondo l'azione chimica che esercitano sui diversi organi e sugli organismi, verso i quali agiscono (Loew, Lustig-Rondoni-Galeotti), per quanto non sempre sia noto il meccanismo di tale azione. Si distinguono in generali, se sono capaci di alterare o di uccidere qualsiasi specie di protoplasma con cui vengono a contatto e in specifici, se possono esercitare una azione deleteria solamente su certi protoplasmi, mentre restano inattivi per altri. I veleni generali si suddividono, secondo le conoscenze che si hanno circa il loro meccanismo d'azione, in veleni ossidanti (ozono, acqua ossigenata, acidi bromico, iodico, manganico e i loro sali, alcuni composti del fosforo e dell'arsenico), riducenti (solfiti neutri, pirogallolo, antrarobina, crisarobina), catalitici, che, sciogliendosi nei composti cellulari (fosfatidi, colesterine), ne modificano la costituzione biochimica e alterano la funzione della cellula (narcotici e ipnotici, come alcool, etere, cloroformio, cloralio, sulfonal; analgesici, come ac. salicilico e derivati, acetanilide, antipirina; morfina, cocaina, atropina, iosciamina, mezcalina); sostituenti (fenolo, ac. cianidrico, anidride solforosa, ac. nitrico); veleni che modificano lo stato colloidale del protoplasma (acidi e basi forti); sali dei metalli pesanti e ioni tossici di azione biochimica sconosciuta (sali di potassio; di calcio; ac. ossalico).
I veleni specifici si dividono in basi organiche (alcaloidi, ptomaine), glucosidi (saponine, glucosidi della digitale, glucosidi cianogenetici), proteine tossiche, che possono essere di origine vegetale (abrina, ricina, robina, fallina, crotina), o animale (sieri sanguigni tossici, come l'ictiotossico; enzimi elaborati dalle ghiandole annesse al tubo digerente, come la tripsina e la. pepsina; veleni dei serpenti, dei rospi, degli scorpioni, delle api; tossine batteriche; alessine).
Da uno speciale punto di vista d'igiene sociale presentano particolare interesse i veleni alimentari, le sostanze aggressive belliche e i medicamenti usati daí tossicomani a scopo voluttuario, come gli alcoolici, gl'ipnotici, gli stupefacenti, perché dànno luogo a intossicazioni collettive in condizioni svariate.
Da un altro punto di vista sociale e penale interessano i veleni, usati a scopo omicida e suicida. La natura di tali veleni varia, nei diversi paesi e nelle diverse epoche, secondo le possibilità naturali delle materie prime, gli sviluppi industriali e anche secondo strane suggestioni collettive, che determinano contagi psichici, paragonabili a quelli della moda.
Nei paesi tropicali gli avvelenamenti più frequenti sono provocati dai veleni dei serpenti e dalle piante tossiche. In India si ebbe nel 1880-90 una mortalità media di 20.000 persone all'anno, per morsi di serpenti; oggi i sieri speciali hanno fatto decrescere ovunque tale mortalità.
