VATICANO II, Concilio ecumenico
Ventunesimo Concilio della Chiesa cattolica, indetto il 25 dicembre 1961 e inaugurato l'11 ottobre 1962 da Giovanni XXIII, che ne presiedette il primo "periodo". Dopo la sua morte (3 giugno 1963), Paoio VI lo continuò e presiedette fino alla chiusura (8 dicembre 1965). I Padri conciliari che parteciparono almeno a un periodo furono 3058. I lavori si svolsero in quattro periodi in cui furono elaborati e approvati 4 costituzioni, 9 decreti e 3 dichiarazioni. Il tema centrale e unificatore, espresso da Papa Giovanni con estrema chiarezza nella bolla d'indizione, sottolineato dai Padri fin dalle prime "congregazioni generali", fu formulato nella costituzione dogmatica Lumen gentium (21 novembre 1964), che ha come oggetto "il mistero della Chiesa": "La Chiesa è in Cristo come un sacramento, cioè un segno e uno strumento, dell'intima unione [dell'uomo] con Dio, e dell'unità di tutto il genere umano" (Proemio). È la concezione paolina: la Chiesa è "il Corpo di Cristo" ed è "la pienezza di Cristo". Cioè: come le membra unite al capo formano un unico corpo, così i battezzati, "incorporati" a Cristo, formano con lui un corpo solo, nel quale possono raggiungere l'unione piena e totale con Dio. La Chiesa poi, quale pienezza di Cristo, diviene principio e strumento di unità di tutto il genere umano, anzi di tutta la creazione. In tal modo tutta la realtà viene ricapitolata in Cristo e riconciliata con Dio. Tale concezione della Chiesa non esclude la dottrina tradizionale che distingue Chiesa visibile e Chiesa invisibile e che affema che i mezzi di salvezza si trovano pienamente soltanto nella Chiesa cattolica. È infatti dal rapporto tra corpo di Cristo e pienezza di Cristo che sgorga l'universalità e la sacramentalità della Chiesa. Il concilio sottolinea, però, con maggior vigore, come nel Cristo tutta la realtà è già redenta. La Chiesa, nel piano divino, ha il ruolo essenziale di mediazione, il ruolo cioè di comunicare all'universo quella pienezza che essa, in quanto unita al Cristo-capo, ha già ricevuto. Il concilio sottolinea (richiamandosi esplicitamente ai concili precedenti) che tale dottrina sulla Chiesa come "sacramento di unità" non è nuova (si rifà infatti alla chiara intenzione di Cristo - "venuto non solo per la nazione (il popolo eletto), ma per riunire nell'unità i figli di Dio che erano dispersi" [Giov. 11,52] - e alla costante tradizione dei Padri), ma ammette anche che si tratta di un linguaggio nuovo, inabituale, dopo un lungo periodo in cui fu maggiormente sottolineato il concetto di Chiesa come corpus christianum, arca salutis, societas perfecta: era necessario perciò, afferma il concilio, ridare ai cristiani una "coscienza della Chiesa" più rispondente alle fonti bibliche e patristiche. Senza dubbio si tratta di una visione del popolo di Dio, del rapporto Chiesa-mondo, del mistero di Cristo, della storia della salvezza, che comporta un cambiamento di mentalità, di atteggiamenti, sia all'interno della Chiesa cattolica, sia nei rapporti dei cattolici con i membri delle altre Chiese cristiane, con le altre religioni, con il mondo moderno. Consapevoli delle difficoltà che tale cambiamento di mentalità avrebbe comportato, i padri conciliari hanno posto in luce alcuni principi metodologici e dottrinali atti a favorire questa nuova coscienza della Chiesa. Per esempio: il primato del metodo biblico, il "sacerdozio comune" di tutto il popolo di Dio, la funzione profetica, sacerdotale e regale di ogni battezzato, il principio della "collegialità del corpo episcopale". Dalla rinnovata coscienza