VECOLI
Famiglia di musicisti lucchesi.Tre furono i Vecoli nativi di Lucca che, nella propria città e in alcuni centri europei, esercitarono l’arte musicale nel secolo XVI: Regolo, Francesco, Pietro. Nuove ricerche d’archivio hanno confermato in parte i presunti vincoli di parentela, privi sin qui di riscontri documentali: quanto può bastare per tenere unite tali figure, il cui legame peraltro traspare dalla presenza di due composizioni di Regolo nei libri musicali degli altri due, e di una di Francesco in un libro di Regolo. I tre musicisti appartennero a un casato nobiliare di recente inurbamento; il che spiega la varietà dei mestieri praticati, a fronte delle nascenti prerogative socio-economiche del patriziato lucchese. Ne conseguivano marcate diversità di status. Nel Cinquecento alcuni membri di questa stirpe ascesero, per virtù di censo, al governo della cosiddetta ‘repubblica aristocratica’; altri vissero da intellettuali e pubblicarono opere filosofiche e scientifiche; ma i più furono mercanti, lavoratori della seta, commercianti al minuto, artigiani, speziali.
Nella ramificazione genealogica dei Vecoli, inariditasi come tante altre a metà Settecento, l’esercizio della musica qualificò trasversalmente una sola generazione, e certamente non conobbe organizzazione parentale. Si può tuttavia affermare che i Vecoli, unitamente alle ‘dinastie’ musicali lucchesi dei Dorati e dei Guami, parteciparono allo sviluppo della produzione madrigalistica e mottettistica italiana in età rinascimentale; Pietro, inoltre, lavorò sul genere dell’intermedio scenico.
Dal 1563 il casato ebbe un proprio sepolcro nella chiesa domenicana di S. Romano. La denominazione gentilizia derivava dalla località versiliese di provenienza (Vecoli è oggi frazione di Lucca). Ne rimaneva traccia nella forma di o da Vecoli, che nei documenti appare spesso agglutinata e fonematizzata alla maniera lucchese: devecori.
Regolo, figlio di Vincenzo di Bernardino da Vecoli, sensale, e di Maria Felice di Paolino Buglioni del Fiorentino da Camaiore, abitanti in parrocchia di S. Cristoforo, fu battezzato al fonte di S. Giovanni il 27 agosto 1540; padrini Francesco Chimenti e Cesare Rapondi. L’eccellente comparatico attesta le relazioni con il ceto privilegiato.
Niente è emerso circa la formazione musicale di Regolo. Nel 1561 fu accolto nella cappella della signoria lucchese. Il gruppo era stato istituito alcuni lustri addietro (1543), a decoro delle cerimonie palatine: era formato da pochi suonatori di trombone e cornetto, in grado altresì di sostenere parti vocali («suonare o cantare»: Nerici, 1879, p. 187). Quanto a Regolo, varie testimonianze lo dichiarano «sonator di cornetta» (ibid., p. 271).
Nel 1564 strinse un altro rapporto con l’élite cittadina sposando Domitilla di Filippo Tucci. Il 12 giugno 1569 supplicò il Consiglio cittadino per una licenza di due anni, allo scopo di «andar fuori per praticarsi et acquistar virtù» (Arch. di Stato di Lucca, Riformagioni pubbliche, 56, p. 199), conservando però la piazza palatina. All’epoca molti musici della signoria ottennero licenze tanto a scopo formativo quanto per dare prestigio, con le loro abilità, ai rectores lucchesi. Partito nel luglio, Regolo si trattenne fuori stato per un tempo ben superiore al concordato, reintegrandosi nel febbraio 1575. Seguirono altre licenze per soste ex territorio.
