CAMPANI, VASI
. Con tal nome vanno designati i vasi dipinti in stile e tecnica inizialmente atticizzanti, a figure rosse, su fondo a vernice nera, i quali furono prodotti nella Campania collateralmente, se non proprio e non tutti contemporaneamente, a quelli dell'Apulia (v. apuli, vasi), a quelli della Lucania (v. lucani, vasi), e a quelli di Pesto (che per la regione andrebbero con la Lucania, ma per lo stile si accostano ai Campani), costituendo, nel tutto insieme, la ceramica italiota.
Dopo le più recenti indagini compiute a Capri, la Campania sta ai primi posti tra le regioni meridionali anche per la ceramica neo-eneolitica con interessanti serie decorate a colori. Alcune tra le più importanti serie campane dell'età del ferro erano state scavate da molti decennî, senza che si facesse attenzione ad esse o se ne desse notizia, come si è fatto meglio da un trentennio a questa parte. Non si è data forse finora la debita attenzione a due serie campane, di cui già si è fatto breve cenno (v. apuli, vasi), cioè ai buccheri campani e alle anforette a figure nere. Queste ultime formano una produzione poco abbondante, ma non priva d'interesse sia per le attinenze etrusche sia per le forme locali con manico a situla; ma quella dei buccheri è una produzione abbastanza comune nelle città etrusche dell'interno (Capua e Nola), distinta dalla produzione dell'Etruria propria anche per caratteri, forme e, più raramente, per tecnica. locale (cfr. Patroni, Buccheri Campani, in Studi e materiali, I, fasc. 2); i vasi recano anche iscrizioni etrusche (Weege, Vasculorum campanorum inscriptiones italicae, Bonn 1906).
Nella produzione vascolare italiota la Campania, se resta molto al disotto dell'Apulia per numero e grandezza di esemplari e per l'interesse di alcune serie di soggetti figurati, d'altra parte è superiore tanto all'Apulia quanto alla Lucania per i dati che offre alla distinzione e alla localizzazione delle fabbriche. Vi si distinguono infatti tre fabbriche locali a figure rosse fiorite nel sec. IV e continuate in parte del seguente, ciascuna con caratteri proprî ben definiti: Cuma, Saticula, Abella. La prima, di stile fiorito e di tecnica policroma (bianco, giallo, rosso-carminio) predilige le ancore snelle, talora con manico a situla; tratta soggetti mistici e funebri, conversazioni, banchetti; mostra particolarità di costumi locali (berretto muliebre a tutulus, moda forse lasciata in Campania dagli Etruschi; guerrieri con elmi piumati, corazze a tre dischi, larghi cinturoni). La seconda invece, di stile inizialmente più aderente a quello dei vasi attici della fine del sec. V, quasi non usa colori aggiunti, produce quasi esclusivamente crateri a campana, disegna per lo più scene dionisiache, di significato religioso-funerario. La terza predilige le idrie pur producendo anche vasi di altra forma, con soggetti funebri (stele), interventi di elementi dionisiaci e di Nike: sue caratteristiche sono: argilla chiara, pochi colori aggiunti, riserbati per lo più a oggetti estranei alla figura umana; steli e viticci di pianticelle e di fiori finemente graffiti a cotto.
Ma non soltanto dalle provenienze della Campania sono accertati questi gruppi, e cioè i rispettivi centri di produzione: bensì essi sono confermati dagli altri aggruppamenti di regioni attigue, e si controllano reciprocamente. Per la Campania ciò ha luogo principalmente con la fabbrica di Pesto, tanto vicina al fiume Sele, che fu per un certo tempo confine della Campania, e confine dei territorî posseduti dagli Etruschi, che a qualche autore greco la popolazione di quella città pareva in certo modo etruschizzata (Aristosseno, in Athen., XIV, 632). Ora il cratere numero 43 della raccolta Cumana (Museo di Napoli) accanto alle note locali tecnico-stilistiche che non permettono di togliere questo esemplare alla produzione cumana e di darlo ad altra fabbrica, ha forti somiglianze con i vasi di Pesto, tanto nelle figure quanto negli ornati. Alcuni vasi di Abella (come le idrie, in Patroni, Ceramica antica, ecc., figg. 69, 72), in una esecuzione caratteristicamente locale, hanno stretta rassomiglianza con la ceramica di Pesto nel disegno delle figure, nel soggetto rappresentato. Tali parentele non indicano dipendenza da Cuma dei maestri pestani, più individuali ed originali (di soli tre ceramisti italioti che firmarono i loro vasi più insigni due sono pestani: Assteas e Pitone); e per Abella non si può pensare se non ad influenza di maestri pestani sulle fabbriche campane. Comunque, tali influenze, attive o passive, esistevano: ed a ciò non riflettono coloro che vorrebbero risuscitare l'attribuzione di Assteas a Taranto.
Anche un'altra cosa di grande importanza insegna la Campania, cioè quale fosse il fulcro etnico della produzione dei vasi dipinti italioti. Chi tenne in vita e fece fiorire quell'industria, chi ne richiese i prodotti non furono i Greci delle colonie costiere, la cui popolazione è già da supporre mista, bensì gl'indigeni.