della Chiesa, delineata nella costituzione dogmatica, è sgorgata necessariamente l'affermazione che nella missione della Chiesa è essenziale servire non solo i battezzati, ma tutta l'umanità. È questo il tema centrale della costituzione pastorale Gaudium et spes che, dopo un lungo e faticoso itinerario, è stata approvata il 7 dicembre 1965, il giorno precedente la chiusura del concilio. La Chiesa, si afferma in tale documento, deve dare una risposta concreta ai grandi problemi che caratterizzano il tempo presente. I problemi che il concilio affronta sono: l'esplosione demografica, le ingiustizie sociali tra classi e popoli, il pericolo della guerra atomica. La parte più riuscita della costituzione pastorale è la premessa teologica in cui viene elaborata un'antropologia cristiana, partendo dalla riflessione dell'"enigma della condizione umana", della natura dell'uomo e della sua storia. Viene delineato un umanesimo cristiano che non si rifugia, non evade in una visione escatologica extraterrestre, ma afferma e descrive la presenza e il ruolo del cristiano nella città terrena. Nell'impegno temporale, l'autonomia del cristiano non soltanto è ammessa, ma è postulata dal suo impegno battesimale. La trascendenza di Dio, contemplata nel volto di Cristo, non opprime, non "mortifica" l'uomo ma lo realizza in ogni sua dimensione. Nella seconda parte, con un linguaggio che rivela il lungo sforzo di elaborazione e si risolve talvolta in soluzioni di compromesso, si affrontano alcuni dei problemi più gravi del nostro tempo. Circa l'esplosione demografica e le questioni che essa pone alla coscienza morale, si deve sottolineare l'affermazione del concilio sulla natura e i fini del matrimonio: in una visione della "gerarchia dei fini", si parla della fecondità vista come suggello dell'amore, delle esigenze della comunità, di una retta educazione dei figli, ecc.; fini ed esigenze che si riflettono in un esplicito richiamo alla "trasmissione responsabile della vita" (n. 51); circa i problemi relativi alla vita economica, sociale, politica, internazionale, non spetta alla Chiesa - afferma il concilio - indicare soluzioni: essa deve soltanto dare orientamenti. Per esempio: alla nozione di sviluppo e progresso economico si sostituisca quella di sviluppo umano di "tutto l'uomo e tutti gli uomini"; il progresso non sia più lasciato in balia di un automatismo dell'economia, del potere, privato e pubblico, della tecnologia, ma sempre si tenga fisso lo sguardo sulla dignità, sui diritti, sulle esigenze della persona umana; circa la difesa della pace, anziché partire dalla concezione tradizionale della "guerra giusta", il concilio preferisce la prospettiva della "costruzione della pace" e della convivenza degli uomini. Notevoli le affermazioni sulla limitazione degli armamenti, sulla condanna delle torture, dei crimini contro l'umanità, sulla falsa concezione degli egoismi nazionali, sui vantaggi dello scambio tra i popoli di beni non solo economici, ma culturali, per una crescita comune dell'umanità.
Alla luce delle due costituzioni (dogmatica e pastorale) sulla Chiesa - come pure delle altre due costituzioni, sulla "sacra liturgia" (4 dicembre 1963) e sulla "divina rivelazione" (18 novembre 1965) -, testi che in realtà si possono considerare chiavi essenziali per una lettura esatta del concilio, ci si può accostare agli altri documenti; così pure a questa luce si può constatare come in essi siano state accolte istanze e affermazioni che negli ultimi decenni erano andate lentamente maturando nel settore più vitale e sensibile dell'area cattolica.