Mèta delle trasferte fu Lione. Su quella piazza, nel Cinquecento, i mercanti lucchesi avevano raggiunto un ruolo di primo piano nel commercio serico e nei servizi bancari; dagli anni Cinquanta, poi, la città francese divenne la destinazione preferenziale per i lucchesi fuoriusciti religionis causa. L’importanza della comunità d’oltralpe poteva agevolare, anche per musicisti come Regolo Vecoli o in precedenza il conterraneo Luca da Partigliano, l’accesso al mercato del lavoro e alla dinamica attività editoriale. Nei suoi soggiorni lionesi Regolo fu al servizio della municipalità, verosimilmente come cornettista.
Il rapporto di lavoro con i governanti lucchesi si interruppe definitivamente il 29 giugno 1581, quando fu decretata la sostituzione di Regolo da parte di Michele di Nicolao Dorati, in virtù di una delibera del Consiglio generale del 19 aprile 1575. È probabile ch’egli si fosse ormai stabilito durevolmente oltralpe.
La carriera di Regolo si svolse sul duplice binario del musico e del compositore. Sulla scorta del bibliografo Georg Draudius (1573-1635), Charles Burney (1789) legge il nome «Regolo Vicoli», assieme a quelli di Giuseppe Policreti, Antonio Scandello, Pietro Antonio Bianchi e Ascanio Trombetti, in una non identificata silloge di «Neapolitan songs»(villanelle) edita in sei volumi a Venezia nel 1571. Nel 1575 un madrigale di Regolo comparve nel Primo libro di madrigali del fratello Francesco (vedi sotto). Dal canto suo, nel 1577, egli pubblicò presso Clément Baudin a Lione Il primo libro de madrigali a cinque voci, che riprende tra l’altro quello stesso brano e ne contiene a sua volta uno intestato a «F. Vecoli», ossia al fratello (su una stanza del pesarese Pompeo Pace), nonché un altro di un ignoto «Carletto». Nella dedica al patrizio lucchese Lorenzo Buonvisi, Regolo identificava i madrigali come le «prime compositioni ch’ho fatto di musica».
Nel 1586 fu tra i primi classificati del Puy de musique d’Évreux: in questa città della Normandia ogni anno, nel giorno di santa Cecilia, venivano premiati i vincitori di un concorso nazionale di composizione. Un perduto De profundis (sesto salmo penitenziale) gli valse la harpe d’argent nella categoria ‘mottetti’.
Frattanto Regolo si era portato a Parigi, ove proprio in quel 1586 uscì dai torchi di Adrian Le Roy & Robert Ballard Il secondo libro de madrigali a cinque voci; si trattava della prima raccolta individuale di madrigali di un autore italiano stampata nella capitale del regno. Dalla dedica a Caterina Burlamacchi de Bernardini, gentildonna lucchese, si apprende che il trasferimento di residenza era stato motivato dai conflitti religiosi (definiti eufemisticamente «quelli infortunii che affliggono ora Lione»). Sono queste le ultime notizie riguardanti Regolo Vecoli.
Alla base delle scelte poetiche nei due libri di Regolo sta la perdurante fortuna del Petrarca (quattro sonetti, una sestina, una canzone), cui si aggiungono nel 1577 un’ottava dell’Orlando furioso e un sonetto di Benedetto Varchi; ma nel 1586, accanto a un sonetto di Annibal Caro e al sempreverde madrigale Ancor che la partita attribuito ad Alfonso d’Avalos, preponderano ormai i madrigali di conio moderno, riconducibili in alcuni casi a Torquato Tasso, Tarquinia Molza, Battista Guarini.
Morì in luogo e data ignoti.
Francesco, fratello di Regolo, fu battezzato al fonte di S. Giovanni il 14 ottobre 1544 (un altro fratello, Giovanni Battista, svolse la carriera notarile).
