VASSALLETTO
Famiglia di marmorari operosa a Roma e nel Lazio a partire dalla metà del secolo XII e nel corso del Duecento. Tra i principali esponenti del «romano opere et mastria», le loro realizzazioni costituiscono una testimonianza significativa della fioritura di botteghe di origine e formazione romana attive al tempo in tutta la Penisola. Le loro opere furono eseguite in una stagione di grande fervore artistico per Roma, in concomitanza del rinnovamento architettonico, dell’arredo e della decorazione plastica delle principali chiese cittadine, promosso da papi, cardinali e funzionari della Curia. La bottega dei Vassalletto fu dedita sia a opere architettoniche, come chiostri o portici, che alla decorazione di interni, rivelando una notevole versatilità. Coloro che apponevano il loro nome nella firma, oltre che scultori o architetti, rivestivano il ruolo di imprenditori e direttori di cantiere. A loro era stata affidata per contratto l’esecuzione di un’opera, nella quale intervenivano artefici di diversa estrazione e con varie specializzazioni.
Gli esponenti della bottega ebbero notevoli scambi e frequenti collaborazioni con altri nuclei familiari di artefici, in particolare per la realizzazione degli arredi presbiteriali, nei quali i Vassalletto sembravano spiccare nell’esecuzione di candelabri, transenne e troni, mentre altre maestranze realizzavano amboni e cibori, a testimonianza di una precoce specializzazione nella produzione scultorea a Roma.
A conferma degli scambi tra le famiglie di marmorari romani, nel 1232 Nicola Vassalletto era attivo nella bottega di Pietro de Maria, per i lavori di posa in opera del chiostro del monastero di S. Croce di Sassovivo (presso Foligno), opera realizzata, su contratto del 1229, nel cantiere ubicato presso il complesso romano dei Ss. Quattro Coronati, dipendenza romana dell’abbazia umbra (Faloci Pulignani, 1915).
Nonostante il gran numero di opere realizzate, i Vassalletto, a differenza di altri nuclei familiari attivi contemporaneamente nell’Urbe, sono stati riconosciuti dagli studiosi solo nel tardo Ottocento (Barbier de Montault, 1857; De Rossi, 1875). Il nome è attestato nella documentazione medievale romana: un Bassalecto nel 1116 ricevette in enfiteusi un fondo dal monastero di S. Prassede, venduto nel 1130 (Fedele, 1904). La prima firma nota, di «Romanus Basileti», era apposta in calce all’epigrafe sulla tomba (Tucci, 2002) del cardinale diacono dei Ss. Cosma e Damiano, Guido da Pisa, morto nel 1149 e sepolto nella basilica titolare, per la quale, dopo il 1146, aveva commissionato il ciborio eseguito da esponenti della famiglia di Paolo (v. la voce Paolo, in questo Dizionario). Un altro Vassalletto, probabilmente più tardi, firmò la tomba per un tale Pietro, collocata all’esterno della stessa chiesa (Tucci, 2017).
Nel 1185, in occasione dei lavori promossi per la canonizzazione di Bruno da Segni (1183), Pietro Vassalletto collaborò, con un «opus» ignoto (forse il recinto presbiteriale), al completamento dell’arredo della cattedrale di Segni (E. Stevenson, in Marucchi, 1880, p. 90), per cui Lorenzo e il figlio Iacopo realizzarono il ciborio: il frammento con la firma, reimpiegato come soglia di uno dei portali di facciata, è andato perduto (Gianandrea, 2006, pp. 134-137). Una nuova firma di Pietro, con il fratello Giovanni, proviene da una chiesa di Cori: un architrave di riuso (con un’epigrafe antica), probabile parte di un ciborio databile, per la forma dei caratteri dell’iscrizione, all’ultimo quarto del XII secolo (oggi a Velletri, in collezione privata; Dietl, 2009, pp. 1726 s.).
Nella basilica di S. Paolo fuori le Mura, Nicola d’Angelo, nipote di Paolo (v. la voce Nicola d’Angelo in questo Dizionario), firmò «cum Petro Bassalletto» la maestosa colonna reggicandelabro pasquale, collocata in origine presso l’ambone sinistro della schola cantorum (Ugonio, 1588, c. 236r). L’opera, eseguita sotto la guida di Nicola, primo firmatario del monumento in qualità di responsabile del cantiere, fu commissionata dal monaco «Othonus» ed è databile allo scorcio del secolo XII (Bassan, 1982; Id., 2011). Il candelabro è ispirato, per la decorazione vegetale a fasce, alle colonne costantiniane del presbiterio di S. Pietro in Vaticano, ma è arricchito da un ciclo della Passione di Cristo su tre registri sovrapposti, che consolida la tradizione della scultura di figura già presente a Roma, rinnovandola sui modelli della classicità e della tarda antichità, richiamati anche nei caratteri stilistici, come rivelano i riferimenti alle raffigurazioni dei sarcofagi paleocristiani. Il programma iconografico del monumento dispiega episodi della Passione, dalla Cattura fino alla Resurrezione con la rappresentazione del sepolcro e sottintende un percorso di redenzione, dalle fiere della base, simboli avvinghiati al male apocalittico, fino al Cristo in maestà dell’Ascensione, posto al culmine e in diretta contrapposizione con il Cristo deriso del primo registro, secondo soluzioni probabilmente esperite in esemplari romani analoghi del XII secolo ora perduti, che trovano un parallelo nei candelabri realizzati contemporaneamente in Italia meridionale.
