Vedi CAMPANI, Vasi dell'anno: 1959 - 1973 - 1994
CAMPANI, Vasi
In Campania si localizzano varie fabbriche di ceramica a figure nere, i cui prodotti sono da ritenersi imitazioni, analoghe a quelle etrusche, della ceramica attica di questa tecnica. V'è da osservare tuttavia che una produzione del genere si prolungò fin nel sec. IV a. C. e presenta un certo numero di anfore con manico orizzontale applicato al labbro (le cosiddette "situle"), forma tipica della produzione campana del IV sec. a. C. La decorazione di rado costituisce una scena: o si hanno composizioni araldiche o sequenze di motivi con animali, oppure ornati con elementi vegetali e geometrici. La tecnica è scadente; la vernice, data a larghe pennellate, risulta spesso opaca.
Imitazioni di vasi attici databili fra il 450 e il 430 sono pure i prodotti nella tecnica a figure rosse, di una fabbrica campana di ignota localizzazione, che sono stati riuniti nel "Gruppo del pilastro con civetta" (Owl-Pillar Group), così detto per la frequenza con cui vi è ripetuto questo motivo. Numericamente predominano le anfore "nolane", ma sono presenti anche altri tipi di vasi, assai simili per proporzioni e sagoma ai vasi attici contemporanei. Mentre alcuni sono interamente coperti di vernice nera o hanno una striscia di baccellature nere, altri sono decorati con soggetti strani o incomprensibili, forse corruzioni di episodî greci male interpretati dai decoratori locali; forse, in qualche caso, narrazioni di miti o costumanze locali. Lo stile è semibarbaro e si possono riconoscere più mani: le linee dei particolari disegnati all'interno delle figure sono grosse, rigide ed impacciate, le figure sono goffe, hanno occhi rotondi e la bocca dischiusa. Il motivo che è servito per la denominazione convenzionale del gruppo è talvolta sostituito da una colonna con un uccello alla sommità.
Queste categorie di vasi di regola non sono compresi nella ceramografia campana. Quando si dice "vaso campano" ci si riferisce ad un prodotto di uno dei grandi raggruppamenti nei quali è divisa la ceramica italiota. Spesso in passato i vasi campani erano confusi con i prodotti àpuli, lucani o, più spesso, con i pestani. Neanche oggi per certi gruppi e per taluni pittori che pur son definiti campani si è certi che siano realmente stati attivi in Campania, mentre alla ceramografia campana sono più o meno strettamente connessi per stile e repertorio gruppi di prodotti pestani e i vasi cosiddetti siciliani.
La ceramografia campana propriamente detta inizia, in ritardo sulle altre categorie italiote, solo nel IV sec. a. C. La classe più antica, scarsamente rappresentata, risale al principio del secolo: è il gruppo cosiddetto atticizzante. La denominazione stessa dà le caratteristiche stilistiche di tali vasi: non sempre la maniera di disegnare è uniforme, e buona parte dei prodotti è fuori di ogni raggruppamento. Non è sicuro che i vasi atticizzanti siano stati prodotti in Campania: alcuni di essi provengono da località di questa zona, altri, invece, dalla Sicilia. Il Trendall propende a ritenere questa produzione come campana e raggruppa un certo numero di esemplari indubbiamente affini per lo stile, caratterizzato dal trattamento sommario dei capelli resi a pennellate fitte e del panneggio con sottili pieghe verticali. I modelli son tratti dalla ceramografia attica della fine del V sec.: l'argilla, l'ingubbiatura, la vernice non sono però attiche, e si notano somiglianze con lo stile del Pittore di Dirce.
Sono stati finora localizzati con certezza in Campania due centri principali di fabbriche: Cuma ed Avella. È da ritenersi assai probabile che la ceramica campana recuperata a Capua o nelle vicinanze sia stata prodotta da fabbriche di questo centro. Ad essa si può assegnare la produzione più antica, quella che in parte è compresa nell'opera di maestri convenzionalmente denominati Pittore di Cassandra, Pittore di Capua, Pittore di Parrish, col quale è collegato, fra altri, il Gruppo di Londra F 500 e che dev'essere posto in un contesto più ampio del quale fa parte anche il Pittore degli Orecchini. Più tardo è il Pittore di Issione, che si può supporre anch'egli attivo a Capua. Nel gruppo capuano frequenti sono le scene mitologiche, spesso tuttavia narrate con solecismi, tanto da risultare in più di un caso enigmatiche. Le figure, specialmente nelle facce posteriori secondarie dei vasi, sono ripetute in maniera monotona e meccanicamente. Il disegno è impacciato, la composizione mal riuscita. Ampio spazio è dato alla decorazione a base di complesse palmette. Nei prodotti più antichi sono rari i ritocchi in colori sovrapposti, bianco e giallo, utilizzati quasi esclusivamente per particolari dell'abbigliamento e per le architetture.