In Europa, nel Medioevo e sino alla metà del secolo XIX, le sostanze tossiche più usate, perché più facilmente disponibili furono i sali di rame, di piombo, le erbe venefiche, gli acidi forti e specialmente l'arsenico, che in Francia occupa il primo posto fino al 1855. Fattori industriali varî fanno poi predominare ora l'uno ora l'altro veleno. La comparsa del gas illuminante nelle case d'abitazione aumenta il numero degli avvelenamenti per ossido di carbonio, già in uso a scopo suicida, data la sua facile preparazione per combustione incompleta del carbone. I suicidi per ossido di carbonio salirono in Francia da 180 nel 1826-40, a 848 nel 1891 (20% del totale dei suicidî) ed erano ancora 569 nel 1926; a Vienna erano 485 nel 1821 (33%). Con il sorgere (1832) e lo svilupparsi dell'industria della fabbricazione dei fiammiferi per mezzo del fosforo bianco, si hanno gli avvelenamenti per fosforo, per fiammiferi e paste fosforate. Il numero di tali avvelenamenti, dopo il primo avvenuto a Parigi nel 1850, crebbe notevolmente, tanto da occupare nelle statistiche francesi il primo posto fino al 1880; a Vienna nel 1888-1910 occupa ancora il 3° posto. Poi scompare quasi del tutto, per evoluzione igienica dell'industria e per interventi legislativi (convenzione internazionale di Berna, 1896, che proibisce l'uso del fosforo bianco). Il sublimato corrosivo comincia a comparire nelle statistiche degli avvelenamenti verso la metà del sec. XIX ed è fra i veleni più usati alla fine di questo e al principio del sec. XX, mentre nell'ultimo decennio si accentua una sua notevole diminuzione, dovuta al fatto che detto veleno non è più nelle mani di tutti così facilmenee come prima. Successivamente nella seconda metà del sec. XIX, lo svilupparsi dell'industria porta ai primi posti nella statistica dei veleni usati a scopo criminale o suicida gli antisettici più diffusi (fenolo), gli alcaloidi (specialmente morfina e stricnina), il permanganato di potassio, il cianuro di potassio, il petrolio. Poi, e soprattutto dopo la guerra mondiale, si generalizzò l'uso e abuso dei veleni voluttuarî, come gli anestetici (etere, cloroformio), gl'ipnotici (cloralio, veronal), gli stupefacenti (oppio, morfina, cocaina) che predominano tuttora. La diffusione della tintura di iodio, come disinfettante di uso comune, ha fatto aumentare i suicidî a mezzo dello iodio, i quali in alcuni luoghi hanno raggiunto il primo posto nella statistica. Negli avvelenamenti professionali dell'attuale periodo industriale prevalgono quelli dovuti a metalli pesanti. Sulla totalità dei suicidî, quelli per mezzo di veleno sono, negli ultimi anni, il 13% in Italia, il 22% in Germania, il 31% negli Stati Uniti, il 41% in Inghilterra. Per quanto riguarda la mortalità negli avvelenamenti, si nota che su 2123 casi di avvelenamento osservati, nel periodo 1825-80, in Francia, 814 furono seguiti da morte (39%).
Cenno storico. - Nella storia dei veleni si possono distinguere varie epoche.
Essa s'inizia con le prime osservazioni empiriche dell'uomo, relative all'azione medicamentosa o nociva di alcune piante, all'offesa di animali velenosi. Le conoscenze così apprese furono applicate alla caccia e alla lotta. I selvaggi usarono, e usano tuttora, avvelenare le frecce. Ben presto le nozioni si estesero ad altre sostanze, anche minerali. La píù antica testimonianza sulle conoscenze dei veleni è un papiro che, secondo lo scopritore (Ebers, 1872), risale a 17 secoli a. C. e che cita quali veleni il piombo, la canapa indiana, il papavero, il giusquiamo. Altre notizie sui veleni si trovano nei libri del periodo vedico, nella mitologia, in Omero, nella Bibbia. Nell'antichità il veleno fu usato talvolta per esecuzioni capitali (avvelenamento di Socrate con la