VEICOLI A CUSCINO D'ARIA
(v. aeromobile: Aeromobili a cuscino d'aria, App. III, I, p. 27; veicoli a cuscino d'aria, App. IV, III, p. 799)
Trattandosi di mezzi di nuova concezione, i v. a c.d'a. subiscono una continua evoluzione, resa possibile dall'incessante progresso tecnico e dall'esperienza acquisita nell'impiego militare e commerciale. Il vantaggio principale dei v. a c.d'a. rispetto alle navi convenzionali è l'eliminazione quasi totale dei due ''freni'' che ne limitano la velocità: l'attrito (che può incidere per il 60-90% della resistenza totale) e la resistenza d'onda. Questi freni, insieme alla resistenza dei vortici, a quella di viscosità e a quella aerodinamica, fanno sì che esista un limite teorico molto preciso alle velocità raggiungibili. Per un determinato scafo, gli aumenti di velocità costano sempre più cari in termini di potenza (per es., passare da 30 a 32-33 nodi può richiedere tanta potenza quanta ne occorre per arrivare a 30 nodi) e a un certo punto gli aumenti di potenza vengono assorbiti dal maggiore dislocamento della nave conseguente al maggior peso dell'apparato motore. Quindi la ricerca di un aumento della massima velocità, perseguito dalle marine militari fin dall'introduzione della propulsione meccanica, sembra per le navi convenzionali poco promettente; d'altra parte le velocità massime attualmente raggiungibili (35-40 nodi) sono insufficienti nella lotta antisom contro unità subacquee a propulsione nucleare che possono superare quelle velocità in immersione. Frequente è quindi il ricorso a naviglio non convenzionale, compresi i v. a c. d'aria.
Il primo v. a c. d'a. fu l'SRN1 (v. aeromobile: Aeromobili a cuscino d'aria, App. III, i, p. 27), progettato da C. Cockerell; ne vennero costruite varie versioni migliorate dalla British Hovercraft Co.; l'SRN6 pesava 10 t, era lungo 70 m, era propulso da una turbina a gas da 1300 CV e aveva un'autonomia di 200 miglia. Nell'ex Unione Sovietica furono sviluppati hovercraft di grandi dimensioni, come quelli della classe AIST (fig. 1) di cui sono stati costruiti quattordici esemplari. Tali veicoli, progettati per compiti militari, hanno dimensioni di m 47,3 × 17,8, pesano 275 t, sono dotati di due turbine a gas che azionano 4 ventole per il sollevamento e 4 eliche per la propulsione. Sviluppano una velocità di 70 nodi e sono armati di quattro cannoni da 30 mm.
Uno dei v. a c. d'a. più importanti in campo civile è l'SRN4 The Princess Anne, costruito in Gran Bretagna dalla British Hovercraft. È entrato in servizio con le presenti modifiche nel 1978. Lungo m 56,38, largo m 23,16, pesa a carico massimo 300 t, porta 418 passeggeri e 40 veicoli e ha una velocità superiore ai 65 nodi.
Navi a effetto superficie (SES). − Sono battelli che navigano su un cuscino d'aria ma sempre a contatto dell'acqua grazie a uno scafo del tipo catamarano, in cui le murate laterali (sidewalls), che forniscono un contributo al galleggiamento, sono unite da una sovrastruttura che ospita la maggior parte dei sistemi di bordo e il carico. Il cuscino d'aria viene creato da apposite ventole soffianti e trattenuto dalle murate laterali e da due ''gonne'', poste una a prua e una a poppa. Quando il battello è in moto, i due scafi conferiscono stabilità al naviglio. Per la maggior parte di questi mezzi il sistema di propulsione è a turbine e gas e l'avanzamento è prodotto da eliche, mentre la direzione è regolata da superfici mobili. La differenza tra hovercraft e SES (Surface Effect Ship) sta quindi, oltre che nella forma dei mezzi stessi, soprattutto nel fatto che gli hovercraft sono caratterizzati dalla presenza di una ''gonna'' flessibile continua tutto attorno allo scafo per trattenere in posizione il cuscino d'aria, mentre nelle navi a effetto superficie tale gonna è presente solo a prua e a poppa. In relazione a questo fatto, i SES presentano tutta una serie di importanti vantaggi nei confronti di un hovercraft, quali una minor sensibilità al vento laterale e la possibilità di usare timoni ed eliche immersi. Per contro, il SES non ha capacità anfibie e non può spostarsi su bassi fondali come può fare invece un hovercraft. Gli hovercraft restano quindi gli unici mezzi capaci di spostarsi sulla terra e sull'acqua.