Incerto è il luogo dove fu prodotto un gruppo di vasi, pare esclusivamente oinochòai, alcuni dei quali peraltro provenienti da S. Agata dei Goti, di stile caratteristico e fortemente provinciale, che il Beazley denominò Gruppo dell'Arciere e collocò nella fase più antica della ceramografia campana.
I prodotti, già della seconda metà del IV sec. a. C., che si attribuiscono alla fabbrica di Avella (Abella) furono classificati dal Beazley sotto una sigla generale di "Gruppo A.V." (v.): i singoli pittori di questo gruppo non sono stati ancora individuati completamente. Il meglio conosciuto è il Pittore delle Danaidi (v.), così nominato per il soggetto di un'hydrìa del British Museum (C. V. A.; iv Ea, tav. 8, 15) da lui dipinta: altri pittori del Gruppo A. V. sono: il Pittore di Frignano (v.), quello di Londra F 196 e il Pittore di Manchester (v.). Le caratteristiche generali del gruppo sono abbastanza chiare: vi predominano i vasi di piccola forma e vi sono soltanto poche grandi anfore e hydrìai: appare con frequenza anche l'anfora con manico impostato orizzontalmente sulla bocca ("situla"). Un'ingubbiatura rosa o rossa è stesa sull'argilla pallida. I ritocchi bianchi e gialli sono utilizzati soprattutto per i particolari e per la decorazione floreale che nel Gruppo A. V. è abbastanza ampia.
Ma la maggior parte dei vasi c. a noi pervenuti è stata assegnata già dal Patroni a Cuma. Alla prima fase della produzione cumana, detta Gruppo C. A (v.) (Cumae A, secondo il Beazley), sono assegnati il Pittore di C. A stesso e i suoi compagni e seguaci Pittore di New York 1000 (v.), Pittore di Ready (v.), ecc. I loro prodotti rappresentano una larga parte della produzione campana: sono spesso anche vasi di grandi dimensioni (anfore del tipo usuale, quelle con manico orizzontale, hydrìai, crateri); più rare sono le brocche e gli sköphoi. Se si eccettuano alcune scene di simposio, il repertorio dei soggetti di questi vasi è abbastanza costante: si hanno colloqui di donne, scene di culto alla tomba in presenza di figure femminili dionisiache e di guerrieri e scene dionisiache meno generiche. I guerrieri perlopiù indossano la tipica armatura osca (elmo con cimiero fiancheggiato da lunghe penne verticali, καρδιοϕύλαξ a due o tre falere, cinturone metallico, schinieri). Ma, nonostante questi particolari "barbari" del soggetto, lo stile è assolutamente ellenico e trova echi in quello attico del IV sec. Con questa produzione la policromia diventa molto ricca ed è ottenuta con ampi ritocchi di colori aggiunti. Quasi sempre, ora, il nudo femminile è reso col colore bianco e i particolari anatomici sono delineati col giallo sovrapposto. Ma questi colori sono usati ampiamente anche per altri particolari, soprattutto architettonici (come i monumenti tombali), vegetali e dell'ornamentazione floreale, assai sviluppata e spesso complessa. Appaiono anche il rosa, il paonazzo ed un azzurro verde-pallido (v. Tavola a colori).
La seconda fase dell'attività cumana si accentra attorno alla personalità del Pittore A. P. Z. (v.), così denominato dal Beazley (la sigla A. P. Z. corrisponde ad Apulianizing, denominazione dovuta al fatto che il pittore dimostra un forte influsso àpulo). Si è pensato ad un Apulo immigrato, oppure ad un Campano che volesse imitare la produzione àpula "pura" dell'età del Pittore di Dario (v.). Il Pittore A. P. Z. lavorò nella stessa officina del Pittore di C. A ed anch'egli, come il predecessore, mostra la sua predilezione per le scene rituali presso la tomba: ma meno frequentemente appaiono nei suoi dipinti i guerrieri in armatura indigena. Anche per le sagome dei vasi si riallaccia al Gruppo C. A, ma lo stile delle figure è completamente diverso: quelle femminili sono molto simili a quelle dipinte sulla ceramica àpula contemporanea ed anche le maschili, molli ed effeminate, dimostrano il costante riferirsi di questo maestro ai canoni della ceramografia d'Apulia. La decorazione vegetale, seppur derivata dal Pittore di C. A, è più stilizzata e complicata. Dal Pittore A. P. Z. deriva il Pittore di Nicholson (v.), di stile più sciatto e con più evidente tendenza alla stilizzazione.