cicuta). Mitridate, re del Ponto, coltivò erbe velenose, preparò e sperimentò anche su sé stesso veleni, ai quali voleva abítuarsi (mitridatismo). Tra i primi libri che trattano di veleni si ricordano i poemi Theriaca e Alexipharmaca di Nicandro da Colofone. I Romani appresero dai popoli orientali e dagli Etruschi la conoscenza di alcuni veleni, che si estese specialmente per opera dei Greci, che venivano a Roma a esercitare la medicina. Fra essi Dioscuride, medico delle milizie romane, al tempo di Nerone, raccolse, in una vasta opera di materia medica le nozioni sui farmachi e sui veleni del tempo, indicando anche dei contravveleni. Poco dopo Plinio il Vecchio, nella sua Historia Naturalis descrive un migliaio di piante di uso terapeutico. In Roma imperiale, i veleni furono largamente usati a scopo delittuoso. La tradizione vuole che l'avvelenatrice Locusta, di cui si sarebbero serviti Agrippina per avvelenare Claudio e Nerone per avvelenare Britannico e altri, aveva un laboratorio di veleni nella stessa reggia. Leggi ebraiche, greche, romane tentarono di frenare l'uso delittuoso dei veleni, ma l'impossibilità di dimostrare l'avvelenamento assicurava il più spesso l'impunità dei colpevoli. Anche le torture e le pene del Medioevo non raggiunsero lo scopo. Lo studio dei veleni si avvantaggiò in seguito delle osservazioni della medicina araba e della scuola salernitana. I veleni più usati furono specialmente quelli vegetali; ma non furono ìgnoti veleni minerali, fra cui la sandracca, prodotto di riduzione di solfuri di arsenico, già nota sin dai tempi di Aristotele. Questo primo periodo storico, caratterizzato dall'empirismo nell'uso dei veleni, si prolunga fino alla fine del sec. XV in cui fu contemporaneo allo sviluppo dell'alchimia, che con le sue ricerche della pietra filosofale e dell'elisir di lunga vita, ebbe una certa influenza sullo sviluppo della chimica, più scarsa influenza sulle conoscenze relative ai veleni, come dimostrano quei libri ancora ispirati alla superstizione e alla magia, quali, fra altri, quello di Pietro d'Abano, medico e astrologo padovano, intitolato De remediis venenorum, Nei secoli XIV, XV e XVI furono frequenti gli avvelenamenti delittuosi, in relazione con le accese lotte politiche e religiose, con gli odî partigiani. Fu specialmente adoperato a tale scopo l'arsenico, sotto varie forme di preparazione (acqua tofana, polvere di Borgia, polvere di successione, acquetta di Perugia, di Napoli), che, con altre misure tossiche, servirono per commettere numerosi delitti politici.
Il secondo periodo s'inizia verso il 1500, col rinascimento scientifico, quando la medicina acquista un carattere più speculativo e l'alchimia, trasformandosi in iatrochimica, induce a uno studio meno empirico dei farmachi e prelude alle prime affermazioni sperimentali della chimica, con l'opera principalmente di Basilio Valentino, alchimista del sec. XV, che oltre a numerose preparazioni chimiche e applicazioni mediche, fece conoscere per primo la tossicità dell'antimonio, e di Teofrasto Paracelso (1493-1541), che introdusse nella pratica medica l'uso dei veleni metallici (pietra infernale, solfato di rame, sublimato, sale di Saturno, composti di antimonio) e di estratti vegetali velenosi, con indicazioni di posologia. Nel 1545 si fonda a Padova il primo orto botanico per lo studio dei semplici e successivamente quelli di Pisa, di Bologna e altri, che contribuirono notevolmente a quel movimento naturalistico sperimentale, a cui parteciparono i naturalisti italiani e che doveva fornire, con lo studio più esatto delle piante medicinali e velenose, le basi naturalistiche e fisiologiehe alla tossicologia. Più lento fu invece lo sviluppo della tossicologia dal lato chimico, in questo periodo.