Le unità SES esse sono molto adatte a operazioni di contromisure mine (dragaggio), in quanto il cuscino d'aria attutisce gli eventuali scoppi di mine sotto lo scafo, mentre la presenza delle murate laterali consente di effettuare con grande precisione la navigazione e le manovre sui campi minati come fanno i dragamine con scafo convenzionale. Le prime esperienze sul naviglio SES, effettuate negli Stati Uniti nei primi anni Settanta presso l'industria elicotteristica Bell, erano finalizzate all'impiego sia militare che civile. Nel 1972 furono consegnate alla Marina statunitense le prime due unità SES, denominate SES 100A e SES 100B. Esse raggiunsero nelle prove una velocità massima rispettivamente di 76 e 94 nodi, velocità, quest'ultima, mai raggiunta da nessun'altra nave al mondo. Nel 1980 la Bell consegnò alla Marina USA una versione migliorata di SES, la 200A, con un dislocamento di 207 t, lunghezza 48,7 m, larghezza 1,88 m. Qualche anno dopo, furono costruite negli Stati Uniti altre tre SES militari, e precisamente unità da pattugliamento classe Sea Bird, che furono impiegate nelle acque della Florida nella lotta contro il contrabbando di droga. Non ebbero successo, invece, le unità SES nel dragaggio delle mine perché le prove anti-urto subacquee non raggiunsero i risultati desiderati. Unità sperimentali SES sono state realizzate anche in Francia, Germania, Svezia, Giappone. Sebbene in linea teorica il disegno SES sia stato da tempo identificato come particolarmente adatto per svolgere tutta una serie di missioni in operazioni costiere (dal pattugliamento all'attacco missilistico, dalla lotta antisom alle contromisure mine), oggi ben poche unità SES si vedono nelle flotte militari. Presso alcune marine scandinave sono state costruite navi a effetto superficie per pattugliamento ad alta velocità. Un esempio di SES civile è il modello 350B della Textron Marine Systems: si tratta di un catamarano a cuscino d'aria che porta 289 passeggeri e 27 vetture.
Veicoli a cuscino d'aria ibridi. - Attualmente i ''mezzi da sbarco a cuscino d'aria'' tecnologicamente più avanzati sono quelli denominati LCAC (Landing Craft Air Cushion), in dotazione ai Marines statunitensi. Si tratta di ibridi tra hovercraft e SES. Infatti, pur avendo l'aspetto degli hovercraft, questi nuovi mezzi da sbarco, allo scopo di condurre una navigazione più precisa e di ridurre lo scarroccio, sfruttano anche le tecnologie delle navi a effetto di superficie in quanto dispongono di sottili murate laterali.
I LCAC impiegano 4 motori a turbina a gas di 4000 CV ciascuno, che fanno funzionare le ventole, le quali, oltre a creare il cuscino d'aria, muovono anche due eliche per la propulsione. Il mezzo può muoversi, a una velocità di 50 nodi, a un'altezza di 1,29 m, sia sull'acqua che su terra con un carico utile variabile da 60 a 75 t. Nei normali trasferimenti, può navigare anche senza il cuscino d'aria (cioè a dislocamento), a una velocità di poco inferiore a 25 nodi. I mezzi da sbarco a cuscino d'aria, insieme agli elicotteri, hanno sostituito in parte i lenti zatteroni da sbarco con portellone apribile. I primi LCAC del Corpo dei Marines sono stati impiegati nella Guerra del Golfo (1991) e nello sbarco in Somalia per l'operazione Restore Hope (1992).
Tra i v. a c. d'a. che utilizzano il sostentamento aerodinamico ce ne sono alcuni che sfruttano il principio dell'ala a effetto suolo e sono conosciuti con la dizione WIGE (Wing In Ground Effect). Si tratta di mezzi non convenzionali che utilizzano, per il loro sostentamento aerodinamico, il principio secondo il quale un'ala di grosse dimensioni nelle vicinanze della superficie crea una maggiore portanza per effetto della compressione dell'aria. Questo fenomeno, studiato sin dal 1921 dal tedesco Wieselberger, viene utilizzato munendo di ali i veicoli destinati a ''volare'' a piccola altezza sulla superficie del terreno o, meglio ancora, dell'acqua, mantenendosi sopra il cuscino d'aria compressa creato tra l'ala e la sottostante superficie. Il sostentamento è agevolato anche dalla depressione che si crea sul dorso dell'ala. Il valore di tale effetto dipende, particolarmente, dal rapporto tra la distanza dell'ala dalla superficie e l'ampiezza media dell'ala stessa che utilizza il sostentamento. L'applicazione di questo principio permetterebbe, in linea teorica, la costruzione di mezzi capaci di sviluppare una velocità di crociera di oltre 200 nodi.
