vedovo, vedova
1. Aggettivo (o predicato), occorre cinque volte in D., che apre nei lessici la serie cronologica degli esempi: le cinque occorrenze (quattro nel poema, tutte nella seconda cantica, una nella Vita Nuova) anticipano in una gamma abbastanza varia i significati fondamentali del termine, del resto mutuati dal latino ove già ricorreva in riferimento a cose (" vidua vitis " in Catullo, " viduas ulmos " in Giovenale) o equivaleva a " privato ", " spogliato " (Ovidio: " viduum pectus amoris "; Stazio: " viduae alni "; Columella: " viduum arboribus solum ").
Si parte da un valore assai vicino (anche per la solenne personificazione) a quello che si fisserà nel sostantivo femminile, in Pg VI 113 la tua Roma che piagne / vedova e sola, " sine principe, sponso et protectore eius " (Benvenuto); energicamente il Petrocchi (contro Vandelli e la vulgata anteriore: cfr. ad l.) difende come necessaria la congiunzione: " Roma è vedova per l'assenza dell'imperatore, ed è abbandonata dai papi avignonesi (le due circostanze devono essere nettamente distinte) ". Non meno a proposito i commentatori richiamano le Lamentationes di Geremia (1, 2 " Quomodo sedet sola civitas... Facta est vidua... ") accanto al D. latino di Ep XI 21 (Romam urbem, nunc utroque lumine destitutam... solam sedentem et viduam).
Più interessanti gli usi figurati, che D. inaugura e consegna alla nostra tradizione letteraria. Vale infatti " vacante " (come poi nel Pulci, " vedovo il regno ") in Pg XX 58, per la corona vedova cui secondo D. sarebbe stato ‛ promosso ' il figlio di Ugo Capeto, Roberto, associato invece al trono di Francia dal padre stesso, appena dopo l'incoronazione; " spogliato " (XXXII 50) per la vedova frasca, cioè (con sineddoche) la pianta dispogliata / di foglie e d'altra fronda in ciascun ramo (vv. 38-39), l'albero robusto (v. 46), in altre parole quello (nell'Eden) della scienza del bene e del male, o (moralmente) la giustizia di Dio. Sempre in accezione assoluta ma con maggiore pregnanza metaforica, sta infine per " privo di ogni cosa ", " spoglio ", " deserto ", in I 26 oh settentrïonal vedovo sito, / poi che privato se' di mirar quelle (le quattro stelle dell'emisfero australe, figuranti le virtù cardinali). Quanto mai intonata la chiosa del Sapegno (" nello stato presente di corruzione, le virtù sono come esiliate dal mondo degli uomini "), se - oltre che a XVI 58-59 - si ponga mente col Torraca a Cv III XIII 2 (le Intelligenze che sono in essilio de la superna patria... da lo aspetto di questa bellissima sono private), e IV XX 8 (possono dire questi cotali, la cui anima è privata di questo lume, che essi siano sì come valli volte ad aquilone, o vero spelunche sotterranee, dove la luce del sole mai non discende). Ne consegue che in questo senso v. si può raccostare a ‛ vedovato ' (vedi), ugualmente espressivo - riferito per metonimia a cosa - di quella peculiare condizione di solitudine che deriva dall'interruzione di un rapporto d'amore.
Del tutto particolare e sentimentalmente ambigua l'accezione di v. in Vn XXXI 2 acciò che questa canzone paia rimanere più vedova dopo lo suo fine, la dividerò prima che io la scriva; e cotale modo terrò da qui innanzi, cioè " privata di ciò che le appartiene " (Casini), come dopo un lutto che non dà pace. Dove l'accorgimento tecnico di far precedere la divisione al testo poetico (praticato poi coerentemente nei capitoli successivi, ‛ post mortem sanctae Beatricis ') cospira all'immagine di un desolato dolore (in D. personaggio, voce solista coincidente con la sua stessa composizione, Li occhi dolenti per pietà del core), e quasi di una vedovanza spirituale seguita alla fine della sua donna, di cui è segno esplicito anche questa cattivella canzone in consonanza con l'atmosfera malinconica dell'ambiente (XXX 1 Poi che fue partita da questo secolo, rimase tutta la sopradetta cittade quasi vedova dispogliata [cfr. per il nesso qui sopra, Pg XXXII 38 e 50] da ogni dignitade...).
2. L'ultimo luogo citato rientra nella più comune funzione di sostantivo (assente tuttavia per il maschile in ogni zona dell'opera dantesca, compresa l' ‛ appendix '), anche se per effetto della similitudine il valore del termine si sposta già verso un orizzonte metaforico, quale s'intravede con maggior spicco - attraverso il parallelismo fra i diversi ‛ sensi ' - in Cv IV XXVIII 15 [Marzia] vedova fatta (v. VEDOVAGGIO).
Resta invece saldamente ancorato al piano letterale il proverbioso Fiore LVII 3, per la terna o maritata o vedova o pulzella che diverrà uno stinto ‛ cliché ' nella poesia popolareggiante del Tre-Quattrocento, sempre più distaccandosi dall'alta topica ‛ cortese ' (come in Andrea Cappellano). Viceversa, la matrice cavalleresca si avverte ancora pienamente in un contesto canonico, almeno per la ‛ iunctura ' con " orfani " (poi quasi obbligata nella tradizione gnomico-moralistica, Sacchetti, Morelli, ecc.), del trattato volgare: Cv IV XXVII 13 Ahi malestrui e malnati, che disertate vedove e pupilli.
Nel poema, il sostantivo ha tre occorrenze soltanto nella forma vezzeggiativa ‛ vedovella ' (il Petrarca preferirà ‛ vedovetta ', nel Tr. Cup., ormeggiato dal Pulci di nuovo per Giuditta; lo stesso diminutivo, in Sacchetti e L.B. Alberti, vorrà tra celia e biasimo sottolineare una certa mancanza di decoro).
Il tono affettuoso prevale su ogni punta spregiativa nell'episodio leggendario di Traiano e della miserella che gli chiese e ottenne giustizia per il figlio ucciso (Pg X 77), specie se commisurato alle possibili fonti, ad es. i Fiori e vita di filosafi (appena " una femina vedova ", a denotare una persona insignificante), e al ritorno del tema-chiave (con identico ricorso alla forma alterata) in Pd XX 45 colui che più al becco mi s'accosta, / la vedovella consolò del figlio, eco lontana dell' ‛ exemplum ' traianeo istoriato sulla prima cornice del Purgatorio. Ciò si dice a maggior ragione per la mal fatata Nella, così offesa in vita dal marito Forese e da D. stesso, nella palinodia ultraterrena divenuta teneramente la vedovella mia, che molto amai (Pg XXIII 92).