Non si allontanò mai da Lucca, ove svolse prioritariamente la carriera ecclesiastica. Nel dicembre 1561, ormai tonsurato, conseguì un beneficio fondato nella cattedrale di S. Martino sotto l’invocazione di S. Pietro apostolo; venne così accolto formalmente nella Universitas cappellanorum S. Martini, istituzione parallela al capitolo, della quale divenne priore nel 1581. Ottenuta per rinuncia del fratello Giovan Battista, la prebenda fu rassegnata nel 1584. In quell’anno Francesco ereditò un seggio nel capitolo di S. Michele, riservatogli dal canonico Giusfredi Cagnoli (la chiesa di S. Michele «in foro» era stata eretta nel 1518 a collegiata secolare, con canonici e beneficiati presieduti da un decano: la seconda in città per prestigio e possessi).
Niente si sa della formazione musicale di Francesco. Il primo esito compositivo, secondo una prassi generalizzata in quest’epoca in Italia, fu un Primo libro de madrigali a cinque voci (Venezia, eredi Scotto, 1575). Tra i componimenti poetici, accanto a due sonetti di Petrarca, compaiono un madrigale di tipo ‘trecentesco’ tolto dalle Rime e prose della concittadina Chiara Matraini (Lucca, Busdraghi, 1555) e un fortunato madrigale ‘moderno’ di Giovanni Battista Strozzi. L’opera uscì con il patrocinio di Alessandro Guidiccioni, vescovo di Lucca. Seguì Il primo libro de motetti a cinque voci (Venezia, Melchiorre Scotto, 1580). Offrendo nuovamente l’opera sua al vescovo Guidiccioni, Vecoli auspicava che il presule potesse «servirsene nel suo seminario», quello della cattedrale.
È probabile che Francesco abbia avuto un ruolo nella fondazione di seminario e cappella in S. Martino (1572), e a quella formazione chiericale egli destinò idealmente i suoi mottetti. Canonico in S. Michele, anche in quella sede poté di sicuro incentivare la pratica musicale (Nerici, 1879, p. 59); ma non vi ebbe incarichi didattici, né legò le proprie composizioni alla cappella michelita, che iniziò a funzionare solo nel 1589.
Morì il primo aprile 1597. Il 9 agosto 1593 aveva fatto testamento di fronte al notaio ser Lodovico Orsi.
Un Pietro di Alessandro Vecoli, abitante in parrocchia di S. Maria Filicorbi, fu battezzato al fonte di S. Giovanni il primo luglio 1546. Sia pure con riserva, lo si può identificare con il musicista di questo nome, la data essendo congruente con quanto d’altronde si sa di lui. Ipotizzabile un rapporto di cuginanza con Regolo e Francesco.
Le prime notizie su Pietro provengono dalla corte torinese dei Savoia e risalgono al 1581 circa. Nessuna traccia è stata reperita nei documenti lucchesi, a cominciare da quelli riguardanti la cappella di palazzo; ignoti dunque i canali di formazione. La presenza di Pietro in Piemonte rientrava in un fenomeno di massiccia affluenza di musici di varia provenienza, e in particolare lucchesi, verso il polo sabaudo; fenomeno iniziato sotto il dominio di Emanuele Filiberto e proseguito più intensamente sotto Carlo Emanuele. Questi interruppe la tradizione di regionalismo nella formazione dei gruppi musicali; e mentre la ‘Banda dei violoni’ rimase composta da sudditi piemontesi, per il reclutamento di cantanti e suonatori di strumenti a fiato si fece largo affidamento su forze esterne.
Pietro, il cui cognome nei documenti piemontesi è perlopiù alterato in ‘Veccoli’ (per probabile ipercorrettismo fonetico), giunse a Torino al seguito del concittadino e collega Pasquino Bastini, già al servizio di Emanuele Filiberto. Nicolao Tomei, Frediano Frediani, Anselmo Sergiusti sono altri lucchesi presenti nei quadri stipendiali della corte nell’ultima parte del sec. XVI. Tutti i menzionati furono ascritti alla ‘Banda della Cittadella’ – il nome deriva dalla fortezza a pianta pentagonale eretta su disegno di Francesco Paciotto – detta altresì ‘dei tromboni’. Dunque Pietro fu trombonista e probabilmente cornettista, secondo un abbinamento di competenze esecutive riscontrato tanto nella cappella lucchese quanto nelle carte torinesi.