Nel mondo occidentale esistono poche realizzazioni che sfruttano questo principio: si tratta in ogni modo di modelli esclusivamente sperimentali. L'unico paese al mondo che si è interessato, fin dagli anni Sessanta, alla ricerca e allo sviluppo di veicoli che sfruttano un'ala a effetto suolo è stato l'ex Unione Sovietica dove tali veicoli furono denominati Ekranoplan. Il prototipo dell'Ekranoplan fu realizzato nel 1967: un suo disegno, circolato sulle riviste specializzate occidentali dell'epoca, faceva pensare a un enorme aeromobile di tipo idrovolante capace di sollevarsi sul livello del mare solo di pochi metri, sostenendosi anche sul cuscino d'aria formatosi tra le ali e il suolo. Gli esperimenti su tali veicoli furono tenuti strettamente segreti dalle autorità militari sovietiche e per molti anni di essi si è saputo poco. Solo dopo la dissoluzione dell'URSS e con la fine della guerra fredda si sono avute alcune precise informazioni, secondo le quali esistono in Russia diversi prototipi di veicoli dalle caratteristiche finora sconosciute. In sostanza, gli esperimenti vengono portati avanti principalmente su due tipi di unità: a) un mezzo per impiego anfibio, classe Orlan (fig. 2), denominato, in campo NATO, LCUS (Landing Craft Utility Surface-effect, cioè ''mezzo da sbarco a effetto suolo''), che secondo gli esperti russi e occidentali potrebbe rivoluzionare la guerra anfibia; b) un mezzo per difesa costiera, classe Utka, per il controllo dei mari circostanti l'ex Unione Sovietica, con capacità di impiegare missili superficie-aria. Grazie alle loro buone caratteristiche di autonomia, velocità e capacità di carico, gli Ekranoplan hanno potenzialmente una vasta gamma di impieghi, come la lotta antisom, il dragaggio delle mine, il pattugliamento costiero, ecc. Tuttavia, il ruolo più promettente risulta essere quello anfibio. La capacità, infatti, di operare su terreni paludosi, in acquitrini, sul ghiaccio e su bassi ostacoli, rende questo veicolo il mezzo ideale per sbarchi di sorpresa su spiagge nemiche. Le caratteristiche tecniche conosciute dell'A.90.150 Ekranoplan sono le seguenti: lunghezza, 58 m; apertura alare, 31,5 m; motori principali, 10 turbine a gas, attivate solo nella fase di decollo e di atterraggio, e un turbo-propulsore; velocità di crociera, 400 km/h; truppe da sbarco trasportate, 900; autonomia, 1000 miglia circa. Di questa classe sono stati costruiti due prototipi, completati nel 1982.
Esistono anche ''veicoli a scafo lubrificato con aria'' o ALH (Air Lubrificated Hull) che possono esse assimilati ai v. a c. d'aria. Si tratta di naviglio di recente concezione, caratterizzato dal fatto che viene insufflata aria tra lo scafo del natante e la superficie del mare onde ottenere una specie di cuscinetto d'aria per lubrificazione dello scafo, con il duplice vantaggio di una riduzione dell'attrito e di un miglioramento dell'assetto della nave.
Da citare, infine, per completezza, i v. a c. d'a. guidati da rotaia e gli autocarri a cuscino d'aria, denominati rispettivamente aerotreni e terraplani. Essi, pur se corrono su ruote, utilizzano il cuscino d'aria per ridurre il peso del carico sulle ruote stesse, sino al valore indispensabile ad assicurare l'aderenza al suolo delle ruote motrici. Vedi tav. f.t.
Bibl.: Jane's high speed marine craft and air cushion vehicles, 1988 e 1989; Aviation Week & Space Technology, ottobre 1991; Maritime Defence, 7 (luglio-agosto 1992); M. De Arcangelis, Le operazioni anfibie, in Rivista Marittima, agosto 1993; M. De Arcangelis, A. De Arcangelis, Dizionario di tecnologie avanzate per la difesa, Milano 1993; M. Cosentino, Le unità ad effetto di superficie, in Rivista Marittima, 1994.