In ordine cronologico, il primo documento approvato fu la costituzione Sacrosanctum concilium (4 dicembre 1963) sulla liturgia. Una triplice corrente coesiva (teologica, ecclesiale, pastorale) l'attraversa e le dà unità. Fondamento teologico: la liturgia è l'opera della Redenzione in atto: è cioè l'azione del Cristo che - mediante l'opera dello Spirito - realizza nella Chiesa il suo mistero. L'azione liturgica e, per sua natura, "gerarchica" e comunitaria insieme: è, infatti, celebrazione di tutto il "popolo di Dio". Da tale principio deriva un più accentuato senso ecclesiale e una visione più universale. Non più uniformità livellante nella lingua e nei riti, ma, pur in un'unità fondamentale, viene permessa e stimolata una maggiore creatività, che dimostra una capacità della Chiesa di assimilare e fondere insieme esigenze, valori, tradizioni e culture differenti. Nel piano pastorale viene accentuato il carattere comunitario della celebrazione liturgica: il ministro assume sempre più il ruolo di "presidente" anziché di celebrante: l'azione infatti è celebrata da tutta l'assemblea, da tutto il popolo di Dio, radunato dalla Parola sotto la guida del vescovo, o del presbitero che lo rappresenta. - Nel decreto Inter mirifica (4 dicembre 1963) sugli strumenti di comunicazione sociale, si afferma che la Chiesa non vuol chiudersi in una visione moralistica tesa a denunciare e condannare gli abusi di tali mezzi: essi si devono invece considerare come "mirabili doni di Dio" destinati a "umanizzare" e a "divinizzare" l'uomo, "tutto l'uomo". Circa il sempre ricorrente conflitto tra "diritti" dell'arte e "norme" della morale, e circa il dovere e le competenze dell'autorità civile, il documento richiama il principio del bene comune, da cui non può prescindere "la vera e giusta libertà d'informazione". - Nel decreto Unitatis redintegratio (21 novembre 1964) sull'ecumenismo, due idee dominanti: chiunque crede in Cristo, anche se nasce fuori della Chiesa cattolica, si trova in qualche comunione con la vera Chiesa: perciò tutte le Chiese cristiane possono essere strumento di cui lo Spirito Santo si serve per la salvezza dei loro membri, anche se "la pienezza dei mezzi di salute si trova solo nella Chiesa cattolica" (n. 3). Unità, però, non significa uniformità: "una certa diversità di usi e di consuetudini, non si oppone minimamente all'unità della Chiesa" (n. 16). Neppure è escluso che ci possa essere una certa diversità nel modo di enunciare la dottrina, "il quale [modo] non deve essere assolutamente confuso con lo stesso deposito della Fede" (n. 6). La necessità di rinnovamento riguarda tutti i cristiani. Anche "il volto della Chiesa [cattolica] meno rifulge davanti ai fratelli da noi separati e davanti al mondo intero e la crescita del Regno di Dio ne è ritardata" (n. 6). "Ecumenismo vero non c'è senza interiore conversione" (n. 7). - Nel decreto Orientalium ecclesiarum (21 novembre 1964) sul rapporto tra Chiesa romana e Chiese orientali, notevole la nozione di "chiesa particolare" (distinta da quella di "diocesi"): la chiesa particolare è un raggruppamento stabile (ordinariamente comprende più diocesi) che ha caratteristiche proprie, non solo di ordine rituale e liturgico, ma anche di disciplina ecclesiastica e di patrimonio culturale teologico. Tali chiese particolari nell'unica Chiesa di Cristo "godono di pari dignità... nessuna prevale sulle altre... sotto la direzione (sub moderamine) del romano pontefice"; esse "sono affidate al pastorale governo del romano pontefice". Si pone fine, in tal modo, alle annose questioni sul ritus praestantior [di maggior prestigio] in seno alla Chiesa. - Il decreto Christus Dominus (28 ottobre 1965) sull'ufficio dei vescovi, è una chiara traduzione nel piano pastorale di alcune affermazioni della costituzione dogmatica sul mistero della Chiesa (Lumen gentium): è riaffermata la communio che unisce in un unico "servizio" tutto il popolo di Dio: vescovi e sommo pontefice, presbiteri e vescovi, laici e clero; domina il concetto di diaconia dell'ordine sacerdotale, il quale comprende sia il sacerdozio "comune" di tutti i battezzati, sia il sacerdozio "ministeriale" o gerarchico: diaconia che ha come oggetto tutto il mondo, in uno spirito ecumenico, missionario e di rispetto di tutti i valori umani. In tale linea si prospettano alcune strutture da ristabilire o potenziare, nella linea della primitiva tradizione: sinodo dei vescovi, per un più effettivo esercizio della collegialità, conferenze episcopali, consigli presbiterali, consigli pastorali. - Il decreto Perfectae caritatis (28 ottobre 1965) traccia alcune linee di base per un "rinnovamento e aggiornamento della vita religiosa", cioè della vita consacrata a Dio nella pratica dei consigli evangelici (povertà, castità, obbedienza); vita che viene professata mediante i voti, in "ordini", congregazioni religiose, e istituti secolari. Tale forma di vita - sottolinea il concilio con particolare insistenza - non ha lo scopo soltanto di "far progredire nella perfetta carità" coloro che personalmente la professano, ma è "un dono divino che la Chiesa ha ricevuto" in una prospettiva comunitaria e sociale: i religiosi hanno infatti nella Chiesa e nel mondo funzione di "segno" dei valori supremi, dei beni futuri: la loro missione è quella di portare allo sviluppo pieno, totale, la loro "consacrazione battesimale" perché "si arricchisca la vitalità della Chiesa" e sia più feconda la sua presenza e la sua azione nel mondo. In tale luce, il rinnovamento e aggiornamento dev'essere attuato in due linee fondamentali: favorire nei religiosi stessi lo sviluppo più profondo dell'uomo, in ogni sua dimensione, e rendere le loro comunità e le relative strutture sempre più rispondenti alle esigenze e alle carenze del tempo presente, nei diversi ambienti in cui sono chiamate a operare. - Il decreto Optatam totius (28 ottobre 1965) sulla formazione sacerdotale insiste pure sulla necessità di una maggiore maturazione umana, psicologica e affettiva, nei candidati al sacerdozio, e di strutturare i seminari in rapporto sia alla natura e alla missione della Chiesa sia alle esigenze del mondo moderno. A tale scopo s'impone una revisione degli studi ecclesiastici: "una cultura umanistica e scientifica", un'impostazione più cristocentrica ed ecclesiale, più biblica e liturgica; per dare maggiore unità e organicità a tutti i fattori educativi nella formazione dei futuri sacerdoti.