Anche Pietro, come Regolo, fu strumentista e compositore. Nello stesso anno del presunto approdo a Torino, il 1581, vi pubblicò per gli eredi di Nicolò Bevilacqua Il primo libro de madrigali a cinque voci, contenente un sonetto spirituale del citato Tomei. La dedica a Francesco Provana di Beinette, di antica famiglia feudale piemontese, testimonia la ricerca di relazioni privilegiate nella terra d’elezione. Tra le scelte poetiche, accanto a due sonetti di Petrarca, spiccano madrigali del faentino Giovan Paolo Castellina (1551) e del piacentino Luigi Cassola (1544), nonché una precocissima intonazione della ‘canzon de’ baci’ di Battista Guarini, frammisti a una serie di rime encomiastiche indirizzate perlopiù a nobili piemontesi.
Il primo libro de madrigali a sei voci uscì a Parigi per i tipi di Le Roy & Ballard nel 1587, ossia un anno dopo la raccolta di Regolo, del quale peraltro esso contiene un madrigale (un raro sonetto tassiano): è dedicato al finanziere e diplomatico lucchese Sebastiano Zammetti (Zametti). Le rime scelte da Pietro contemplano in qualche caso poeti illustri del primo Cinquecento – un’ottava dall’Orlando furioso, un sonetto di Iacopo Sannazzaro – ma attingono in prevalenza dal genere del madrigale epigrammatico in auge in quegli anni (d’uno di essi è autore Filippo Alberti), in aggiunta ad altre rime d’encomio. Dal libro del 1587 l’editore fiammingo Pierre Phalèse attinse Nel vago e lieto aprile, per includerlo nella Ghirlanda di madrigali a sei voci (Anversa 1601), un florilegio di brani di autori eminenti come Luca Marenzio, Filippo de Monte, Pietro Vinci e Giovanni Croce già apparsi a stampa nei vent’anni precedenti.
Nel 1591 entrò a far parte dei musici di camera della duchessa Caterina, verosimilmente senza perciò perdere il ruolo di trombonista in Cittadella; si ha per tracce che i due incarichi erano conciliabili e che per la camera fossero richieste, o gradite, anche le abilità canore.
Dalle fonti contabili risulta che nel 1591 e nel 1594, nonostante la fase recessiva, i duchi sovvenzionassero la pubblicazione di altre opere di Pietro, andate poi perdute.
Nel novembre 1595 fece tappa a Torino il cardinale Alberto arciduca d’Austria, cugino della duchessa Caterina, in viaggio per assumere il governatorato dei Paesi Bassi. In quell’occasione fu rappresentata nell’attuale palazzo Madama la tragicommedia Adelonda di Frigia di Federico della Valle; i cosiddetti Intermedi delle sirene, di genere piscatorio, furono musicati da Pietro Vecoli. La musica, corredata di indicazioni sceniche, è trasmessa da un manoscritto confezionato l’anno dopo, quale omaggio per la duchessa (Torino, Biblioteca nazionale universitaria, Ris.Mus.II.8; una prima stesura del testo poetico degli intermedi, attribuito a Della Valle, è nella Biblioteca reale di Torino, Varia, 298, cc. 104r-190v; cfr. Colturato, 2013, p. 284). Si tratta di canzonette strofiche a tre voci con vari accompagnamenti strumentali.
All’inizio del 1597, in età avanzata, Pietro si accasò con la benedizione dei duchi e una consistente sportula di 200 scudi d’oro. Nello stesso anno, mancata la duchessa, passò ai musici di camera di Carlo Emanuele. Nel 1598 nacque il primogenito, battezzato Filippo Emanuele in ossequio alla casa regnante e munito dalla corte di un sussidio annonario.
