BYKOV, Vasil' Vladimirovic
BYKOV, Vasil' (Vasilij) Vladimirovič
Scrittore bielorusso, nato a Čerenovščina (Vitebsk) il 19 giugno 1924. Di origine contadina, B. frequenta l'Istituto d'arte di Vitebsk, che lascia nel 1941 per andare volontario al fronte. Alla fine della guerra è ufficiale, e nelle file dell'Armata Rossa rimane ancora per un decennio. La sua attività letteraria ha inizio nel 1955 con due racconti di guerra, Smert' čeloveka ("La morte dell'uomo") e Oboznik ("Il carradore"), cui seguono Tret'ja raketa (1958, "Il terzo razzo"), Žuravlinyj krik (1960, "Il grido della gru"), Frontovaja stranica (1962, "Una pagina dal fronte"), Al'pijskaja ballada (1964; trad. it. Ballata alpina e altri racconti, 1987), Mertvym ne bol'no (1966, "I morti non soffrono"), Ataka s chodu (1968, "Attacco in corsa"), Obelisk (1972, "Obelisco"), Dožit' do rassveta (1973, "Vivere sino all'alba"). Rifiutando sin dall'esordio i toni trionfalistici con cui la prosa del periodo bellico e del primo dopoguerra aveva raccontato l'eroismo e la vittoria del popolo sovietico, B. propone una narrativa in tono minore, attenta alle sorti individuali, ai dubbi e ai problemi morali di uomini posti di fronte a scelte drammatiche. Battezzata dai critici okopnaja pravda ("verità di trincea"), questa tendenza caratterizza, accomunandola alla contemporanea prosa ''campagnola'', la migliore prosa di guerra degli anni Settanta. Sotnikov, protagonista dell'omonimo romanzo (1970; trad. it. Gli ultimi tre giorni, 1974), perisce tragicamente per mano di nemici che sono tutti e solo russi, passati dalla parte dei Tedeschi per paura (Rybak), per cattiveria (Stas', Budila), per fatalità (lo starosta Petr), tutti condannati, qualunque sia l'esito della guerra, a un destino di paria.
Alla fine degli anni Settanta alcuni temi, accennati nelle prime opere (Zapadnja, 1965, "La trappola"; Krugljanskij most, 1968, "Il ponte di Krugljansk"; Obelisk), assumono un ruolo centrale: l'atmosfera di paura e sospetto tra le truppe, l'atteggiamento di condanna di quanti erano caduti prigionieri dei Tedeschi, destinati tutti alla fucilazione o al lager come sospetti traditori; scampato alla fucilazione per aver finto di collaborare con i nazisti, Ageev, protagonista di Kar'er (1968; trad. it. La cava, 1989), torna qualche anno dopo con il figlio sul luogo degli avvenimenti e cerca di spiegargli (e di spiegarsi) le ragioni storiche di quell'eclissi di ogni elementare senso di umanità. I partigiani di V tumane (1987, "Nella nebbia") fucilano sotto gli occhi di moglie e figli un contadino colpevole di essere stato fermato e poi liberato dalla Gestapo: il prezzo della liberazione non può essere che il tradimento e l'offerta di collaborazione. La rappresentazione della disumanità della guerra tocca il suo culmine in Znak bedy (1982, "Segno di sventura"), forse la più importante opera di B., che nella sua cupa drammaticità travalica l'ambito della letteratura di guerra verso una più generale riflessione sulla recente storia russa.
Tutto concentrato sulla psicologia dei personaggi, B., che scrive in bielorusso e traduce poi le proprie opere in russo, predilige il romanzo breve, reso ulteriormente compatto da una grande unità di tempo e di luogo, strutture narrative semplici e un linguaggio disadorno, sul cui sfondo far risaltare l'ineluttabilità della catastrofe finale.
Bibl.: G. Spendel, Presentazione, in V. Bykov, Gli ultimi tre giorni, Milano 1974; I. Dedkov, V. Bykov, Mosca 1980; W. Kasack, Lexicon der russischen Literatur ab 1917, Monaco 1986; E. Bazzarelli, Presentazione, in V. Bykov, La cava, Milano 1989.