Una colonna reggicandelabro di dimensioni analoghe, «Opus magistri Vassaleti quod ipse fecit», (firma in cui affiora la necessità di affermare l’identità tra il responsabile della bottega e l’artefice dell’opera), era presente, accanto agli amboni eseguiti da Lorenzo con il figlio Iacopo, nel presbiterio della basilica di S. Pietro in Vaticano, rinnovato al tempo di Innocenzo III. Un maestro Vassalletto fu attivo anche nella chiesa dei Ss. Apostoli, per la decorazione dell’interno, dove era presente un ciborio, eseguito ancora una volta da Lorenzo e dal figlio Iacopo, ai quali forse è riferibile anche l’ambone, assegnato in alternativa a «Bassallectus», autore, invece, del candelabro firmato, eseguito su commissione del presbitero Andrea e datato 1220, che era sostenuto da un leone marmoreo autografo, ancora conservato nel portico della basilica (Claussen, 2002, pp. 114-119), secondo una tipologia affermatasi a partire dai primi decenni del XIII secolo.
Nella basilica di S. Saba all’Aventino, che presenta il portale d’ingresso (1204) eseguito da Iacopo di Lorenzo, le transenne presbiteriali ricomposte, databili al primo quarto del Duecento, presentano la firma di «Magister Bassallettus», (Claussen, 1987, pp. 115-117); alla bottega di Vassalletto sono da accostare anche i perduti leoni con prede, provenienti probabilmente dall’arredo interno e un tempo reimpiegati presso le colonne del perduto portico (Ciampini, 1690, p. 34). Un frammento di cornice firmato da un Vassalletto, attestato nel complesso di S. Pudenziana a Roma, anziché attribuirsi al portale di facciata, è più probabile abbia fatto parte dell’arredo presbiteriale, commissionato dal cardinale Pietro Sassone di Anagni nel 1210 e rimosso a fine Cinquecento (Ugonio, 1588, c. 163v). Il pezzo, ricollocato all’ingresso del complesso, fu poi riposto nel cortile nel 1638 (Dietl, 2009, pp. 1491 s.).
Il chiostro della basilica lateranense, realizzato nel secondo quarto del Duecento, rappresenta una delle imprese più monumentali dei Vassalletto (Claussen, 2008). La firma, che campeggia su uno dei pilastri che scandiscono la successione delle pentafore, celebra padre e figlio, iniziatori dell’opera, conclusa solo dal più giovane, «nobiliter doctus hac […] in arte». Le soluzioni architettoniche adottate rivelano la piena adesione della bottega alle nuove forme elaborate a Roma a partire dagli inizi del secolo per la valorizzazione di questo spazio religioso, la cui importanza è esaltata dall’iscrizione che corre nella fascia architravata lungo il perimetro delle gallerie, e, in particolare, nella sequenza, posta in prossimità della firma: «claustri structura sit vobis docta figura». La forma del chiostro ribadisce, quindi, i principi della riforma dei canonici lateranensi degli inizi del secolo XIII, rafforzati, nel significato morale, dalle figurazioni eseguite dai Vassalletto nei pennacchi, in cui si alternano scene, come il Peccato originale, e allegorie con animali, estratte anche dai marginalia dei codici del tempo, a marcare il valore didascalico dell’architettura (Biferali, 2005). Queste sculture figurate, che fanno il paio con i riquadri musivi istoriati che impreziosiscono le cornici dei portici eseguiti per le basiliche di Roma negli stessi anni, rappresentano un’innovazione, frutto probabilmente della collaborazione tra gli artisti della bottega dei Vassalletto e i committenti. Questi rilievi costituiscono, inoltre, l’unica eccezione al gusto per la decorazione con meri marmi intarsiati policromi che, a differenza di quanto esperito nel secolo precedente, divenne espressione comune dei Cosmati lungo tutto il Duecento.