Infatti Cuma fu conquistata dai Sanniti nel 421 a. C., e solo dopo tale conquista vi fiorirono le officine ceramografiche. Non bisogna lasciarsi illudere dalla lingua greca usata nelle iscrizioni apposte ad una piccola minoranza dei vasi italioti (nella massima parte anepigrafi), né dai nomi greci di due maestri (il terzo nome, Lasimo, è di un indigeno d'Apulia), né dai miti greci rappresentati. La stessa invasione di soggetti greci presenta l'arte etrusca, ove la lingua delle iscrizioni esplicative si mantenne etrusca sia perché possedeva una più antica e forte tradizione scritta, sia per mancanza di quelle circostanze che nell'Italia meridionale, circondata da una fitta rete di colonie greche, avevano, del resto assai transitoriamente, diffuso l'uso del greco come lingua letteraria. Il costume dei guerrieri, i cui fatti sono celebrati sui vasi di Cuma, è quello stesso delle pitture tombali di Capua: cioè quello degli Osci etruschizzati e dei Sanniti. Anzi, nei combattimenti gli avversarî hanno lo stesso costume locale, non quello greco classico: sicché si penserebbe che il fatto glorificato non sia la conquista di città greche della costa, ma quella della Campania osca da parte dei Sanniti; a meno che non si tratti di esercizî militari e di ludi funebri. Lo stesso fatto presentano vasi lucani e apuli, dove, accanto ad armature greche per lo più date a morti eroizzati, figurati nel heroon, che naturalmente non provano, dati gli scambî commerciali, la grecità di chi le porta, troviamo costumi militari indigeni. La Grecia esaltata nel vaso dei Persiani non è quella delle colonie italiote, né quella di Alessandro, ma la lontana e ormai quasi mitica Grecia vincitrice di Serse. Può darsi che l'ambiente italiota, sotto l'influenza dei vicini Sicelioti, avesse più simpatia per i Greci che non per gli Asiani, rappresentati in Occidente dai Puni: ma in tali manifestazioni noi non sapremmo vedere dei fatti politici, o peggio etnici, demografici, bensì dei fenomeni culturali ed artistici; erano le eccelse facoltà poetiche dei Greci, i loro miti espressi in forme d'arte immortali dai poeti e dai maestri delle arti figurative, che conquistavano gl'indigeni dell'Occidente, sì Etruschi come Osci, Sanniti, Lucani, Peucezî e via dicendo. Perciò, nonostante le derivazioni tecniche e formali, non possiamo considerare la ceramografia italiota al modo comunemente usato, cioè come un'arte greea fiorita in Italia: bensì come un'arte, nella sua essenza e nel suo spirito, italica, locale: grecizzante, sì, ma sostanzialmente rispondente al pensiero, al sentimento, alle esigenze degl'indigeni.
Le provenienze riferiscono a Saticula anche un gruppo di vasi, che veramente non hanno nulla da fare con gli altri mentovati innanzi, e sembrano piuttosto una rozza traduzione barbarica di forme e soggetti già in uso a Cuma e ad Abella (tipo Patroni, Ceramica, fig. 122; ma l'identificazione del gruppo è del Macchioro). Sinché più ampie e meglio condotte ricerche in quella necropoli non rechino eventualmente esemplari di transizione dallo stile precedente a questo evidentemente più tardo, è lecito supporre che, senza continuità con la prima fabbrica, se ne impiantasse poi a Saticula una seconda; e questa sarebbe quarta tra le fabbriche campane.
Numerosi vasi dello stile di Cuma si rinvennero a Capua e in altre località interne: sebbene parecchi di essi siano piuttosto rozzi, non si hanno qui, come a Canosa rispetto a Ruvo, indizî che persuadano ad ammettere la fondazione d'una filiale delle officine di Cuma, anziché semplici scambî commerciali, probabilissimi, data la via del Volturno che si poteva risalire fino al ponte di Casilinum.
Piccoli vasi, per lo più lekythoi fusiformi, con qualche figura in nero su chiaro, si fabbricarono in Campania, forse a Cuma, e possono riferirsi alla fine del sec. IV a. C. o a tempi di poco posteriori. Ma talvolta la figura è in chiaro su vasetti della identica forma ed argilla. Un altro piccolo gruppo, di esecuzione rozza, ha figure sovrappinte, per lo più in rosso pallido, sul fondo verniciato di nero; ma tale tecnica fu in uso anche in altre regioni.
Alla Campania spetta pure in gran parte la produzione di vasi interamente verniciati di nero (detti etrusco-campani), talora con ornati a rilievo: si diffusero, o furono imitati anche in altre regioni meridionali, nell'Etruria, nel Piceno, nella bassa valle del Po. Possono assegnarsi ai secoli IV-III a. C. Un'officina esisteva certo a Teano dei Sidicini, e vi lavorava la famiglia osca dei Berii (v.). Da tali vasi discesero i cosiddeiti Caleni (v.). Verso la metà del secolo III a. C., apparisce infine una serie certamente campana (benché diffusa nell'Italia media) a vernice nera con decorazione sovrappinta e iscrizione latina indicante l'ufficio del vaso (pocolom). Probabilmente anche a Cuma si eseguirono alcuni vasi ingubbiati di bianco e dipinti a policromia; ma la stessa tecnica fu usata altresì a Canosa in periodo tardo (sec. III a. C.).
Bibl.: v. apuli, vasi; e più particolari indicazioni in A. Della Seta, Italia antica, 2ª ed., Bergamo 1928, p. 453 segg.