Il terzo periodo della storia dei veleni s'inizia col principio del secolo XVIII, dopo che Boyle (1627-1691) fondò l'analisi chimica, che si estese subito allo studio dei veleni. Nasce così la tossicologia scientifica sulle salde basi, non solo della fisiologia e della farmacologia, ma anche della chimica e assume subito notevole importanza, pur nei riflessi della medicina pratica e della vita sociale, come dimostrano il De morbis artificum diatriba scritto nel 1713 da B. Ramazzini, modenese, precursore dell'odierna medicina del lavoro, le ricerche sui veleni di F. Redi, di di F. Fontana. Uno dei fondatori della chimica tossicologica è ritenuto Bonaventura Orfila, medico di Minorca, professore di medicina legale, tossicologia e chimica medica a Parigi. A lui si devono molte ricerche chimiche e fisiologiche su veleni metallici. Volendo, da questo punto, comprendere in poche date lo sviluppo della chimica tossicologica, si possono ricordare le seguenti: 1813: 1° trattato di tossicologia di B. Orfila, riprodotto in 5 edizioni (la 5ª è del 1852); 1817: il Rapp propone i primi metodi di distruzione (ossidazione) della sostanza organica, permettendo così di ricercare piccolissime quantità di veleni metallici in grandi masse di materiale. I procedimenti vennero poi migliorati da Orfila e specialmente da Fresenius e Babo (1840); 1836: J. Marsh indica un metodo analitico per scoprire piccole. quantità di arsenico, metodo precisato poi nella sua forma pratica dall'Accademia delle scienze di Parigi; 1839: Orfila dimostra la localizzazione dei veleni negli organi e indica un mezzo per estrarli; 1852: J.-S. Stas propone un metodo di estrazione generale dei veleni organici da grandi masse di materiale, metodo che, modificato poco dopo da Otto, è tuttora seguito; 1855: E. Mitscherlich pubblica un procedimento per la ricerca del fosforo; 1863: A.-A. Tardieu e Roussin introducono la sperimentazione fisiologica nella ricerca tossicologica; 1872: A. Selmi scopre le ptomaine, alcaloidi della putrefazione e ne rileva la notevole importanza scientifica e pratica, sia perché, essendo tossici, possono essere causa di avvelenamenti per ingestione di cibi putrefatti, sia perché, avendo alcune proprietà chimiche e fisiologiche comuni con gli alcaloidi, possono determinare errori nelle perizie tossicologiche. Buona parte di tali progressi furono determinati da ricerche peritali in processi penali, nei quali il perito tossicologico cercando di risolvere il problema analitico che il caso speciale presentava, pervenne a fissare metodi di ricerca, che poi divennero generali.
Per contro, ciascuna delle nuove conquiste conseguite dalla chimica tossicologica, valendosi delle nuove e più recenti vie aperte dall'investigazione chimica (elettrochimica, microchimica, ecc.) e dalla ricerca farmacologica, ebbe una ripercussione nella repressione dei delitti per veneficio, perché facilitando la ricerca del veleno, si diminuisce l'impunità dei colpevoli: nuova dimostrazione dell'importanza, non solo scientifica, ma anche pratica e sociale della tossicologia.
Etnografia.
Sostanze velenose d'origine per lo più vegetale sono state e sono note a molti popoli non civilizzati che le adoperano per fini sia ritualì sia bellici o anche per caccia e per pesca. Presso alcune popolazioni asiatiche e americane l'arte di preparare veleni ha raggiunto un altissimo livello dovuto alla secolare esperienza dei medici-stregoni che si tramandano, circondandole da assoluto segreto, le loro preziose ricette.
Non è possibile trattare, stando nei limiti del soggetto, l'uso delle sostanze velenose che vengono preparate dai primitivi a scopo stupefacente. Basti accennare al pellotl o pellote, la droga preparata con l'Echinocactus Williamsii Lem. (Anhalonium Lewinii Hennings) dagl'Indiani della Sierra Madre nel Messico e il cui uso rituale produce strane sensazioni ottiche colorate.
In Africa è assai praticata l'ingestione forzata di veleni a scopo giudiziario: presso alcune popolazioni della costa occidentale (Niger, Benin, Costa d'Oro) in determinati casi il presunto colpevole deve assorbire un decotto di semi di fava del Calabar (Physostigma venenosum). Se riesce a vomitare e a non subire gli effetti letali del preparato, egli viene riconosciuto innocente - in virtù di questo giudizio divino - del delitto di cui era stato accusato.