Nella dichiarazione Gravissimum educationis (28 ottobre 1965) sull'educazione cristiana, il concilio ha sentito il bisogno di guardare al di là delle "scuole cattoliche" (tale era la primitiva formulazione del titolo del documento). Si afferma infatti in primo luogo il diritto di tutti gli uomini di ricevere un'educazione, a fondamento della quale dev'essere posta la dignità della persona; si sottolinea poi che, in forza di tale dignità, i cristiani hanno diritto a un'educazione il cui scopo sia di far maturare nel battezzato la propria fede. - La dichiarazione Nostra aetate (28 ottobre 1965) sull'atteggiamento della Chiesa verso le religioni non cristiane, inizia affermando che i vari popoli costituiscono una sola comunità. La Chiesa deve promuoverne l'unità, cercando in primo luogo ciò che gli uomini hanno in comune. Di fronte ai seguaci di altre religioni, la Chiesa annuncia Cristo, rendendo testimonianza alla propria fede e riconoscendo e facendo progredire i valori spirituali, morali, socio-culturali di tali religioni. Da sottolineare, in tale dichiarazione, la condanna dei malintesi e pregiudizi del passato verso gli ebrei e la deplorazione di tutti gli odi, le persecuzioni e le manifestazioni dell'antisemitismo.
La costituzione dogmatica Dei Verbum (18 novembre 1965) sulla divina rivelazione è dominata da due grandi temi: la rivelazione in sé stessa e la sua trasmissione. La rivelazione è quella realtà per cui Dio si manifesta nella serie di eventi da lui compiuti per attuare la salvezza. La Parola è evento salutare. È "in ordine alla nostra salvezza" che Dio ha parlato per mezzo dei profeti e ha voluto che le verità divinamente rivelate fossero per ispirazione dello Spirito Santo espresse nei libri sacri che, come tali, sono stati consegnati alla Chiesa. La Rivelazione si riassume tutta nella persona di Cristo, Parola incarnata. La trasmissione della Parola rivelata è iscritta nell'unico atto con il quale Dio ha stabilito di salvare il mondo: tradizione biblica, predicazione profetica e apostolica; Sacra Scrittura e tradizione ecclesiastica sono tra loro intimamente congiunte fino a formare un'unica realtà. È per mezzo della tradizione che la Scrittura svela il suo contenuto e lo rende incessantemente operante. Tradizione e Scrittura sono un'unica realtà vivente che va soggetta alla stessa crescita della Chiesa. Circa la "storicità" dei testi sacri, notevole l'affermazione del concilio sulla redazione dei Vangeli: "Gli apostoli, dopo l'Ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi del Cristo [risorto] e illuminati dallo Spirito di Verità, godevano" (n. 19). Questa "più completa intelligenza" cresce incessantemente nella vita della Chiesa nella misura in cui essa porge ai fedeli il pane della vita "nella duplice mensa" della Parola e dell'Eucarestia. - Nel decreto Apostolicam actuositatem (18 novembre 1965) sull'apostolato dei laici, sono accolte alcune affermazioni tipiche della teologia del laicato e delle realtà terrestri maturate negli ultimi decenni: pieno riconoscimento del ruolo essenziale che spetta ai laici nella vita della Chiesa, della loro responsabilità, di una giusta autonomia in funzione della loro specifica vocazione. - La dichiarazione Dignitatis humanae (7 dicembre 1965) sulla libertà religiosa porta come sottotitolo: "il diritto della persona e delle comunità alla libertà sociale e civile in materia religiosa". Si tratta - afferma il concilio - di un diritto della persona che si fonda sulla sua dignità quale si riconosce alla luce