Nel chiostro di S. Paolo fuori le Mura troviamo soluzioni strutturali e iconografiche analoghe, che hanno permesso di accostare ai Vassalletto questo invaso, databile anch’esso al secondo quarto del XIII secolo (Claussen, 1987, pp. 132-138; Silvestro, 2008). L’epigrafe, che, come a S. Giovanni, corre lungo la fascia architravata, elogia la regola benedettina e, probabilmente, nel lato perduto, ricordava l’azione di riforma della vita del monastero operata agli inizi del secolo XIII dall’abate di Montecassino Roffredo dell’Isola (1188-1210); nella chiusa si celebrano il cardinale Pietro Capuano (1219-36), promotore dell’opera, che ebbe un forte legame con Onorio III (1216-27), e l’abate Giovanni Gaetani (1212-35, ante), che, negli anni in cui fu in carica, «cetera disposuit bene» (a lui si deve anche il mosaico nel catino absidale della basilica, dove è raffigurato lo stesso papa).
Alla bottega dei Vassalletto è stato attribuito anche l’ampliamento della basilica di S. Lorenzo fuori le Mura, promosso da Onorio III, con il corpo delle navate e il nuovo prospetto (Mondini, 2016). Nei colonnati dell’interno spicca la serie omogenea di capitelli ionici, esemplati virtuosisticamente sui modelli antichi, al punto tale da ingannare anche il teorico del neoclassicismo (Winckelmann, 1762; Id., 1764). Il prospetto presenta un portico, tra i più estesi in città, con le colonne che sostengono la trabeazione arricchita nel fregio da mosaici figurati, in cui viene rappresentato anche il pontefice promotore del cantiere.
La bottega dei Vassalletto eseguì opere anche per la decorazione dell’interno della cattedrale di Anagni, completamente rinnovata nel secondo quarto del Duecento, a partire dall’esecuzione del pavimento da parte di Cosma (1224-27). Intorno al 1250 il vescovo Pandolfo fece realizzare il coro e gli amboni, cui si associa il reggicandelabro pasquale firmato da Vassalletto, con il sostegno di leoni e sfingi e il fusto a spirale intarsiato sovrastato da un giovane telamone nudo, nella posa di Atlante, a reggere il bocciolo, secondo la nuova tipologia in voga al tempo. Con il vescovo Lando (nominato nel 1262), «Vasaleto de Roma» eseguì la cattedra, con lo schienale circoscritto dall’epigrafe che ricorda il committente e l’artista: l’opera, presente a metà Ottocento, nella foggia attuale, all’interno di S. Andrea di Anagni (Barbier de Montault, 1857, p. 244), fu rimontata in cattedrale nel 1896.
Nella collegiata di Valmontone era presente un ciborio, datato 1229, opera di «Romano Vassalletto et Paulo De Nasta», commissionato dall’arciprete Buonomo (Gianandrea, 2006, pp. 138-141). Al 1240 risale l’arredo presbiteriale della collegiata di Lanuvio, promosso dall’arciprete Giovanni Saraceno: lo scultore Drudo, con il figlio Angelo, eseguì il ciborio, mentre a Vassalletto sono dovute le transenne presbiteriali, di cui si conserva una cornice con la firma, lacunosa, e con il nome dell’ecclesiastico committente (Dietl, 2009, pp. 940 s.; Gianandrea, 2010, p. 155). Anche nella cattedrale di Ferentino sembra riproporsi la stessa compartecipazione: dopo la realizzazione, tra il 1203 e il 1222, del pavimento a opera di Iacopo di Lorenzo, Drudo realizzò il ciborio, commissionato da Giovanni, arcidiacono di Norwich (1231-40), mentre il reggicandelabro pasquale e i sostegni con leoni e sfingi sono riferibili alla bottega dei Vassalletto (Gianandrea, 2006, pp. 111-116).
Il frammento di uno schienale di cattedra, con disco contornato, come ad Anagni, dalla firma di un Vassalletto, si conserva a Roma nella basilica di S. Croce in Gerusalemme, recuperato dal pavimento settecentesco nel 1895 (Dietl, 2009, pp. 1490 s.). Un tabernacolo firmato da un «Vassalectus», ora perduto, si trovava, reimpiegato, nella parete del coro della chiesa di S. Francesco alla Rocca a Viterbo (Frothingham, 1889, p. 187; Dietl, 2009, pp. 1791 s.).
Su una statua antica di Esculapio, conservata a Roma presso la famiglia Verospi, si leggeva «[…]assallectus m. f. f.» (Stosch, 1724), a testimoniare la partecipazione al commercio antiquario da parte di alcuni membri della bottega romana (Marucchi, 1880); l’opera dovrebbe essere quella oggi conservata all’Ermitage di San Pietroburgo, acquistata nel 1787 con la collezione dell’inglese John Lyde Browne (Winckelmann, 1834; Gorbunova, 1974).
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