L'avvelenamento dei pozzi e delle sorgenti a scopo di caccia è relativamente poco praticato: in Africa appare essere un elemento culturale arcaico che persiste solo presso i Boscimani e in Somalia; l'avvelenamento dei fiumi per pescare ha invece una larghissima diffusione sia nel continente asiatico sia in quello americano. In Africa è praticato fra gli altri da tribù nilotiche quali gli Acholi, in America si contano più di cinquanta varietà di veleni usati per la pesca; in Colombia il veleno di questo tipo più noto è il cosiddetto barbasco che i Nonamá-Chocó chiamano duio. Si tratta del fusto di una leguminosa, Tephrosia toxicaria Pers., che dopo essere stato pestato con una pietra viene immesso nell'acqua da avvelenare. In Europa si adoperano in vari paesi diverse speeie di Euforbia.
L'uso più importante a cui siano stati applicati i veleni da popoli non civilizzati è senza dubbio quello di avvelenare le punte delle frecce. I poemi omerici ci hanno conservato memoria di frecce avvelenate usate dai Greci primitivi. Tali veleni erano per lo più veleni di putrefazione (ptomaine) con cui anche oggi vengono avvelenate le frecce di popolazioni oceaniche. Anche nel Medioevo frecce avvelenate furono usate dai Franchi tanto da essere oggetto di decreti che ne proibivano l'uso considerandolo sleale.
In Africa i veleni usati sono per lo più ad effetto cardiaco. Fra i più noti è quello detto uabaio preparato dai Somali dall'Acokanthera abyssinica e il cui principio attivo la uabaina esercita un'energica azione sul cuore.
Presso altre popolazioni dell'Africa australe (Cafri, Akka, Boscimani) il veleno da frecce viene invece estratto da certe Euforbiacee; quello che ha maggior diffusione nel continente africano è quello ricavato da varie specie di Strophanthus (gratus, hispidus, ecc.). Tale veleno, che come l'uabaio esercita un'azione cardiocinetica rapidissima dovuta alla strofantina, è usato dal Dahomey al Congo e dall'Angola alla Rhodesia.
In Asia vengono usati infiniti veleni da frecce: dal veleno boial dei Sakay dell'Indocina che contiene stricnina e brucina, al bish del Nepal, Assam e Burma a base di aconito, all'upas o ipuh di Borneo, Giava e Celebes estratto dall'Antiaris toxicaria è tutta una serie di veleni per lo più ad effetto cardiaco e di cui alcuni hanno una terribile efficacia.
In America e particolarmente nell'America Meridionale il veleno da frecce è molto usato. Nell'Amazzonia quello che ha maggiore diffusione è il curaro ottenuto dal succo e dalla scorza di varie Strychnos che contengono alcaloidi attivissimi sul sistema nervoso.
Un veleno di effetto cardiaco rivelatoci dagii studî del Santesson, è il kiēntchi (pakurū) usato dai gruppi Chocò della Colombia e che viene esiratto da una Moracea del genere Perebea.
Presso gli stessi Chocò viene estratto, irritando con il fuoco una rana, Dendrobates tinctorius Schmid, e raccogliendo il muco che viene emesso sulla regione dorsale, un veleno paralizzante.
Un altro tipo di veleno sudamericano è quello usato fra gli altri lungo il fiume Magdalena e nella penisola Goapiro (Colombia) che produce effetti simili ad un'infezione tetanica ed in cui, come il Thoreld ha provato, esistono batterî simili ai bacilli del tetano.
Bibl.: L. Lewin, Die Pfeilgifte, Lipsia 1923; A. Benedicenti, I veleni delle freccie, Milano 1936; C. G. Santesson, On Arrow poison with cardiac effect from the New World, Göteborg 1931; H. Wallen, Notes on Southern Groups of Chocò Indians in Colombia, ivi 1935.