della ragione e della Rivelazione. Nonostante questo diritto sia in piena armonia con l'esempio di Cristo e con il suo insegnamento, non mancarono nella storia della Chiesa modi di agire non conformi o in contrasto con lo spirito evangelico. La libertà religiosa come diritto non riguarda immediatamente e formalmente il rapporto tra persone e valori, ma sempre e soltanto il rapporto tra persone (fisiche o morali) in quanto membri della società. - Il decreto Ad gentes (7 dicembre 1965) sull'attività missionaria afferma che la Chiesa è missionaria in virtù della sua stessa natura. Nella vita del cristiano, la dimensione missionaria è essenziale. L'opera missionaria deve iniziare con la testimonianza, continuare con l'annuncio del Vangelo, tendere alla formazione di un'autentica comunità, fondandosi sull'indole e i valori di ogni cultura ed esprimendo per mezzo di essi il mistero cristiano. - Il decreto Presbyterorum ordinis (7 dicembre 1965) "sul ministero e la vita sacerdotale" sottolinea come la vita del sacerdote debba essere concepita in funzione del suo ministero, cioè del servizio che, nel proprio tempo e nei particolari ambienti, egli deve assolvere. Considerando il sacerdozio nella missione generale della Chiesa, vengono superate distinzioni e opposizioni fittizie che, soprattutto a partire dal Medioevo, venivano fatte tra servizio di Dio e della comunità, fra funzione ministeriale e cultuale, ecc. Denso di significato e di sviluppi è il richiamo all'"unità di vita" nella vocazione sacerdotale: primo mezzo di santificazione e nello stesso tempo di realizzazione umana, dev'essere per il sacerdote l'esercizio stesso del suo ministero.
Bibl.: I. fonti: Acta et documenta Concilio Oecumenico Vaticano II apparando. Series prima (Antepraeparatoria), 4 voll. con 16 tomi, p. 10.018, Città del Vaticano MCMLX-MCMLXI; Series secunda (Praeparatoria), 3 voll. con 7 tomi, pp. 5514, ivi MCMLXV-MCMLXVIII; Acta synodalia sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani II, 4 voll. con 25 tomi, ivi 1970-80.
II. atti: Sacrosanctum Oecumenicum Conciliun Vaticanum II. Constitutiones-Decreta-Declarationes, Città del Vaticano MCMLXVI, pp. 1292; Enchiridion Vaticanum, vol. I Documenti, Bologna 197610.
III. commenti: Collana Magistero Conciliare, 18 voll., Torino 1964-70. Nella collana Unam Sanctam, 13 voll. sono dedicati al commento dei testi conciliari, Parigi 1965-70; Das Zweite Vatikanische Konzil: Dokumente und Kommentare, 3 voll., Friburgo i. B. 1966-68; Commentary on the documents of Vatican II, New York-Londra 1967-69 (trad. dell'opera precedente).
IV. storia: G. Caprile, Il Concilio Vaticano II, 4 voll. in 5 tomi, pp. 3956, Roma 1965-69; Ph. Levillain, La mécanique politique de Vatican II. La majorité et l'unanimité dans un Concile, Parigi 1975, pp. 468.
V. norme applicative: L'Enchiridion Vaticanum dal vol. II in poi pubblica i Documenti ufficiali della Santa Sede applicativi del Concilio Vaticano II, 10ª ed. Bologna 1979 segg.; F. Romita, Normae executivae Concilii Oecumenici Vaticani II (1963-1966), Napoli 1971, con un Supplementum (1967-1973), ivi 1973.
VI. sussidi per lo studio dei documenti: X. Ochoa, Index verborum cum documentis Concilii Vaticani Secundi, Roma 1967, pp. 848; H. Tardif-G. Pelloquin, Index et concordance Vaticani II, Parigi 1969, pp. 256; Dizionario del Concilio Ecumenico Vaticano II, Roma 1969, coll. 2034; Ph. Delhaye-M. Gueret-P. Tombeur, Concilium Vaticanum II. Concordance, Index, Listes de fréquence, Tables comparatives, Lovanio 1974, pp. XX-980.