L'ultima fase (fine del IV o inizio del III sec.) di questo stile ormai corrotto è compresa nel Gruppo Romboide (v.), di cui fanno parte il Pittore di Branicki e il Pittore di Londra F 229.
L'ultima fase della ceramica campana è un periodo di completo imbarbarimento. Abbiamo i prodotti del Pittore Siamese (così denominato per le sue figure gianiformi); il Pittore di Majewski, quello di Vitulazio e, se è campano, il Pittore di Riccardi (v.).
L'estremo stadio è datato al primo venticinquennio del III sec. a. C. sulla scorta dei trovamenti di Teano. Comprende una produzione di piena decadenza: in essa, finora, si sono classificati il Gruppo T. T. (= Teano-Tubinga) e il Kemai Group, questo ultimo di tecnica non a figure rosse.
Dal Pittore di C. A sembra che si debba far derivare lo stile di un complesso di vasi trovati in massima parte in Sicilia. È naturale pertanto ritenere questa produzione come siciliana: essa comprende il Gruppo di Lentini (v.), con due pittori finora riconosciuti, e il Gruppo di Lipari (v.).
La ceramografia campana è stata studiata, anche piuttosto recentemente, più che altro allo scopo di delinearne la sistematica e lo svolgimento: è questo indubbiamente uno stadio preparatorio necessario ad una ulteriore indagine di questo fenomeno nella quale vengano presi in considerazione gli aspetti storici ed artistici di questa produzione in un certo senso provinciale perfino entro l'ambito della ceramografia italiota. In più di un caso, ma mai complessivamente, le figurazioni dei vasi c. sono state con vantaggio utilizzate o per la documentazione grafica di certi miti, o per questioni storico-religiose, oppure di carattere antiquario.
Ma il fenomeno artistico che queste officine campane offrono non è stato a sufficienza indagato. Si deve tener presente che la produzione campana si svolge mentre altri centri dell'Apulia e la non lontana Paestum erano in piena attività. È naturale che i ceramisti di Capua, d'Avella, di Cuma risentissero della produzione di centri di più lunga tradizione artigianale e di maggior forza commerciale. Ciò nonostante, se si eccettuano pochi casi (come, ad esempio, il Pittore A. P. Z.), la ceramografia campana conservò una sua originalità anche più di quel tanto che ci permette di riconoscere, senza troppa fatica, un prodotto suo da quelli di altre fabbriche non solo sulla base di osservazioni tecnologiche. Di fronte alla coeva ceramografia àpula corrente, essa ha maggior varietà stilistica, che si manifesta nella riconosciuta pluralità di mani e in diversità di temperamenti degli artigiani. Anche i soggetti sono meno monotoni: abbastanza frequenti sono le raffigurazioni di episodi del mito, spesso interessanti e rari, anche se più di una volta mal raccontati. Meno frequenti sono le saporite scene "fliaciche" (un certo numero di tali soggetti appare su vasi del Gruppo A. V.), così significative nella ceramografia àpula e in quella pestana, mentre, come in quelle due scuole, sono largamente presenti scene e personaggi dionisiaci. Il culto alla tomba appare su vasi di indubbia destinazione funeraria. Una particolarità rappresentano le scene in cui son presenti guerrieri in armatura indigena: più rare sono le figure femminili in abbigliamento non ellenico. Anche nella ceramografia campana, come in quella àpula, frequenti sono le teste femminili di profilo che decorano un'intera faccia del vaso; talvolta, in alcune hydrìai, esse sono collocate sotto le anse orizzontali.
I vasi variano per sagoma secondo l'epoca e secondo le fabbriche ma, in complesso, si possono ridurre ai modelli italioti del IV sec.: rare sono le tazze da bere, tranne gli sköphoi. Mancano i gutti, i vasi configurati e quelli plastici. Fra i vasi sicuramente c. è assente il cratere a calice (che è presente però nel gruppo "atticizzante" e in quello "siciliano"), mentre tipica ed esclusiva della ceramica campana è l'anfora con manico orizzontale impostato sulla bocca (Bail-amphora = "situla").
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