Nella pur fortunata carriera svolta nella terra dei Savoia, non ebbe mai compiti magisteriali, rimanendo dunque al di sotto dei conterranei Bastini e Tomei, che in progresso di tempo furono qualificati e stipendiati come «capo musico».
Morì in data e luogo imprecisati. Si era allontanato dalla corte torinese all’inizio del Seicento, senza lasciare ulteriori tracce di sé.
Lucca, Arch. storico diocesano, Battesimi, Ss. Giovanni e Reparata 1539-1547, cc. 23r, 103r, 150r; Libro delli morti della Parrocchia di S. Giovanni 1595-1608, c. 1r; Cappellani beneficiati di S. Martino, Manuale VIII (1559-1569), cc. 32v-33r; Manuale IX (1569-1577), passim; Manuale X (1577-1582), c. 143r; Decanato di S. Michele, Atti del Decanato, 155 (1510-1670), passim; Arch. di Stato di Lucca, Camarlingo generale, Mandatorie, 141 (1561), cc. 22v-23r; 148 (1569), c. 61r; 154 (1575), c. 44r; 155 (1576), cc. 44v-45r; 159 (1581), c. 36r; Consiglio generale, Riformagioni pubbliche, 56 (1569), p. 199; 62 (1575), pp. 143, 163; Lucca, Bibl. statale, ms. 1139, Notizie genealogiche delle famiglie lucchesi del Can[onic]o Giuseppe Vincenzo Baroni (sec. XVIII), pp. 47-88. C. Burney, A General History of Music, III, London 1789, p. 217 n.; T. Bonnin - A. Chassant, Puy de musique érigé à Évreux, en l’honneur de madame sainte Cécile. Publié d’après un manuscrit du XVIe siècle, Évreux 1837, p. 59; D.A. Cerù, Cenni storici dell’insegnamento della musica in Lucca e dei più notabili maestri compositori che vi hanno fiorito, Lucca 1871, pp. 21, 39-40, 43; L. Nerici, Storia della musica in Lucca, Lucca 1879, ad ind.; S. Cordero di Pamparato, I musici alla corte di Carlo Emanuele I di Savoia, in Carlo Emanuele I. Miscellanea, Torino 1930, vol. II, pp. 36-38 et passim; G. Pestelli, Le musiche di P. Veccoli, in Quaderni del Teatro stabile della città di Torino, XII (1968), pp. 97-99; G. Rizzi, Note su ‘gli intermezzi’ per l’“Adelonda di Frigia”, ibid., pp. 101-112; G. Monge, Gli intermedi, attribuiti a Pietro Veccoli, nel manoscritto ‘Riserva Musicale II 8’ della Biblioteca Nazionale di Torino, tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1978-79; F. Dobbins, Music in Renaissance Lyons, Oxford 1992, ad ind.; S. Moro, Un musico alla corte di Vittorio Emanuele I: Pietro Veccoli, tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 1992-93; I. Data, Le musiche dell’antica Libreria Ducale, in Biblioteca nazionale universitaria di Torino II. Riserva musicale, catalogo a cura di I. Data, Roma 1995, pp. 40, 43, 76-80; S. Ledbetter, V. family in The New Grove dictionary of music and musicians, London-New York 2001, vol. XXVI, pp. 369 s.; G. Vecchi, V., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart. Personenteil, XVI, Kassel 2006, coll. 1376 s.; A. Colturato, «Musis hospitium concedere». La musica nelle collezioni librarie sabaude al tempo di Carlo Emanuele e Caterina, in L’infanta Caterina d’Austria, duchessa di Savoia (1567-1597), a cura di B.A. Raviola - F. Varallo, Roma 2013, pp. 284-288; A. Basso, L’Eridano e la Dora festeggianti. Le musiche e gli spettacoli nella Torino di Antico Regime, Lucca 2016, pp. 92-97, 128-130, 134.